Come visto nel precedente articolo di questa serie, Il Blake e Mortimer di Jacobs e il senso del fumetto per ragazzi, con La trappola diabolica, Le avventure di Blake e Mortimer di Edgar Jacobs sembravano aver esplorato i limiti del fumetto d’avventura per ragazzi compatibile con la visione degli anni 1960. La censura francese all’albo spiazzò l’autore belga poiché gli imponeva la sfida di cambiare qualcosa proprio nella formula alla quale la serie doveva la sua fortuna.
In questo articolo vedremo come Jacobs abbia affrontato quella crisi nelle due ultime opere (Il caso del collier e Le 3 formule del Professor Sato) e accenneremo a come Le avventure di Blake e Mortimer siano assurte allo status di classico della BD.
Blake e Mortimer senza fantastico?
Dopo la censura francese a La trappola diabolica passano 3 anni prima che Jacobs si metta al lavoro su una nuova avventura di Blake e Mortimer: Il caso del collier.
Questa storia, tuttavia, non è come le altre: serializzata su Tintin a partire dal 1965, si distacca dalle precedenti in maniera netta perché rinuncia a qualsiasi elemento fantastico o fantascientifico. Di fatto è un poliziesco realistico, con i due eroi nel ruolo di investigatori e Olrik in quello di capo di una banda di ladri, e in gioco non c’è il destino del mondo, ma semplicemente un collier di grande valore.
Fra gli appassionati, l’episodio suscita diffuse perplessità eppure, letto con distacco, Il caso del collier ha molti punti di pregio. Propone un intreccio solido e appassionante, una caratterizzazione dei “villain” molto vivace, un buon ritmo e un lungo inseguimento attraverso le fogne di Parigi in un’atmosfera claustrofobica e oppressiva.
Importanti sono poi le scelte stilistiche: Jacobs adotta un disegno meno dettagliato e una narrazione più scorrevole e, nella prima parte del racconto, si avvale della collaborazione di Gérard Forton per garantire un ritmo di pubblicazione (due tavole a settimana) raddoppiato rispetto agli episodi precedenti. Come dichiara nelle sue memorie, l’autore belga considera Il caso del collier un esperimento fruttuoso dal punto di vista tecnico, perché in esso ha applicato una nuova tecnica di colorazione e un nuovo approccio al disegno.
Molti tratti distintivi rispetto alla formula consolidata, quindi, ma il risultato è poco apprezzato dai lettori, che non gradiscono né la qualità dei disegni nella prima parte della storia, inferiore allo standard fin qui mantenuto da Jacobs, né l’assenza degli elementi fantastici/fantascientifici, tipici delle avventure dei due eroi.
Detto altrimenti: per gli appassionati, Il caso del collier è una buona storia, ma non è una storia di Blake e Mortimer.
Jacobs scelse consapevolmente questo distacco dalla norma e abbandonò tutta una serie di spunti fantastici per non rischiare un nuovo veto, che avrebbe avuto ripercussioni economiche non trascurabili.In prima ipotesi, infatti, Il caso del Collier sarebbe dovuto essere ambientato nella sua quasi interezza nel sottosuolo parigino (in particolare nelle catacombe), e il racconto, punteggiato da visioni e apparizioni fantasmatiche, avrebbe guadagnato un’atmosfera magica e inquietante.
Un’occasione mancata?
I momenti di crisi – e tale fu per la serie di Jacobs la censura a La trappola diabolica – sono anche occasioni di cambiamento: in questa prospettiva la scelta fondamentale dell’autore belga fu quella di salvaguardare il brand Blake e Mortimer.
L’impostazione de Il caso del Collier non discende quindi da disaffezione o sfiducia nella formula di base della serie, ma dalla ferma volontà di adattarla ai vincoli dichiarati dalla censura francese. Considerata con consapevole decontestualizzazione, questa “scelta conservativa” dell’autore belga suscita qualche dispiacere, ma inserita nel suo tempo ci fornisce interessanti indicazioni sullo stato del fumetto e gli interessi di Jacobs.
Prima di tutto decontestualizziamo e concediamoci un piccolo esperimento mentale: immaginiamo Il caso del collier come episodio di una nuova serie, con nuovi personaggi, nuove atmosfere, nuove opportunità.
Siamo nel 1965 e si stanno aprendo nuovi spazi e nuove visioni anche per il fumetto e a Il caso del collier non manca molto per mutarsi in “polar”1 – il polar è un genere con grandi potenzialità sia per proporre tematiche che vadano oltre l’intrattenimento sia come ponte per allargare il pubblico dei lettori oltre il recinto degli adolescenti e, magari, degli appassionati di fumetto – .
Adottando questo cambiamento, Jacobs avrebbe l’occasione di fondere le atmosfere cupe e ambigue del genere con la nitidezza della linea chiara, in una miscela inquietante e capace di trasmettere disagio.
Torniamo ora alla cronaca. Non risulta che Jacobs abbia minimamente contemplato una simile possibilità per almeno due buone ragioni: una di natura economica e una, per noi più interessante, di natura narrativa.
Dal punto di vista economico, Le avventure di Blake e Mortimer erano probabilmente un “asset” troppo importante per essere semplicemente accantonato: vale sempre la pena ricordare che era uno dei titoli di maggiore successo del mercato francofono, e le sue vendite avevano un ruolo di tutto rispetto nei bilanci della casa editrice Lombard.
Dal punto di vista narrativo/editoriale invece deve essere sottolineata la problematicità di un simile cambiamento: Jacobs si sarebbe trovato a esplorare un territorio pressoché inesplorato, ed è perfino dubbio se un simile approccio avrebbe trovato spazio sul Journal de Tintin (sul quale pubblicava) o su altre riviste.
A sostegno di questa considerazione, possiamo portare la cronologia della fondazione delle riviste spesso ad opera di gruppi di autori che promossero la trasformazione della BD: se Pilote nasce nel 1959, le altre cadenzano gli anni ’70: L’Écho des Savanes (1972), Métal Hurlant (1975), À suivre (1978).
Inoltre, nello specifico dell’evoluzione del fumetto polar, basti pensare che gli adattamenti del Nestor Burma di Léo Malet ad opera di Jacques Tardi escono solo negli anni ’80: servono cioè quindici anni e il traino di romanzi già affermati per una simile impresa.2
Dal nostro punto di vista la domanda da porsi è che cosa avrebbe significato e comportato il contributo di Jacobs nell’affrontare un percorso esplicito di uscita dai recinti della letteratura adolescenziale per accedere a quelli della letteratura per adulti a metà degli anni ’60.
L’insuccesso dell’esperimento fu comunque chiaro: snaturare Le avventure di Blake e Mortimer non era la strada giusta per tutelare il prodotto. Per Jacobs, questo risultato confermò la sua sensibilità e la sua visione della serie e della fantascienza: non mero intrattenimento, ma strumento per proporre e stimolare riflessioni critiche sulle opportunità offerte dal progresso tecnologico.
Da anacronistico a senza tempo
Nell’ottava avventura di Blake e Mortimer, Le 3 formule del Professor Sato, Jacobs riporta in scena gli ingredienti tipici della serie, e li compone secondo l’esperienza de Il caso del collier.
Tornano quindi gli spunti fantascientifici e la visione critica del progresso tecnologico; il ritmo è più veloce e la composizione della tavola meno affollata rispetto al passato. L’ambientazione giapponese aggiunge una suggestione particolare, quasi un’indicazione del futuro del racconto di fantascienza (ma non solo) poiché siamo alla vigilia dell’arrivo in Europa dei primi lavori di animazione seriale nipponica.
Per traversie personali e impegni professionali, l’autore belga riuscì a pubblicare solo la prima parte de Le 3 formule su rivista nel 1970-72 e in volume nel 1977. A questo riguardo Jacobs chiuse la propria biografia con una dichiarazione molto precisa:
“Scénario, decoupages et textes sont entiérement terminés. Par conséquent, Les 3 Formules du Professor Sato ne risque pas, quoi qùll arrive, de rester une symphonie inchevée! […] Mais, rendu circonspect et légérement superstitieux par l’expérience, je préfère ne faire aucun pronostic.“.3
Purtroppo i suoi peggiori timori si avverarono, e la morte portò via Edgar P. Jacobs il 20 febbraio 1987.
La seconda parte de Le 3 formule (Mortimer contro Mortimer) fu quindi pubblicata postuma nel 1990, disegnata su uno storyboard definito nei dettagli e ripreso senza sostanziali modifiche da Bob de Moor. L’ultima avventura jacobsiana è particolarmente interessante non solo perché offre momenti di grande intensità, ma anche perché di fatto è il modello e l’ispirazione per i racconti che seguiranno. Non tanto dal punto di vista stilistico, quanto per il grande successo del titolo, che ebbe una tiratura di 500.000 copie, elevatissima per il mercato francofono.
Questo risultato ebbe due effetti: da una parte dimostrò la possibilità di rendere Le avventure di Blake e Mortimer un franchising, dall’altra, per noi ben più interessante, le traghettò a un nuovo status di opera “fuori dal tempo”.
Come già notato, l’approccio di Jacobs era rimasto sostanzialmente omogeneo durante tutti gli oltre 30 anni di vita della serie, ma intorno il mondo cambiava e, soprattutto dagli anni ’60, il fumetto franco-belga aveva iniziato a raccogliere nuove sfide e nuovi stimoli costruendo un percorso che avrebbe portato a una vera e propria esplosione creativa ed economica nel decennio successivo.
L’evento simbolico di riferimento per la fantascienza fu la fondazione nel 1974 della casa editrice Les Humanoïdes Associés. Se quella continuità poteva essere stata vista come una sorta di crisalide perpetua per le potenzialità della serie, la sua ripresa ad opera di altri la trasformò in segno distintivo di forte e precisa identità.
Quel segno, quel modo di raccontare diventano “tradizione”: l’opera che, mantenendosi uguale a se stessa, aveva rifiutato il confronto con il tempo e i contemporanei diventa modello con il quale fare i conti, fonte d’ispirazione e simbolo di un particolare modo di “essere fumetto”.
Come sottolinea Andrea Sani nel suo saggio4, il successo attuale di Blake e Mortimer deve molto alle opere degli epigoni, ed è proprio questo successo che rende retroattivamente le opere di Jacobs un “classico” della BD5. Questo status è segnalato da due indicatori tipici: la costante disponibiità sul mercato della serie e la regolare pubblicazione di saggi che la riguardano.
Esempio più recente, L’héritage Jacobs di Jean-Luc Cambier ed Eric Verhoest, uscito a fine 2016 è dedicato proprio ai lavori degli epigoni dell’autore belga6.
In questo nuovo contesto cambia la sfida principale che le opere del “nuovo” corso de Le avventure di Blake e Mortimer devono affronatare, che diventa evitare di ridursi a bene di conforto per lettori nostalgici.
Ne parleremo prossimamente.
“Polar” è il termine diffuso in Francia per indicare il genere poliziesco: viene dalla contrazione di “policier” e “noir”. ↩
A questo proposito ci sembra d’obbligo segnalare una suggestione: il disegno di copertina dell’autobografia di Edgar Jacobs è proprio di Jacques Tardi, che, purtroppo, non ha mai lavorato su Blake e Mortimer. ↩
“Sceneggiatura, inquadrature, montaggio e testi sono terminati. Di conseguenza, Le 3 formule del Professor Sato non rischia, qualunque cosa possa accadere, di restare una sinfonia incompiuta! […] Ma, reso circospetto e leggermente superstizioso dall’esperienza, preferisco non fare alcun pronostico.”. Edgar P. Jacobs: Un Opéra de Papier, Éditions Gallimard, 1981.] ↩
Andrea Sani, Blake e Mortimer. Il realismo fantastico della Linea Chiara. Scienza, fantascienza e filosofia nella saga a fumetti creata da E. P. Jacobs, Alessandro Editore, 2015. ↩
Il carattere retroattivo di questa caratterizzazione vale d’altra parte per tutto quello stile che indichiamo con “linea chiara”, termine utilizzato per la prima volta nel 1977 da Joost Swarte come titolo di un catalogo associato ad una mostra dedicata a Tintin e ai suoi predecessori. ↩
Jean-Luc Cambier ed Eric Verhoest: L’héritage Jacobs, Editions Blake et Mortimer, 2016 ↩
Fra X
16 Dicembre 2017 a 17:59
Effettivamente con “La trappola diabolica” l’ opera sembra arrivata al suo apogeo. Un albo veramente spettacolare, a partire dalla copertina, che si distacca dai precedenti mostrando un modo di narrare più che mai diverso, un’ ultima parte decisamente suggestiva, soprattutto per l’ epoca, ed una morale non affatto banale, anzi.
Peccato che ICDC come letto sopra non sia potuto essere più affascinante. Rimane però secondo me una buona avventura, scorrevole e coinvolgente. La copertina poi è dedicata addirittura ad Olrik! XD Interessanti comunque in generale le copertine della serie. Poche volte ritraggono i protagonisti. Blake addirittura solo una volta! XD Infatti quella de “Il marchio giallo” penso sia la più citata proprio perché l’ unica con i nostri due assieme.
Riguardo invece LTFDPS, mi aspettavo di più! Nonostante la bella ambientazione giappo, il racconto risulta un pochino farragginoso a mio parere. Pensare che inizia con una scena davvero spettacolare!
Purtroppo SPOILER stranamente il drago robotico poi non lo vediamo più! °_O FINE SPOILER
Peccato. Questa si mi sa di occasione mancata. Eppure gli ingredienti per un gran finale c’ erano tutti. Oltre a quanto detto sopra, il Giappone di li a poco diventò un colosso economico con esportazioni di elettronica a destra ed a manca!
la redazione
18 Dicembre 2017 a 16:29
Grazie del commento! :)