«Baptism» di Kazuo Umezz: uno shōjo dalle tinte macabre per il maestro del brivido

«Baptism» di Kazuo Umezz: uno shōjo dalle tinte macabre per il maestro del brivido

Umezz prende la purezza dell’amore di una madre e lo porta in una dimensione da incubo in cui ossessioni ed egoismi prevalgono sul sentimento materno.

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C’è di che essere sorpresi nello scoprire che un autore dell’importanza di Kazuo Umezz (ormai ultraottantenne) sia per il pubblico occidentale una scoperta recentissima (in Italia abbiamo dovuto attendere il 2017 per avere una sua opera tradotta). La sorpresa è proporzionale all’impatto che il poliedrico artista ha avuto sulla storia del fumetto in Giappone da quando a cavallo degli anni ‘60 e ‘70 portò all’attenzione del grande pubblico storie di stampo orrorifico fino ad allora prerogativa esclusiva del mercato underground delle librerie a prestito (le Kashihonya). E mentre Shigeri Mizuki (GeGeGe Nokitarō), Jirō Tusnoda (Kyofu Shimbum) e Shin’ichi Koga (Eko Eko Azarak) nello stesso periodo approcciarono il genere horror in modo più scanzonato rifacendosi al folklore nipponico e tratteggiando personaggi spaventosi ma al tempo stesso capaci di compassione, le storie di Umezz avevano un approccio più adulto al genere, con particolare focus sull’approfondimento psicologico dei suoi personaggi.

Pubblicato sulla rivista Shōcomi tra il 1974 e il 1976 Baptism, finalmente edito in Italia da Star Comics in tre volumi per la collana dedicata proprio a Umezz, è tra le sue opere più rappresentative per quanto concerne disegno e tematiche.

Tra gli elementi ricorrenti della sua produzione che vi si possono rintracciare vi è innanzitutto la centralità delle figure femminili. Se ad inizio carriera queste erano calate in un contesto comico/sentimentale tipico degli shōjo al femminile (vedi Romance No Kusuri, Il Filtro d’Amore del 1962) con le opere successive (e Baptism non fa eccezione) Umezz declinò il tutto in chiave horror, passando così dal comico al grottesco, e amore e sentimenti lasciarono il passo a violenza e sopraffazione. Un ribaltamento che riguardò in primis proprio il ruolo della donna, che se in occidente stava andando incontro a una progressiva emancipazione, in Giappone era ancora molto legata a doveri materni e di gestione della famiglia.
Questa tensione che vedeva le donne spingere per ridefinire il proprio ruolo, e gli uomini intimoriti nel vedere minate le certezze alla base della propria identità culturale ha fatto sì che le figure femminili ricoprissero, in letteratura come al cinema, il doppio ruolo di vittime e carnefici. Un doppio ruolo che in Baptism è incarnato rispettivamente da madre e figlia.

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E qui troviamo il secondo tema caro a Umezz: quello della figura materna come rappresentazione simbolica del lato oscuro e crudele della Grande Madre (archetipo del femminile caro a Jung) che se nella sua valenza positiva rappresenta ciò che è benevolo, protettivo, tollerante e in generale tutto ciò che mantiene in vita, nella sua valenza negativa diventa terribile, vorace e predatorio. Una madre matrigna che non si prende cura, non protegge, ma maltratta fino ad arrivare a uccidere.

Prima di Baptism Umezz aveva già raccontato di madri matrigne e divoratrici, ma a dispetto di Mama ga Kowai (Ho paura di mamma, 1965), Benigumo (Il ragno rosso, 1965) e Hebi Shōjo (La ragazza serpente, 1966) dove queste erano governate da demoni o comunque affiancate da animali, in Baptism Izumi Wakakusa, questo il nome della madre, agisce perseguendo un egoistico desiderio di bellezza. La parte introduttiva della storia ce la presenta infatti come una giovane e celebre attrice costretta a ritirarsi dalle scene a causa di una voglia sul viso. Ed è qui che entra in scena un misterioso dottore (tra le poche figure maschili presenti nel racconto) che le offre un’agghiacciante soluzione al problema. La figura della figlia ci conduce invece ad un altro aspetto ricorrente delle opere dell’autore, ovvero quello che prevede bambini indifesi nel ruolo di vittime la cui innocenza è violentata da un mondo adulto privo di qualsiasi morale e con cui è impossibile comunicare.

La caratterizzazione dei personaggi può risultare oggi un po’ datata: lo stile è quello degli shōjo dell’epoca, con particolare evidenza nei tratti morbidi del viso e negli occhi enormi di Sakura. Questa distanza dagli stilemi dell’horror disegnato, invece di risultare inadatto, genera un contrasto sottilmente inquietante con le atmosfere da incubo del racconto.
Ed è anche di questo gioco di contrasti che Umezz si serve per manipolare le aspettative del lettore, minandone le certezze e scegliendo soluzioni narrative coraggiose e disturbanti tali da non dare punti di riferimento. Spiazzare il lettore è qualità fondamentale per chiunque si cimenti con il genere horror e Umezz manifesta padronanza della materia aiutandosi con un bianco e nero che gioca molto con le ombre e gli spazi chiusi (ma anche con i cieli plumbei), rendendo le tavole per certi versi claustrofobiche. Spesso l’autore indulge sul volto della giovane protagonista comunicando, per mezzo del suo sguardo allucinato, l’incubo che sta passando. E quando al bianco e nero sostituisce il colore, Umezz si affida a verdi e rossi dai toni ‘acidi’ per restituire l’atmosfera malata e perversa del racconto (le tavole a colori servono a dare risalto ai momenti chiave, spesso i più raccapriccianti).

Umezz, che è anche attore e regista, palesa inoltre un certo gusto cinematografico per le “inquadrature”, come si vede ad esempio nelle 5 vignette (pag. 86/87) nelle quali Sakura scopre l’orribile segreto celatole dalla madre: la tensione della scena è sottolineata da un progressivo zoom sul suo viso che si chiude con due vignette ad occupare un intera tavola raffiguranti un primo piano dei suoi occhi terrorizzati e un dettaglio del telefono accostato al suo orecchio mentre ascolta quella che sarà la sua sentenza. È lo sguardo impotente della vittima a trasmettere l’angoscia della situazione acuita, paradossalmente, dalla mancata presenza fisica del carnefice sulla scena. Di sequenze come questa (e cosi inquadrate) è piena la storia del cinema horror (tra i tanti potremmo citare Scream di Wes Craven).

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(senso di lettura giapponese, da destra a sinistra – ndr)

Ma forse il momento di maggior impatto emotivo è dato dal ricercato e morboso realismo della sequenza di un intervento chirurgico. Umezz lascia ben poco spazio all’immaginazione trasformando le tavole (con un layout a quattro righe e vignette piuttosto piccole per non tralasciare alcuna fase) in un resoconto dettagliato dell’operazione.

Dalla lettura di questo primo volume di Baptism si evince come l’opera di Umezz punti a smuovere le coscienze e richiamare l’attenzione su questioni che riguardano la psicologia umana e le sue debolezze. Ed è questo a rendere le sue storie attuali e la loro pubblicazione, per quanto tardiva, comunque necessaria. Invidia e gelosia sono in fondo il pane quotidiano della vita di ognuno di noi ancora oggi. Umezz mette a nudo con cinismo la natura egoistica dell’uomo, perché il vero orrore non è nella violenza di un corpo mutilato o in un macabro dettaglio, ma è nella totale assenza di empatia di una madre capace di anteporre la propria felicità alla vita della figlia.

Abbiamo parlato di:
Baptism 1
Kazuo Umezz
Traduzione di Ernesto Cellie e Chieko Toba
Edizioni Star Comics, ottobre 2020
384 pagine, brossurato, bianco e nero e colore – 17,00 €
ISBN: 9788822618979

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