Il processo per cui un eroe deve cadere, deve fallire e dimostrarsi più uomo che superuomo, affinché il pubblico entri in sintonia con lui, coinvolge anche il Bane di Chuck Dixon, Graham Nolan e Gregory Wright, non più l’antagonista, non più “semplicemente” il Cattivo, ma il primo attore, quello che ruba la scena e gli applausi a tutti, suscitando persino qualche risata perché, poverino, qualcosa va storto ma gli vogliamo bene comunque.
Nel secondo volume di Bane: Conquista, edito da RW Lion, sceneggiatore, disegnatore e colorista portano il protagonista in giro per il mondo costringendolo a scontrarsi con Kobra, una setta interessante e pericolosa. I quattro capitoli (#5-8) raccolti in questo brossurato sono la diretta conseguenza di quanto accaduto in quelli precedenti, dei quali si rende necessaria la lettura per comprendere globalmente la vicenda, non perché questa sia particolarmente intricata ma perché un arco narrativo era stato bruscamente interrotto a metà.
Continuando sulla linea della semplicità, senza mettere la parola “fine” alle avventure che si concluderanno nella terza e ultima uscita, lo scrittore dosa le esplosioni di violenza e l’inserimento di qualche battuta tagliente, mentre costringe il protagonista ad affrontare nuove sfide fisiche e psicologiche, per affermare la propria superiorità.
Con l’eccezione di alcune spiegazioni piatte, ma utili per dipanare e chiarire alcuni passaggi del racconto, i testi sono sintetici e scorrevoli, funzionali allo sviluppo dell’azione frenetica e ipertrofica che ne costituisce il fulcro.
Se i personaggi secondari appaiono piuttosto stereotipati, altrettanto non si può dire degli attori principali: senza strafare, Dixon fa recitare ognuno nel suo ruolo, puntando sulle qualità più note ed essenziali. L’esempio migliore è rappresentato da Catwoman, fondamentale nel breve arco narrativo La sfida, durante il quale sfoggia tutto il proprio repertorio, mostrandosi astuta, sfuggente, risoluta, doppiogiochista e intelligente.
Graham Nolan asseconda l’andamento della trama, disegnando un Bane granitico e incontenibile anche per le vignette, delle quali talvolta spezza i confini con i suoi pugni. Sembra paradossale affermare che l’espressività del protagonista aumenti quando indossa la maschera da luchador, ma si può argomentare precisando che in generale le fisionomie sembrano risentire di uno stile un po’ datato, soprattutto quando a essere ritratti sono tirapiedi e criminali di minore importanza, rimasti brutti ceffi, magari leggermente ingobbiti e con acconciature demodé, come da manuale lombrosiano.
Le tavole sono costruite secondo un’articolazione variabile della griglia, attenta a valorizzare i movimenti dei vari character, spesso in lotta tra loro. Si segnalano due strutture in particolare: la disposizione orizzontale delle vignette e la trifora verticale nell’ultima striscia della tavola.
In alcuni casi, principalmente quando il guerriero potenziato dal Venom – la droga da cui è diventato dipendente, che gli permette di aumentare le proprie capacità – mette a segno i propri colpi migliori, lo sfondo diventa tutto bianco, con vittima e carnefice in risalto, anche grazie allo stacco netto creato dai colori vivaci di Gregory Wright.
Giunti a fine lettura, il volume che abbiamo tra le mani non dà l’impressione di stamparsi nella nostra memoria per originalità e brillantezza di trama e testi, né per la presenza di tavole dense di virtuosismi e sperimentazioni. Piuttosto, è la caratterizzazione del personaggio principale a sollevare qualche riflessione.
NOI SIAMO BANE
“C’è una prigione, in una parte più antica del mondo. Un pozzo, dove gettano gli uomini per farli soffrire e morire. Ma, a volte, qualcuno risorge dalle tenebre. A volte, quell’inferno risputa qualcuno: Bane, nato e cresciuto in un inferno sulla Terra.”
Queste sono le parole che Alfred Pennyworth usa per presentare Bane a Bruce Wayne nel film Il cavaliere oscuro: il ritorno di Christopher Nolan. Con poche frasi a effetto, viene spiegata la genesi del potente avversario di Batman: sono sostanzialmente le origini che, nei primi Anni Novanta, proprio Dixon e Nolan assegnarono nel fumetto a colui che avrebbe spezzato la schiena dell’Uomo Pipistrello.
Nella pellicola, il personaggio interpretato da Tom Hardy non è solo uno strumento di Talia al Ghul, ma anche un abile stratega e un guerriero formidabile, è un’ideologia diventata carne, pronta a piombare sull’ordine costituito. Senza ricorrere alla droga fortificante, porta la rivoluzione a Gotham, dicendo di privare i ricchi e i corrotti del potere per affidarlo al popolo.
La premeditazione, la preparazione meticolosa di ogni mossa sono state fin dall’inizio qualità preminenti del villain della DC Comics. Durante la saga Knightfall, scritta tra gli altri anche da Dixon, prima di mettere fuori gioco il miglior detective del mondo, approfitta di un momento di debolezza del suo bersaglio e lo fiacca nel corpo e nello spirito, mandandogli contro un’orda di criminali. È dunque praticamente certo della vittoria, quando interviene in prima persona.
Circa un quarto di secolo dopo, i “padri” tornano a occuparsi del “figlio” e, nei primi due volumi di Conquista, lo raffigurano intento a costruire un impero basato sul controllo di tutti i cartelli criminali del mondo. Per diventare una sorta di Kingpin su scala globale, sulle prime, si affida alla sua mente, ma in un modo diverso da quello a cui ci ha abituati: entra in competizione con Dionisio, un’aberrante fusione tra uomo e macchina dall’intelligenza fuori dal comune, sfidandolo a scacchi e sul campo di battaglia. Successivamente, l’energumeno con la maschera afferma la superiorità della forza fisica, mentre il mostro dal volto umano sostiene che l’intelletto non abbia rivali.
In questa lotta ostinata, il protagonista arriva a snaturarsi e, quando i suoi sgherri glielo fanno notare, tira dritto per la propria strada. Ambizioso ma ottuso, ricorda i dannati descritti da Dante nell’Inferno prendendo a titolo d’esempio Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti: come se fossero affetti da presbiopia, vedono il futuro lontano ma non il contingente. Similmente, egli continua a vedersi sul trono, ma non si accorge che la fatica profusa per costruire la sua piramide criminale è inversamente proporzionale alla velocità con la quale i nemici la stanno disintegrando. Eppure rimane saldo, non si smuove dai suoi principi.
Questo nuovo-vecchio Bane della coppia Dixon-Nolan, malgrado i proclami iniziali, è più il braccio che la mente, è meno altero e distaccato, forse più avvicinabile dal lettore che riesce a simpatizzare per lui senza difficoltà e senza tremare al suo cospetto. Adottando un registro basso – comico, per restare nei confini danteschi – lo sceneggiatore può inserire nella vicenda una sfumatura grottesca; può permettersi di gettarci davanti agli occhi un uomo ingenuamente beffato due volte e da due donne diverse; a pochi mesi di distanza può inquadrare da una prospettiva diversa rispetto a quella usata da Tom King colui che nel film di Nolan si definì “la resa dei conti di Gotham”.
L’autore di Visione e di Mister Miracle ha scelto di coinvolgere il forzuto con la maschera da wrestler in due archi narrativi della sua gestione batmaniana: Io sono suicida e Io sono Bane. Nel primo è Bruce Wayne a recarsi dall’avversario per farsi consegnare lo Psicopirata con la minaccia di spezzargli “la maledetta schiena”, nel secondo i ruoli si invertono e il Pipistrello è costretto a difendere con le unghie e con i denti la sua famiglia.
Confrontando queste storie con i due volumi di Conquista e con Knightfall, si ha la sensazione che King e Dixon abbiano giocato a inseguirsi vicendevolmente. L’ex agente della CIA prima accenna e poi approfondisce l’infanzia di Bane, facendo germogliare i semi sparsi dal creatore del personaggio; ne mostra due versioni, senza e con il Venom; crea dei parallelismi tra il Buono e il Cattivo, esaltandone le doti fisiche e mentali, senza possibilità di alleanze o compromessi ma proponendo come unica via percorribile un’escalation di ansia e di violenza. È il crociato incappucciato il bersaglio della furia machiavellica del figlio della prigione infernale, tutti coloro che si mettono sulla sua strada sono agnelli sacrificali, pedine da cannibalizzare per arrivare allo scacco matto.
Ci sono i muscoli, ma soprattutto i calcoli, i piani, le idee. C’è un alto profilo confermato dai fatti. C’è anche una dichiarazione d’intenti che non passa inosservata allo sguardo di Dixon: “Giuro sul sangue dei miei genitori […] di dedicare il resto della mia vita alla conquista di tutti i criminali“. Sembrano partire idealmente da qui i primi due volumi della serie Bane: Conquest, che sono stati pubblicati dalla DC Comics dopo I am Bane e sono totalmente autonomi dal punto di vista della continuity.
Il punto è che Chuck non copia la visione di Tom: si può tentare di soggiogare il mondo della malavita con un tono più scanzonato. Se non si ha una nemesi da affrontare, se non si ha di fronte la versione pura ed eroica di se stessi, se al centro del mirino non c’è un uomo solo, ma tante persone, tante organizzazioni, la concentrazione cala, la mente vacilla, il corpo prende il sopravvento e, sotto l’effetto della droga, può sbagliare.
E se queste increspature fossero il risultato di un cambiamento di ruolo? Se fossero conseguenza dal passaggio del fu “Flagello” (così veniva chiamato nel film Batman & Robin di Joel Schumacher) da villain a protagonista? Forse, quando affronta Bruce Wayne egli deve apparire quasi perfetto – non del tutto, altrimenti non potrebbe essere sconfitto – mentre, quando diventa il fulcro della storia, è viva la necessità di renderlo più umano, più simile al lettore, per consentire a quest’ultimo di identificarsi con lui. Addirittura, il maestro della tattica commette errori banali proprio quando tradisce la sua natura individualista, egoista e cinica, aprendo il proprio cuore a una piccola buona azione.
Abbiamo parlato di:
Bane: Conquista – Vol. 2
Chuck Dixon, Graham Nolan, Gregory Wright
Traduzione di Francesco Castelli (Arancia Studio)
RW Lion, luglio 2018
96 pagine, brossurato, colore – 9,95 €
ISBN: 9788833042534