Il bianco e il nero: Dylan Dog n°372 di Barbato e Roi

Il bianco e il nero: Dylan Dog n°372 di Barbato e Roi

Paola Barbato e Corrado Roi si interrogano sul valore della paura in una storia metanarrativa in Dylan Dog si trova faccia a faccia con l'Uomo Nero.

Il senso del contrasto

Il nuovo inedito mensile di Dylan Dog, scritto da Paola Barbato e disegnato da Corrado Roi, con copertina di Gigi Cavenago, è intitolato Il bianco e il nero; pare quasi omaggiare la lunga tradizione di storie a fumetti Sergio Bonelli Editore dando importanza e valore al contrasto cromatico più estremo che, se sul piano astratto identifica concettualmente differenza e distanza, armonizzato dalla mano abile di un disegnatore può invece diventare azione, storia, avventura.

Sulle basi di questa dicotomia – che potremmo anzi metaforicamente definire “la madre” di tutte le dicotomie: bianco e nero, bene e male, vita e morte – Paola Barbato pone le fondamenta per una storia inequivocabilmente metanarrativa. Sembra interrogarsi sul significato della paura, sulle sue conseguenze, sull’attrazione che tale emozione ha su personaggi, autori e lettori, e soprattutto sembra prendere posizione definendo ciò che, secondo lei, dovrebbe essere la paura e sul come ricercarla quando si ha a che fare con l’indagatore dell’incubo, in relazione al tentativo di svecchiamento che da qualche anno sta caratterizzando la serie.

Ci racconta in buona sostanza chi è, secondo lei, Dylan Dog, andando a toccare tutti i punti chiave della sua personalità collegati in qualche modo alla paura: le sue fobie, le sue rigidità, le sue dipendenze, il suo rapporto con l’orrore.

La normalità della paura

Tutto inizia con uno spauracchio dal sapore antico: l’Uomo Nero, che trascina Dylan in quello che potremmo definire un “mondo delle ombre”, segnando così il primo passaggio metaforico della storia dal bianco al nero.
Proprio qui inizia l’equivoco, il contrasto di cui si parlava prima, perché se è vero che siamo abituati ad associare il “nero” al negativo, il bianco è anch’esso avverso per il nero: questione di punti di vista, insomma.

Dylan Dog si trova pertanto a interpretare, suo malgrado, la parte del “mostro” nel mondo dei mostri, in cui la sua gentilezza e cortesia seminano il panico tra i bambini: ciò introduce il concetto di “normalità”. La normalità della paura, l’incontrare continuamente mostri, l’affannosa ricerca del pericolo, del sovrannaturale, dell’incubo, fa sì che Dylan, di paura, non ne abbia più.

È evidente il messaggio metanarrativo (componente già introdotta a inizio albo da alcune esplicite battute del fedele Groucho): dopo decenni di attività la serie ha perso la spinta originale, l’autentica aura sinistra delle vecchie storie ha lasciato il posto a situazioni sempre più distorte e assurde, a mostri sempre più bizzarri e “con più denti” (per citare un recente franchise cinematografico) in cui la dimensione della destabilizzazione ha finito per dissolversi, lasciandoci un Indagatore dell’incubo rassicurante, mai realmente in pericolo e quasi invincibile, pur conservando quelle quattro o cinque fobie e manie caratterizzanti, in fin dei conti ormai private di un concreto significato.

Va da sé che se Dylan Dog non ha più realmente paura, nemmeno il suo lettore viene spiazzato o destabilizzato, e infatti questo è proprio uno di quei punti chiave su cui l’attuale curatela, fin dall’insediamento, ha cercato di porre attenzione.

Da qui, secondo la storia di Paola Barbato, la necessità di rivalutare il ruolo della Paura con la lettera maiuscola, intesa come “madre di tutte le ombre” e amante conflittuale del personaggio nel corso di tutta la serie. Anche il concetto di “mostro”, fondamenta della serie fin dagli albori e ancora fortemente presente, viene ripreso e in qualche modo ricontestualizzato: “i mostri siamo noi”, come si sa, è un mantra sempre in voga sulla testata ma cosa significa davvero?

Mostro è un concetto relativo: la paura non sono i mostri perché una volta conosciuti non fanno più paura (e del resto l’umanizzazione del mostro è sempre stata al centro della poetica di Tiziano Sclavi), la paura non è tanto “il nero”, sembra dirci Barbato, la paura è assenza di conoscenza, assenza di punti di riferimento, non è il male ma l’assenza di bene e di male, la paura è piuttosto “il bianco”.

In questa prospettiva, come cita da Wittgenstein il curatore Roberto Recchioni nell’introduzione all’albo: “Il bianco è anche una specie di nero“.

Disegnare concetti

Disegnare una storia come Il bianco e il nero non è sicuramente impresa facile poiché, qui più che altrove, il disegno non deve solo raccontare ma anche farsi carico di rendere al meglio i concetti che la sceneggiatura si propone di passare. Qui più che altrove non è necessario il dettaglio estremo ma piuttosto un tratto sintetico ed evocativo, disegni inequivocabili ma che non spieghino tutto e che lascino al lettore spazio di immaginazione e di intuizione.
Il compito spetta a Corrado Roi, una vera istituzione su Dylan Dog, con decine di albi all’attivo e presente fin da Il fantasma di Anna Never, celebre numero 4 del 1987.

Il tratto inconfondibile di Roi riesce a gettare completamente il lettore nel mezzo della dicotomia tra bianco e nero fin dalle prime pagine, in cui per mano del Babau, l’Uomo Nero, il mondo agli occhi di Dylan sembra sporcarsi di buio, che si appoggia delicatamente sugli oggetti e sulla pelle, spargendosi come nerofumo, sgorgando copioso dalla bocca della fidanzata di turno quando addenta un boccone di carne, avvolgendo un lampione sferico in spire sempre più fitte, fino a estinguere completamente il mondo circostante e precipitare Dylan nella dimensione alternativa e surreale cui si accennava prima.

Seguono tavole in cui Dylan, unica figura “illuminata” nel nero, si muove a tentoni, spaventato, finché l’Uomo Nero, parlando, inizia letteralmente a disegnare sul buio come col gesso sulla lavagna, di cui le onomatopee riprendono il rumore stridente. Ancora più indicativo il contrasto tra il colore delle vignette durante le conversazioni: bianche a scritte nere per Dylan, a colori invertiti per la bizzarra figura dalle lunghe dita dell’Uomo Nero, il cui volto sembra esso stesso composto in parte di buio e non viene mai svelato completamente.

Estremamente significative (e altrettanto ben riuscite!) sono poi le tavole che illustrano come nel mondo delle ombre, al contrario di quanto accaduto all’ingresso dell’Indagatore dell’incubo in cui il buio era predominante, il nero viene lentamente sostituito dal bianco, prima lasciando spazio a sinistre componenti evocative, come ombre, un volto distorto, enormi occhi, e poi dissolvendo tutto l’ambiente circostante nel bianco nulla in cui, paradossalmente, Dylan con la sua caratteristica giacca e il colore dei capelli rappresenta l’unica fonte di nero.

Molto ben rese anche le tavole in cui la gentilezza di Dylan sgretola il regno delle ombre, atto che lo condurrà al cospetto della Paura stessa, ritratta sia in forma di giovane donna, sia con tratti mostruosi e corpi apparentemente contorti, quasi in preda a spasmi.

La tavola 77 risulta invece una vera e propria chiave concettuale dal piano grafico al piano narrativo: Dylan, nuovamente immerso nel bianco e privato delle sue paure, inizia a disegnare nel vuoto con un tratto nero, in modo analogo a quanto fatto precedentemente dall’Uomo Nero, completando così una sorta di “simmetria ambivalente”: il nero per poter scrivere necessita del bianco, così come il bianco necessita del nero; ed è in questa sorta di ritrovato equilibrio, quasi taoista, che la storia si avvia alla sua conclusione in una ventina di tavole (molto efficace e simbolica la 92, scena del bacio tra Dylan e la Paura), ritrovando via via una linea di pensiero razionale che, come nella miglior tradizione dylaniata, riconduce lentamente alla realtà. Poiché come espresso dall’Uomo Nero in principio: “La veglia della ragione uccide i mostri”.

In conclusione

Il bianco e il nero è sicuramente un albo di alto livello sotto tutti i punti di vista , probabilmente da includere nella classifica dei migliori lavori per entrambi gli autori.

Paola Barbato e Corrado Roi costruiscono una storia anomala e affascinante, ricca di piani narrativi e spunti di riflessione. Si mettono alla prova in una storia che in fondo è una sorta di “stress test” del personaggio di Dylan Dog: mettere in crisi i suoi tratti più caratteristici, rimettere in discussione le dinamiche con cui si rapporta al suo universo narrativo, cancellare per un istante tutti i suoi punti fermi e le sue certezze per poi ricostruire, attualizzare, ricontestualizzare, dare di nuovo un senso.

Un’odissea nella Cosmopolis delle ombre da cui il nostro Indagatore dell’incubo non può che uscire rinforzato e, in un certo senso, purificato.
Una storia che pare una traccia, quindi, una sorta di linea da seguire per i numeri a venire.
Noi lettori, d’altro canto, non possiamo che augurarci sia davvero così.

Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #372 – Il bianco e il nero
Paola Barbato, Corrado Roi
Sergio Bonelli Editore, Agosto 2017
100 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,50 €

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