Con una copertina che suggella un nuovo inizio, richiamando in tutto e per tutto Total eclipse of the heart, il primo volume della saga, Marco B. Bucci e Jacopo Camagni rivoluzionano la loro creatura e trasformano Nomen Omen in Arcadia. Un cambio di testata che, visti gli eventi che hanno chiuso il terzo volume di quella che a tutti gli effetti è stata la prima trilogia, si rivela quasi una naturale conseguenza.
L’Arcadia, terra ideale, dove uomini e natura vivono in armonia, per gli autori è la terra natìa di tutte le Storie. La trasformazione di Manhattan in luogo magico ha reso l’isola newyorchese un crogiolo di suggestioni. Già dalle prime battute Bucci e Camagni presentano un assaggio della varietà del mondo di Arcadia attraverso una tavola che fornisce uno scorcio di ciascuno dei cinque reami, che riprendono in chiave magica le divisioni in quartieri della Manhattan reale.
Familiar and worn out faces
Col prosieguo del racconto, poi, ci addentriamo in queste variopinte ambientazioni grazie a una narrazione strutturata, che focalizza l’attenzione su singoli gruppi di personaggi e attraverso essi compone man mano la trama globale. La coralità che caratterizzava As the world falls down qui viene ripresa e per certi versi amplificata, denotando una particolare cura nella tessitura delle diverse storyline, che permette al lettore di addentrarsi nelle pieghe della trama in maniera naturale.
Si tratta di un passaggio non così scontato, considerando che la transizione Manhattan-Arcadia, in divenire nel corso del terzo volume, qui è assodata e cristallizzata da tre anni. L’ambientazione è totalmente cambiata e con essa anche le dinamiche fra i personaggi: il loro modo di agire deve giocoforza tenere conto della nuova realtà ed è su questo punto che gli autori insistono molto lungo il racconto. Mostrare la quotidianità, l’incedere del tempo nelle situazioni statiche o di passaggio aiuta ad acclimatarsi, a prepararsi agli eventi più rilevanti a livello di macro-trama che vengono poi mostrati nella parte finale del volume, che come di consueto si chiude in un cliffhanger brusco e carico di suspense.
Il disegno di Camagni si contraddistingue ancora una volta per il tratto netto e preciso, che diventa sempre più personale col passare del tempo. In questo capitolo della saga assume particolare valenza la recitazione dei personaggi, animati da posture e mimiche dei volti molto evocative. I tormenti, i momenti di intimità, gli scontri, sono restituiti al lettore con potenza espressiva e naturalezza, grazie anche a uno storytelling maturo capace di alternare dettagli e visioni d’insieme con efficacia, nell’ambito di un layout che non prevede schemi fissi, ma è parte integrante della narrazione. Molto ben realizzate poi le viste del Lower Realm, l’unico quartiere di Manhattan che non è stato fagocitato dal rituale e che è ora la sede degli acquartieramenti di Becky e dei suoi seguaci: l’intero complesso architettonico del 9/11 Memorial è stato ricreato con attenzione estrema ai particolari, compreso lo spettacolare Oculus di Calatrava.
Da sottolineare anche la realizzazione della lunga sequenza finale, durante la quale Camagni dà sfoggio delle sue capacità tecniche e compositive. Tutte le tavole si caratterizzano per un montaggio molto serrato, con un utilizzo massiccio di vignette campo-controcampo, sia nei campi lunghi che nei dettagli, abilmente alternati, e di prospettive accidentali che restituiscono grande dinamicità. Le movenze dei personaggi sono convincenti, i volti tirati ed espressivi, con un ruolo centrale assunto dagli occhi, punto focale delle vignette fino a divenirne spesso protagonisti.
Elemento fondamentale è poi l’utilizzo dei colori, che come più volte detto nel corso della saga, hanno una valenza narrativa ben precisa. Dopo aver curato il terzo volume della serie, anche in Mad World Fabiola Ienne compie un ottimo lavoro. Nella fattispecie è molto interessante, perché riprende visivamente uno dei cardini della trama, il contrasto creato dalla contrapposizione tra l’esplosione di colori che caratterizza i reami di Arcadia con il grigio, punteggiato dall’ormai classico “verde Becky”, protagonista della Lower Manhattan. Una contrapposizione che diviene ancora più evidente nel finale, quando i due mondi hanno modo di venire a contatto e diventa cruciale il dosaggio delle tonalità, che segue di volta in volta gli esiti dello scontro.
Le sequenze oniriche, realizzate come di consueto da Fabio Mancini, si integrano perfettamente nel flusso narrativo principale, e divengono anche in questo caso decisive nel finale, con una vera e propria “scena madre” che si svolge nel mondo del sogno e prepara alla chiusura del capitolo.
Senza frontiere
“Ah le virtù, le sventure e gli errori degli uomini grandi non possono scriversi nelle arcadie e nei chiostri!”, sosteneva il Foscolo. Alla quarta iterazione della saga, bisogna invece ancora una volta riconoscere agli autori la capacità di gestire un universo in continuo divenire grazie a un racconto stratificato, mai didascalico, che accompagna il lettore con discrezione, suggerendo a ciascuno di aggiungere anche la propria storia nel crogiolo di Arcadia.
Non è raro infatti fermarsi per interrogarsi sulle motivazioni dei personaggi, immaginarsi al loro fianco nel reagire ai dubbi, ritrovandosi a collegare le azioni di oggi a quelle che nei volumi precedenti potevano sembrare semplici suggestioni.
Al contempo, rileggendo i capitoli precedenti si possono scovare diversi indizi che denotano da un lato la coerenza generale del racconto, dall’altro la possibilità di godere dei numerosi livelli di lettura dell’opera, grazie a elementi narrativi che funzionano sia nella loro collocazione originaria, per così dire, sia una volta riletti alla luce dei cambiamenti dettati dal nuovo corso degli eventi. Valga per tutti l’esempio di Andrew, personaggio che ritengo fra i più riusciti, per la sfaccettatura del suo carattere e per la convincente evoluzione che ha avuto nel corso degli anni, adattandosi di volta in volta ai cambiamenti. Anche il tormento della protagonista Becky Kumar sembra non potersi risolvere, arringa il suo esercito della Mano verde dalla cima dell’Oculus, ma il conflitto dilaniante che la contraddistingue si acuisce sempre più, delineando una fragilità intrinseca che suscita un’empatia irresistibile.
Coesistendo così tanti elementi all’interno della stessa storia, provare a etichettare questo fantasy diventa quasi superfluo: le diverse anime che lo compongono sono in continua lotta fra loro, facendo emergere di volta in volta l’uno o l’altro aspetto peculiare, in un continuo cambiamento di status quo.
Due parole infine sulla Coven Edition: per la prima volta, infatti, l’edizione Variant non si limita alla sola copertina, quest’anno realizzata da Pepe Larraz, ma il volume è incastonato in un involucro trasparente in PVC con il logo di Arcadia in verde, che contiene anche una bellissima mappa di Manhattan/Arcadia, realizzata da Fabio Porfidia, e un dado da gioco d20, a richiamare Azoth, la nuova spada della protagonista che ne contiene uno nell’elsa. Un’edizione a tiratura limitata in 500 esemplari che rappresenta un attestato dell’entusiasmo con il quale Panini sta proponendo la serie.
Abbiamo parlato di:
Arcadia vol. 1 – Mad World
Marco B. Bucci, Jacopo Camagni, Fabiola Ienne, Fabio Mancini
Panini Comics, 2020
144 pagine, cartonato, colori – 17,00 €
ISBN: 9788891279989