• English
  • Brutalmente underground: intervista a Johnny Ryan

    Brutalmente underground: intervista a Johnny Ryan

    In occasione del Napoli Comicon abbiamo intervistato Johnny Ryan, autore del cult Prison Pit e ospite di Eris Edizioni. Una riflessione sulla sua carriera e sul fumetto underground contemporaneo.

    Attivo da più di trent’anni sulla scena del fumetto underground statunitense, Johnny Ryan è un autore cult apprezzato in tutto il mondo. Irriverente, esagerato, politicamente scorretto e senza limiti fin dal suo esordio con la serie autoprodotta Angry Youth Comix (notata dal decano Peter Bagge che lo propose a Fantagraphics), nel tempo Johnny Ryan ha realizzato fumetti satirici, fantascientifici, fantasy, su carta come online, sempre mantenendo una buona dose di pura anarchia underground.
    Con
    Prison Pit, fumetto iperviolento, una specie di Mad Max sotto acidi, ha raggiunto il successo planetario. Ospite al Napoli Comicon per Eris Edizioni, che nel 2019 ha tradotto in italiano l’integrale di Prison Pit, lo abbiamo intervistato per sapere di più su quest’opera ma anche sul fumetto underground statunitense, di ieri e soprattutto di oggi.
    Ringraziamo Valerio Stivè per il suo ruolo di interprete nel corso dell’intervista.

    Cover-Prison-Pit_low-1Ciao, Johnny. Benvenuto su Lo Spazio Bianco e grazie del tuo tempo.
    Quasi nessuna delle tue opere è stata tradotta in Italia, ma Eris Edizioni ha da alcuni anni pubblicato l’edizione completa di Prison Pit, il tuo lavoro più conosciuto a livello internazionale. Partiamo dalla domanda più banale: come è nata l’idea di quest’opera?
    In quel momento mi ero stancato del tipo di fumetto che avevo realizzato sino ad allora e ho pensato di iniziare a lavorare a una serie, così da essere impegnato in un progetto per i successivi cinque o dieci anni. E ho immediatamente pensato a una storia d’azione che contenesse anche molta violenza.

    Com’erano i fumetti che creavi prima di Prison Pit?
    Per alcuni anni ero stato occupato su un’altra serie che si intitola Angry Youth Comix, pubblicata originariamente in albetti poi raccolti in tre volumi, e contemporaneamente firmavo delle storie brevi per Vice.

    Prison Pit, in alcuni momenti, ricorda un Mad Max sotto acido. Quali sono state le ispirazioni per l’ambientazione post-apocalittica e i toni punk della serie?
    Ho avuto due ispirazioni fondamentali: una era Powr Mastrs di C.F., un’altra serie in piccoli albi di genera fantasy e piuttosto weird, con un approccio autoriale e minimalistico; l’altra è Berserk di Kentarō Miura, un manga del quale ho apprezzato sempre il contesto fantasy ma allo stesso tempo iper-violento, in cui mano mano le cose diventano sempre più assurde e sono comunque prese estremamente sul serio.

    A proposito di Kentarō Miura e di Giappone, seguendoti su Instagram negli ultimi tempi, ho notato che sei un grande appassionato – oltre che di fumetti alternativi – anche di fotografi giapponesi. Questo interesse si riflette in qualche modo nelle tue opere?
    Razionalmente ti risponderei di no, ma come posso esserne certo? Come posso escludere che quelle opere, entrando nella mia testa, si riversino in quello che scrivo e disegno? Un artista, come sosteneva Stanisław Zukowski, è come un cane che cerca il cibo da vari bidoni della spazzatura e si nutre di quello che trova.

    Tornando a Prison Pit, cosa ha significato per te, anche da un punto di vista pratico, creare una saga che si è sviluppata in così tanti anni?
    Per iniziare e portare avanti un lavoro così lungo ci ho messo innanzitutto una grande determinazione. Ma poi, nella pratica, non ho seguito schemi rigidi e preimpostati, perché preferisco lavorare montando immagini e seguendo suggestioni. E questo significa che se qualche volta mi sono ritrovato a ripensare, aggiungere o eliminare qualcosa tanto valeva seguire l’istinto e farlo.

    prison pit_1Com’è stato accolto inizialmente Prison Pit e quando hai capito che stava diventando un cult, per lo meno inizialmente negli States?
    All’inizio ero preoccupato del fatto che nella mia fanbase, se così vogliamo chiamarla, appassionata del mio materiale iniziale e delle storie comiche che avevo realizzato fino a quel momento, potesse esserci qualcuno che si sarebbe alienato dalla nuova direzione che stavo dando al mio lavoro. E non escludo che ci sia ancora, fra i miei lettori, chi preferisce le mie prime storie. In realtà ho notato sin da subito che Prison Pitstava attecchendo, stava acquisendo sempre più lettori ed era sempre più apprezzato.
    Nonostante questo, ho difficoltà a definire Prison Pit un prodotto “popolare” come può intendersi Star Wars, che è vera pop culture. Ma vederlo approdare in Europa, tradotto in sempre più Paesi e rendermi conto dell’interesse sempre screscente di nuovi editori e lettori mi ha fatto capire che stavo realizzando qualcosa di veramente riuscito e apprezzato.
    La conferma l’ho avuta quando, tradotto anche in Russia, Prison Pit è stato ospite a un festival a San Pietroburgo e c’è stata una tale accoglienza da parte del pubblico da avermi impressionato. Rendermi conto di essermi avvicinato a una cultura che avevo sempre ritenuto molto distante dalla mia e non interessata a quanto provenisse dagli Stati Uniti mi ha fatto capire di aver fatto qualcosa di davvero buono.

    Le storie contenute in Prison Pit, lo dicevamo, sono cariche violenza e di immagini estreme. Per consentirtene la pubblicazione, quanto è stato importante il supporto di Fantagraphics? Loro o altri editori da cui sei stato tradotto o distribuito nel mondo hanno mai avuto dubbi su alcune storie troppo “forti” da pubblicare, o al contrario ti hanno sempre lasciato carta bianca?
    Fantagraphics non mi ha fatto mai alcun tipo di problema, sono sempre stati molto aperti a quella che è la mia visione. E, se possibile, gli editori stranieri si sono dimostrati ancora più open minded, forse perché vedono all’America come la “Land of freedom” e, da una certa distanza geografica, si dimostrano molto interessati all’approccio anticonformista mio come di altri artisti.
    Semmai, il problema con Fantagraphics si pone ora che sto lavorando a un nuovo progetto. Quando gliel’ho mostrato c’è stato da parte loro un centro timore che questo libro possa causarmi alcuni problemi e di conseguenza anche a loro. Mi riferisco a certe immagini e certe battute che utilizzo. Questo perché da un po’ di tempo a questa parte è molto cambiato l’approccio rispetto ai temi della razza e del sesso che, se ritratti in modo “rude”, non sono ben visti. La violenza è una tematica che nel contesto della finzione è ancora accettato, mentre l’approccio ad altre questioni va in qualche modo mediato per conformarsi alla visione che ne abbiamo oggi.
    Il che è piuttosto strano se pensiamo che Fantagraphics è l’editore dell’opera omnia di Robert Crumb… Ma un autore come lui è in qualche modo “assolto”, perché il suo lavoro è contestualizzato in un momento storico passato, diverso dal nostro, che ci porta a pensare qualcosa come “sono vecchi, ai loro tempi non capivano”. Ora è necessario avere una consapevolezza maggiore e questa consapevolezza va dimostrata.

    prison pit_3

    Provo a interpretare quello che intendi: dopo il Me too e il movimento Black Lives Matter è cambiato qualcosa anche nel mondo della cultura, dell’arte e del fumetto?
    Assolutamente sì, molto è cambiato. Basti pensare che prima di questa rivoluzione culturale abbiamo memoria di un solo autore che si sia scontrato con una sorta di censura da parte del governo statunitense per rappresentazioni oscene ed è Mike Diana, che, a causa dei contenuti delle sue opere, venne condannato per oscenità e costretto alla libertà vigilata per tre anni.
    Negi anni Novanta, quindi nel periodo in cui Diana venne condannato, era molto presente l’idea di essere “contro”, di agire contro l’establishment. Ora, invece, anziché combattere il conformismo è la gente a crearlo tramite internet. Viviamo in una bolla virtuale all’interno della quale ci riuniamo e decidiamo cosa va bene e cosa non lo è, cosa è corretto e cosa non lo è. E dopo quel giudizio popolare, dopo il linciaggio mediatico, tu che hai fatto qualcosa di sbagliato secondo il sentore comune, potresti non essere più in grado di lavorare e guadagnare con il tuo lavoro.

    Ti faccio un’ultima domanda prima di salutarci e ti rinnovo il ringraziamento per la tua disponibilità a questa intervista. Sei nel mondo del fumetto alternativo e underground da oltre vent’anni ormai. Quale pensi che sia stato il più grande cambiamento avvenuto in questi anni in questo ambiente? Cosa pensi del fumetto alternativo odierno?
    Per come la vedo io è sicuramente cambiato qualcosa. Diversi anni fa c’era, nel mondo del fumetto alternativo, l’idea di andare nella direzione del fumetto d’autore. Un tipo di fumetto di un certo livello che, a seguito del successo di Maus di Art Spiegelman, molti si sentivano legittimati a creare un fumetto che potesse vincere premi ed essere considerato letteratura disegnata. In quel contesto è quindi nato uno spirito elitario nel mondo del fumetto che, personalmente, non mi riguardava minimamente: quando ho iniziato e anche dopo il mio solo interesse era creare un fumetto divertente e spassoso, quello era il mio modo di essere “diverso”.
    Attualmente non c’è più, forse, un’idea elitaria del fumetto, sostituita da quella bolla di cui parlavamo prima, derivata da un certo conformismo dettato da una sorta di autocontrollo che arriva da quello che la Rete, come una comunità allargata che si autodetermina, indica di fare o non fare.

    Intervista realizzata il 23 aprile 2022 durante il Napoli Comicon.

    Johnny Ryan

    Nativo di Boston, Johnny Ryan è uno dei più importanti autori della scena del fumetto alternativo e indipendente americano. Ha iniziato a lavorare negli anni ’90, autoproducendo i suoi lavori e diventando in breve tempo uno degli artisti imprescindibili della scena underground. Vive e lavora a Los Angeles.
    Le sue serie a fumetti come
    Angry Youth Comix, Blecky Yuckerella o Prison Pit, hanno ricevuto molti riconoscimenti da parte di pubblico e di critica. Ha collaborato per anni a progetti comuni con artisti del calibro di Dave Cooper e Peter Bagge, e ha lavorato per molti dei principali brand nel mondo dell’animazione televisiva (Warner, Nickelodeon, Cartoon Network). I suoi lavori sono apparsi su numerose riviste come MAD, LA Weekly, National Geographic Kids, Hustler Magazine e The Stranger.
    Prison Pit, il suo primo lavoro ad arrivare in Italia, è la sua serie più famosa nel mondo: è stata tradotta in moltissimi Paesi e, oltre a essersi trasformata in action figures, è stata anche trasposta in animazione. 

    JOHNNY RYAN

    Prison Pit: sbudello dunque sono

     

    Clicca per commentare

    Rispondi

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *