Tra le varie proposte di Edizioni Inkiostro spicca la serie The cannibal family, ideata da Rossano Piccioni e Stefano Fantelli. Quest’ultima riporta in Italia, attraverso il circuito del fumetto indipendente, un genere che ha avuto proprio nel nostro paese la sua massima espressione cinematografica: quello del cannibalismo.
Finora sono usciti 8 albi in totale (incluso il numero 0): di questi i numeri dall’1 al 5 costituiscono il primo arco narrativo, una sorta di prima stagione, su cui mi concentrerò in questo articolo.
Famiglia cannibale
Durante la seconda guerra mondiale un soldato italiano, Alfredo Petronio, viene ferito a morte. Due suoi commilitoni, nel tentativo di salvarlo, si aggirano per i boschi di Caserta fino a imbattersi in un casolare sperduto dove vivono un macellaio e sua figlia. Saranno costoro a salvare Alfredo da morte certa, cucinando per lui la carne dei suoi compagni. Una volta compreso quanto avvenuto Alfredo non reagisce con violenza: al contrario, sembra quasi rendersi conto di avere un ruolo predestinato che va oltre quello del semplice soldato in una guerra mondiale devastante. Lo sguardo e i gesti di Petronio nell’ultima vignetta sono indicativi di quest’aspetto del suo carattere, che verrà successivamente esteso alla sua famiglia nelle sequenze ambientate nel presente.
La serie, infatti, è strutturata come un racconto parallelo tra il passato di Alfredo Petronio e il presente di un ormai ottantenne ex-militare e della sua famiglia cannibale. I Petronio, quindi, vengono cresciuti con una ben precisa missione, che nella visione del capostipite è quella di essere una sorta di anticorpo contro i mali della società:
Io e la mia famiglia acceleriamo il processo di rigenerazione dell’umanità. Mangiamo le persone che infettano la nostra società e risorgiamo dalle nostre ferite.
I due componenti della famiglia ad essere meglio caratterizzati sono i nipoti di Alfredo, Sara e Gabriele.
La prima segue le orme del nonno, accogliendone con gioia la filosofia. Tra le scene della serie nelle quali è protagonista, contenenti riferimenti a volte espliciti e altre ammiccanti, colpisce su tutte quella della doccia di sangue nel numero 2, in virtù della sua forte connotazione erotica.
Gabriele, per contro, sembra leggermente più riluttante ad accettare la filosofia di famiglia: tant’è che durante il primo arco narrativo, in una sorta di piccolo contrappasso dantesco, intraprende una relazione con una ragazzina cieca vegetariana.
Alfredo, invece, svetta su tutti: è un personaggio per certi versi eastwoodiano, forte, deciso e determinato. Il suo fascino viene esaltato dal ruolo interpretato dalle sue vittime: criminali di guerra, collaborazionisti, serial killer nelle scene ambientate nel passato, imprenditori senza scrupoli e truffatori nel presente. Alfredo diventa quindi, a una prima lettura, una sorta di eroe della nazione che combatte contro i suoi nemici, primi fra tutti coloro che in un certo senso sono ritenuti causa della crisi. Il lato oscuro di Petronio, però, è rappresentato proprio dal nazionalismo del personaggio, che fonda i suoi valori su quelli tipici dell’epoca fascista, come ben caratterizzato dalla targa storica presente nella macelleria di Villa Petronio:
Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero, lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque, con le sue armi. 1
Questa caratterizzazione viene enfatizzata dal discorso che Alfredo rivolge ai suoi compaesani durante l’inaugurazione di un asilo che lui stesso ha finanziato:
Il diritto. Sì, il diritto, se non è accompagnato dalla forza è vana parola.
La frase con cui Alfredo inizia il suo monologo è estratta dal discorso che Mussolini fece a Firenze il 17 maggio del 1930. Da qui Petronio di fatto lo sviluppa, aggiornandolo: da un lato con continui richiami patriottici (“la forza di un piccolo paese così come di una grande nazione, è nell’infanzia, è nei nostri giovani virgulti“, per esempio); dall’altro, attraverso i riferimenti a disciplina e cultura che secondo Alfredo “vanno inculcate” e non insegnate (peraltro in netto contrasto con metodi educativi come quelli di stampo montessoriano, dove lo studente va guidato evitando il più possibile il semplice nozionismo, che è invece basilare per il modello educativo suggerito da Alfredo).
Ciò che in particolare colpisce nel discorso citato, ma anche nella caratterizzazione del personaggio, è quel senso di inquietudine che va al di là del cannibalismo del protagonista e della sua famiglia. Esso è rappresentato dalla semplicissima considerazione che, nonostante due guerre mondiali, i valori fascisti sono ancora lì, più o meno adattati alle esigenze moderne, ammantati dal fascino della sicurezza contro la violenza e della vendetta contro i presunti colpevoli.
Libri di sangue
Il cannibalismo ha sempre avuto delle connotazioni ritualistiche e ancestrali. Non a caso praticamente tutti i principali capolavori del cinema italiano di genere sono ambientati in luoghi esotici e poco esplorati, come il famoso Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, con quest’ultimo diventato, tra l’altro, uno dei protagonisti della serie. Partendo da questo spunto iniziale, Rossano Piccioni e Stefano Fantelli cambiano semplicemente l’ambientazione da esotica a rurale (in alcune scene del passato) e urbana, rinnovando un genere cinematograficamente fecondo nel nostro paese.
A questa materia di base, fondamentalmente splatter (come il cinema di Dario Argento, giusto per citare un altro nome di un certo peso), si uniscono un’iconografia bondage, la quale ribadisce le connessioni erotiche che l’horror ha spesso mostrato, e almeno un paio di riferimenti letterari. Innanzitutto quello al famosissimo Hannibal Lecter, lo psicologo cannibale ma anche buongustaio: la serie viene omaggiata non solo con riferimenti più o meno espliciti2, ma anche con le ricette delle pietanze, tutte a base di carne umana, poste in quarta di copertina.
Un altro omaggio presente è quello a Clive Barker. Lo scrittore statunitense ha lasciato in eredità a Cannibal Family le atmosfere truculente, cui gli autori pagano un esplicito tributo con il titolo del terzo numero: Libri di sangue, come la famosa serie di racconti del maestro dell’orrore.
L’aspetto più interessante della serie però, subito dopo la trama, è come ciascun numero sia frutto dello sforzo congiunto di più autori. Ogni albo, infatti, si suddivide in passato e presente: sia i disegni che i testi sono affidati ad autori differenti, per un totale di quattro fumettisti per albo. La forza del risultato finale risiede nella perfetta compenetrazione di ciascuna delle due porzioni una nell’altra. Come in Lost, infatti, il presente dei Petronio si alterna in continuazione al passato del capostipite, ma la qualità del prodotto finale è tale per cui la storia alla fine sembra scritta da un unico autore. Questa capacità di superare differenze stilistiche è ancora più evidente quando ci si rende conto di un dettaglio particolare: alla coppia di creatori della serie, Fantelli-Piccioni, si affiancano ad ogni numero sceneggiatori differenti, come Andrea Cavalletto nel 2, Antonio Tentori sul 3 e sul 4, Luca Blengino nel 5; degli sceneggiatori ospiti, è soprattutto quest’ultimo che porta alla serie un contributo qualitativo superiore rispetto agli altri colleghi chiamati di volta in volta da Fantelli e Piccioni. Se fino al 4° numero (0 incluso) le didascalie, salvo rari casi nella pozione del presente scritta per la maggior parte da Fantelli, erano state utilizzate in modo parsimonioso ed essenzialmente geografico, con Blengino diventano parte della narrazione. Attraverso la viva voce di Alfredo, nel passato accompagnano il lettore durante lo svolgimento di una caccia brutale (con un’inquietante cena finale che strizza più di un occhio al cinema di Tarantino), mentre nel presente Fantelli utilizza didascalie di stile favolistico che lasciano il lettore con un senso finale di malinconia e dolore.
I disegnatori che affiancano Piccioni, invece, sono tutti scelti per lo stile realistico e una buona cura del dettaglio. Si va da Andrea Tentori Montalto sullo 0 a Dario Viotti su 0 e 2, fino a Paolo Antiga sull’1 (e a partire dal 3, disegnatore regolare della serie). Sfruttando il suo stile preciso e dettagliato – a metà strada tra Mike Deodato e Dale Eaglesham – Fantelli e Piccioni assegnano ad Antiga le sequenze del presente, mentre la rappresentazione grafica del passato è affidata alle sapienti mani di Piccioni. Questo non solo genera una rottura grafica netta ed evidente, ma permette di passare da un tempo all’altro senza la necessità di utilizzare didascalie, lasciando anche ampia libertà a Piccioni nella demoniaca caratterizzazione grafica di Alfredo Petronio.
Il protagonista della serie, grazie al tratto stilizzato e sporco del disegnatore abruzzese (che fa anche un ampio uso del nero, in netto contrasto con il tratto chiaro dei disegnatori del presente), emerge in tutto il suo diabolico carisma. La forza di questa caratterizzazione viene poi ribadita dallo stesso Piccioni, che scrive e disegna la storia d’appendice del 4° numero. Lo stesso ritmo narrativo sembra giovarne, con una netta differenza stilistica rispetto alla storia di Fantelli: Piccioni, infatti, si permette di giocare con la griglia, avendo comunque come base quella a tre strisce di tre vignette ciascuna (già utilizzata sul 2 su testi di Andrea Cavalletto), riuscendo così a gestire al meglio il ritmo narrativo. Come nella scena del taglio della parte superiore della testa di una delle vittime del prete nazista, coprotagonista della storia e futuro avversario di Petronio: il ritmo dell’azione viene infatti guidato prima da una tavola di tre strisce dove viene visualizzato il colpo dell’ascia, mentre nella tavola successiva, costituita da tre strisce di tre vignette ciascuna, viene rappresentata la caduta del corpo della donna. In quest’ultima pagina l’assenza di onomatopee, presenti in quella precedente, in un certo senso aumenta il senso di inquietudine, repulsione e claustrofobia del lettore, che viene automaticamente portato a immaginare il rumore delle ossa che si separano una dall’altra.
Concludendo
Nel complesso, The cannibal family è un progetto riuscito ed efficace, che si inserisce nella tradizione di una rivista come Splatter, recentemente ritornata in vita, con cui la rivista di Fantelli e Piccioni condivide formato e qualità della carta. La storia colpisce il lettore nell’intimo, costringendolo a confrontarsi sia con una realtà oscura e claustrofobica con le scene del passato, che con la società solo apparentemente tranquilla del presente. Una facciata che nasconde degli orrori splatter, a loro volta metafora della società cannibale in cui viviamo (per riprendere l’introduzione di Giuseppe Di Bernardo sul numero 0).
Riferimenti:
www.edinkiostro.it
www.facebook.com/thecannibalfamily
Abbiamo parlato di:
The cannibal family (7 albi finora usciti)
Stefano Fantelli, Rossano Piccioni, AAVV
Edizioni Inkiostro
36 pagine, spillato, bianco e nero – 4,90€