Marco Will Villa, figlio d’arte, ha esordito nel 2014 con il volume edito da Renoir Unico indizio le scarpe da tennis, scritto da Davide Barzi e omaggio al cantautore milanese Enzo Jannacci.
In questo 2016, il giovane disegnatore è entrato a far parte della squadra di Dampyr.
L’esordio avverrà in concomitanza di Riminicomix – Mostra del fumetto di Cartoon Club che si svolgerà dal 14 al 16 luglio, nel consueto albo fuori serie che ogni anno viene prodotto dall’organizzazione della convention e che ha per protagonista un personaggio bonelliano.
Quest’anno il personaggio sarà Dampyr e la storia sarà scritta da Giorgio Giusfredi per i disegni dell’esordiente in SBE Villa. L’albo si intitolerà L’emblema del Drago e questa è una breve sinossi:
“Durante la guerra gotico bizantina, Ariminum è assediata dagli ostrogoti di Re Vitige. Il generale bizantino Belisario manda un manipolo di valorosi Daci guidati dal micidiale comandante Draco (che altri non è che Draka, il padre di Harlan, il Dampyr) in aiuto di Iohannes detto “il sanguinario”, reggente in carica della città strategica per la conquista del Piceno. Mentre Vaes, luogotenente di Draco, cova una nobile vendetta, scendono in campo a insanguinare la spiaggia della riviera anche gli inumani Unni agli ordini del misterioso Re dei Morti…”
Lo Spazio Bianco ha avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con Marco, per scoprire qualcosa di più su di lui.
Ciao Marco e benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Inutile negarlo, la passione per il disegno è una caratteristica di famiglia. Tuo padre Claudio, tuo fratello che studia architettura (e quanti architetti sono fumettisti e viceversa) e tu. Ti chiediamo allora: come hai coltivato questo tua capacità e quando hai capito di volere fare diventare il disegno una professione?
La passione del disegno l’ho sempre avuta, forse perchè in casa ero circondato da disegnatori (specifico che anche mia madre è molto brava nel disegno e nella pittura) o forse per lo smodato quantitativo di fumetti che avevo attorno. Ricordo che già dalle scuole medie il mio obiettivo era frequentare il liceo artistico, così mi iscrissi al “Medardo Rosso” di Lecco. Al terzo anno la scuola organizzò un laboratorio estivo di fumetto, strutturato in una settimana, in un luogo che potrei definire “ascetico”: un istituto alberghiero a Casargo, un piccolo comune tra le montagne lecchesi. Gli insegnanti: Davide Barzi alla sceneggiatura e Sergio Gerasi al disegno.
Fu un corso molto interessante (conservo ancora il quaderno degli appunti!) e mi permise di affacciarmi “normalmente” al fumetto, con un approccio studente-insegnante che non avevo mai avuto. Così, dopo il diploma passai un anno e mezzo a migliorare la mia inchiostrazione e il mio disegno al fine di creare un book col quale propormi. Naturalmente mio padre mi diede le indicazioni principali, ma più di lui, ad accompagnarmi nei miei esercizi, sono stati gli albi degli autori che ammiro.
Dopo questo periodo di “specializzazione” mi sono buttato nella mischia delle fiere del fumetto, con le mie tavole a farmi da apripista, privandomi in un certo senso del mio cognome un po’ troppo ingombrante.
Quando e come hai iniziato a leggere fumetti, quali sono quelli che più ti hanno colpito nella tua infanzia e cosa leggi ora, se ne leggi ancora?
Ho cominciato a leggerli presto. Però confesso che non mi esaltava “leggerli”, ero molto più attirato dai disegni. Alcuni albi li conoscevo visivamente a memoria,ma non sapevo assolutamente di cosa trattassero.
Ho letto tante cose e di generi differenti non potrei dire specificatamente quale mi abbia colpito di più, però ancora oggi leggo di tutto: da Andy Capp, Peanuts, Sturmtruppen, Rat-Man a 20th Century Boys passando per qualche albo americano e Bonelli.
Unico indizio le scarpe da tennis, edito da Renoir e scritto da Davide Barzi ha segnato il tuo esordio nel mondo del fumetto. Ci racconti come sei entrato a far parte di quel progetto, come sei stato seguito in redazione e quanto questa esperienza ti è stata utile nella tua formazione professionale?
Dopo il periodo di “bottega”, contattai Sergio Gerasi a cui mostrai i miei lavori più recenti. Il passaparola tra lui e Davide Barzi fu breve e nel giro di una settimana mi chiesero di partecipare al progetto. Essendo un’opera originale di Davide Barzi, la maggior parte del giudizio dipendeva da lui, la redazione dava l’ultima controllata ma Davide era un curatore più che affidabile. Per le primissime tavole ci sentivamo via mail tutti e tre: Davide controllava la parte registica e la coerenza alla sceneggiatura; Sergio si occupava del disegno. Alla fine di tutto avevo imparato moltissimo, dalla pratica del fumetto al rapporto con la professione in termini di costanza, impegno e organizzazione del lavoro.
Che tipo di prove ti ha richiesto Mauro Boselli per essere ammesso nel gruppo di disegnatori di Dampyr? E che riscontro hai avuto da lui che, notoriamente, è un curatore molto severo?
Boselli mi ha chiesto dei semplici studi su Harlan Draka prima di passare agli studi effettivi dei personaggi che animano la mia piccola-grande storia in uscita a Riminicomix. Però penso che le “prove” non si siano fermate solo a quello, credo di essere stato giudicato anche per il tipo di approccio con la narrazione di una storia di questo tipo. Da parte mia, mi sono considero in prova ancora adesso, e scherzi a parte, credo che il periodo di valutazione vero e proprio sia finito verso tavola cinque, con cinque matite e cinque chine, più relativi layout. I riscontri di Boselli li ricevo sempre tramite Giorgio Giusfredi e da quello che mi riferisce non ci sono troppi problemi, e se ci fossero sarei più che felice di correggermi al fine di migliorare. Da questa coppia non posso che imparare tanto sul fumetto.
Hai presentato prove per altri personaggi in Bonelli oltre Dampyr? Quale il genere o il personaggio che sentiresti più nelle tue corde?
Sì, ho fatto circa quattro prove per Brendon con Claudio Chiaverotti e una prova per Martin Mystere per Giovanni Gualdoni. E il giorno che ho ricevuto il via libera per questo lavoro su Dampyr andavo in Bonelli con delle prove di Zagor da mostrare a Moreno Burattini. Non so bene che tipo di personaggio mi piaccia di più disegnare; però posso dire che il genere “action” mi appassiona parecchio. Basta che ci sia dell’azione ed io sto bene.
Il tuo primo albo di Dampyr sarà una pubblicazione speciale per Riminicomix, una storia scritta da Giorgio Giusfredi e intitolata L’emblema del Drago. Come ti stai trovando a lavorare con uno sceneggiatore giovane come te?
Mi sto trovando molto bene, è un bravo sceneggiatore: la storia è bella e mi ci sono appassionato. Credo che quando ci si diverte un lavoro sia un piacere, e con Giorgio è proprio così. La ridotta differenza di età poi, permette di farci comunicare con maggiore affinità. Tutto questo senza conoscerlo proprio personalmente: in fondo l’ho frequentato meno rispetto a Barzi. Però l’inizio non è male, non mi dispiacerebbe fabbricare altre avventure con lui!
Che cosa ti attira maggiormente della serie e del personaggio Dampyr e come ti stai trovando a disegnarlo?
Come ho già detto sono un’amante dell’azione, e in Dampyr ce n’è tanta e di tutti i tipi. Mi piace l’azione senza sconti che lo caratterizza; non sono un fan dello splatter o del “gore”, ma da praticante di arti marziali mi piace la resa realistica dell’azione, qualunque essa sia. Le atmosfere gotiche e horror, alternate ad ambientazioni più disparate, sono la ciliegina sulla torta, senza contare la varietà di epoche e storie raccontate.
Questa storia è tosta, ma mi aiuta a farmi le spalle. Mi sto trovando bene, anche perchè è da un po’ che disegno storie prettamente “narrative” e questa botta di azione mi ha molto divertito e ispirato.
Quali sono i tuoi ritmi di lavoro? Come organizzi la tua giornata?
Cerco, possibilmente, di svegliarmi presto e di fare una tavola e mezzo al giorno a matita o china. Ma questo è il buon proposito, poi qualunque collega più esperto sa che ci sono giornate “sì” , giornate “vado come un treno” e giornate “adesso piango” o ” mi licenzio”. Si fa quel che si può con il massimo impegno dunque, soprattutto per questa bella occasione.
E gli strumenti da te più usati (matite, pennini, tipi di carta)? Fai uso anche di strumenti digitali nel tuo lavoro?
Barzi mi ha definito “totalmente analogico” e in un certo senso lo sono, anche se da poco ho iniziato ad accostarmi al mondo digitale, ma per lo più lo utilizzo per le correzioni. Mi piace ancora sentire di aver “prodotto” un segno indelebile su un foglio fisico, senza lo zoom vettoriale ad aiutarmi sulle miniature; in pratica mi piace la soddisfazione dell’artigianale (non che il digitale non sia bello e molto comodo). Uso fogli A3 Canson lisci per le matite che stampo in ciano su comune carta A3 da stampante. Inchiostro con un pennarello Mitsubishi con due punte morbide , e pennarelli vari o fudepen.
Come superi il “problema” della chiusura della tavola? Cioè, riesci a smettere di riguardare o correggere una tavola rapidamente, una volta che la consideri terminata o l’impulso sarebbe di continuare a lavorarci sopra?
L’impulso rimane certo, ma cerco di fare del mio meglio per resistergli. Cerco comunque di disegnare divertendomi, prestando attenzione alla spettacolarità e sperando nel circolo virtuoso della soddisfazione. Molti forse non sanno che quando si disegna una particolare scena o storia, ci sono alcuni punti in cui il disegnatore sente nel profondo di non avere empatia con una determinata vignetta: questo crea “noia” che abbassa il livello di qualità. A volte a me basta disegnare un particolare che mi piace, anche se sbagliato rispetto alle indicazioni di sceneggiatura: un disegno ” a perdere” che cerchi di tirarmi ,di nuovo, nel mood appassionante, piacevole e produttivo. Sarei curioso di sapere quanti disegnatori sono d’accordo con me.
Grazie dell’intervista e in bocca al lupo, Marco!
Intervista realizzata via mail e conclusa il 22/06/2016
Riferimenti:
Rimicomix
Sergio Bonelli Editore