Nella prima parte dell’intervista ad Otto Gabos abbiamo parlato soprattutto della riedizione in volume di Apartments a cura della Black Velvet. Nella seconda invece ci concentriamo sulla ristampa di Tobacco e più in generale sul lavoro e sulle passioni del bravo autore sardo.
Passiamo ora a parlare di Tobacco, che invece nasce all’interno della mitica Nova Express su testi di Pino Cacucci e Gloria Corica. Com’é stato lavorare con questo bravo scrittore che (credo) per la prima volta si cimentava con un fumetto?
é stata un’esperienza bella e divertente. L’idea di creare il team proveniva da Luigi Bernardi (allora direttore della rivista, ndr). Per cui un giorno ci siamo trovati in redazione dove ho conosciuto Pino che mi ha dato la prima parte di sceneggiatura. Gloria l’ho conosciuta un po’ più tardi. Mi aspettavo un bel plico scritto preciso e ordinato come ci si aspetta da uno scrittore professionista e invece mi arriva uno storyboard disegnato per l’occasione da Pino. Fabio Filzi, il protagonista aveva i riccioletti, nella mia versione porta invece i capelli out of bed. Siamo andati avanti così per tutta la durata della storia. Tra una risata e l’altra, discutendo sui montaggi e sul testo, ma in maniera assolutamente rilassata. Meno male, perché tendenzialmente non sono particolarmente abituato a disegnare storie scritte da altri.
Con Pino e Gloria si era parlato anche di raccogliere e presentare in qualche modo tutta questa parte dietro le quinte, ma finora è rimasta solo una bella idea.
Quindi sei intervenuto anche nella sceneggiatura?
Come ho già accennato discutevamo del ritmo e del montaggio. Spesso aggiungevo vignette, ne toglievo delle altre, decidevo il campo d’inquadratura. Sui dialoghi invece non c’era quasi mai niente da dire. Funzionavano benissimo, avevano il ritmo giusto, la quantità di parole giuste; ci stavano quasi sempre nei balloon. Scherzi a parte, penso che non sia facilissimo per uno scrittore abituato ad esprimersi unicamente con la parola stampata cimentarsi con un medium come il fumetto, dove il testo deve necessariamente fare i conti con uno spazio circoscritto e limitato. Con il fumetto bisogna imparare le regole della convivenza.
La figura di questo investigatore un po’ squattrinato e un po’ sfigato, con questo atteggiamento un po’ amaro verso la sua vita e il suo lavoro ha qualche relazione con i personaggi che sei abituato a descrivere nei tuoi lavori?
La figura del perdente del loser e del beautiful loser nella sua migliore incarnazione mi affascina. Mi sento a mio agio a scavare negli anfratti malinconici delle persone. Ho letto e leggo parecchia letteratura noir dove il perdente è la colonna portante. Mi sento molto a mio agio con certe atmosfere dei romanzi di Nick Hornby o di Hanif Kureishi dove ridi, rifletti e spazi dall’amarezza, al cinismo, fino al puro divertimento. Fabio Filzi va in questa direzione. Sarebbe perfetto per una fiction televisiva anche se forse non è un modello proprio edificante. Beve, fuma, è politicamente scorretto, non è un cattocomunista da parrocchia e non tratta casi di bambini abbandonati. Insomma un po’ distante dai canoni della fiction televisiva di questi anni.
Tornado a parlare del tuo stile di disegno, nelle opere seguenti, cito I camminatori e Loving the alien, mi sembra invece che il tuo disegno abbia sommato i due aspetti che ho sottolineato in Apartments e Tobacco, mantenendo una certa squadratura nei visi, aggiungendovi pero’ una minor rigidità nella preparazione della tavola e una certa misura di linee curve e addolcite. Cio’ è derivato solo dal diverso soggetto trattato o anche da una necessità ed un bisogno grafico differente?
Un po’ tutti e due gli aspetti. Per I Camminatori ho sviluppato e consolidato la raccolta delle location d’ambiente. Per quanto riguarda il segno ho sperimentato un tratto frastagliato che poi finiva per confluire in un segno più spesso. Lo faceva Jacovitti. Un’inchiostrazione del genere mi permetteva di procedere più velocemente e soprattutto conferiva agli sfondi un aspetto più spontaneo e intrigante. Non mi è mai piaciuto inchiostrare le strutture architettoniche con riga e squadra. Mi sembravano senza vita, troppo freddi e troppo simili alla copia su lucido di un progetto. Al contrario le incisioni delle carceri di Piranesi nel loro immenso marciume mi hanno sempre affascinato. Bisognava far affiorare quanto di gotico c’é in Bologna. Le tegole dei tetti, i portici infiniti, i muri consumati erano oggetti fantastici da disegnare e usare proprio quel tipo di tratto frastagliato, spezzettato, per certi versi ambiguo e misterioso mi è sembrata la soluzione migliore. Nei Camminatori ho usato il nero come colore, ossia in alternanza quasi optical rispetto alle aree bianche. è una storia scura, ma non espressionista come poteva essere a tratti Apartments. Questo per non appesantire eccessivamente certe atmosfere. Volevo comunque che I Camminatori restasse una commedia. Certo una commedia gotica, ma sempre commedia.
Per Loving the Alien i neri sono molto più rarefatti. Nella prima stesura, quella che doveva uscire su Dinamite (rivista della Granata press, durata solo 2 numeri, uscita nel 1995, ndr) avevo addirittura usato due toni di grigio. I personaggi spesso gommosi nascono da strutture geometriche. Per esempio il viso di Oberdan, il protagonista, parte da un pentagono e così avviene per gli altri personaggi. Forse con un segno così costruito volevo prendere un po’ le distanze rispetto al testo che trattava in alcune circostanze momenti decisamente autobiografici. Era una forma di difesa e tutela verso tematiche e situazioni che stimolate con insistenza rispondevano con forti contraccolpi emotivi.
Parliamo d’altro e più precisamente della tua collaborazione a Mondo Naif. Ci puoi raccontare com’é nato questo rapporto e com’é lavorare con i Kappa boys?
é stata un’esperienza davvero molto importante. L’idea di Mondo Naif viene dopo una serie di chiacchierate piuttosto che riunioni ufficiali. Le cose belle nascono quando sei rilassato e l’atmosfera intorno ti fa sentire a tuo agio. Le riunioni sono quasi sempre una perdita di tempo. Si decide meglio in un pub o a una cena. Mondo Naif nasce con l’idea di ambientare delle storie a Bologna con un trait d’union temporale. è stata la prima volta che lavoravo in maniera così forte e intensa abientando una storia nel posto in cui vivevo quasi tutti i giorni. Avevamo voglia di parlare di quegli aspetti del quotidiano che diventavano la storia. Volevamo parlare di ragazzi degli anni ’90, ragazzi che almeno nel mio caso attingevano dal mio passato ancora recente di studente al DAMS. Poi certi di noi hanno fatto irrompere in questo quotidiano bolognese, l’evento straordinario, l’epifania del fantastico e sono nate le storie di Vanna Vinci e Giovanni Mattioli, quella di Davide Toffolo, la mia. Storie molto diverse tra loro ma con una forte matrice connotativa in comune. Quasi senza progettarlo era nato l’inconfondibile marchio Mondo Naif. Forse insieme agli anni della Granata press quelli di mondo Naif sono stati i più decisivi, ma nel caso di Mondo Naif avvertivamo tutti che stavamo facendo qualcosa di valido. Importante è una parola troppo grossa. Avevamo il controllo, scambiavamo opinioni, sfornavamo idee, insomma c’era davvero molto entusiasmo.
La prima serie di Mondo Naif probabilmente è stata una delle ultime riviste da edicola ad avere un senso, che abbia lasciato qualche traccia. Con la seconda serie, quella firmata Kappa Edizioni, per cui ho fatto anche il redattore, lo spirito dell’inizio è andato via via smarrendosi. Cio’ che poteva essere considerato gruppo si è sfilacciato. Ora è da parecchio che non pubblico più una storia mia sia nei testi che nei disegni. Pero’ nell’ultimo numero c’é una storia che ho scritto per Cristina Amaroli (I miei ragazzi, Mondo Naif 25, ndr).
Tu hai esordito come fumettista su Tempi Supplementari, (periodico della Primo Carnera costola di Frigidaire, ndr), in un periodo nel quale in edicola si trovavano diverse riviste dove i giovani autori potevano cercare di approdare. Alla luce invece della desolante situazione attuale, che importanza dai ad una rivista come Mondo Naif che è riuscita in questi anni a proporre tanti fumetti provenienti da scuole differenti, dando soprattutto spazio ad autori italiani spesso esordienti? È una mosca bianca o secondo te esiste ancora spazio per questi tipi d’esperienze editoriali?
Appunto Cristina Amaroli è quello che si dice “una giovane autrice” anche se non più esordiente. Penso che Mondo Naif sia una roccaforte nel deserto assediato dal niente. Anni fa ho giurato di non fare i soliti discorsi catastrofici sulla salute del fumetto italiano che mi accompagnano dai tempi di Frigidaire, pero’ oggettivamente la situazione, come tante altre volte in passato, non è delle migliori. Siamo a rischio d’estinzione. La produzione di fumetti italiani è davvero bassa e non puoi taroccarla facendo rientrare nel numero le numerose testate Bonelli, che in fin dei conti fanno parte di un’unica concezione stilistica. Ci sono poche voci nel panorama editoriale, quasi mai supportate da un editore in grado di tutelarle, farle crescere, diffonderle. E non sto dando la colpa agli editori, so benissimo che i costi di gestione sono altissimi e il rientro economico e di vendite davvero modesto. Pero’ non bisogna arrendersi. La parola crisi c’é sempre stata così come ci sono sempre state le cassandre snob e anemiche che annunciano tracolli e chiusure di testate e case editrici. A volte per certi individui annoiati profetizzare le disgrazie editoriali diventa l’attività principale. Farebbero meglio a concentrarsi sul lavoro. Lo spazio per nuove esperienze editoriali è assolutamente necessario. è vitale. è anche per questo che faccio il tifo per Orme di Silvano Mezzavilla. Uscire in edicola adesso con una rivista per un pubblico adulto è probabilmente un’impresa da temerari, ma fondamentale se si vuole andare avanti. Il problema delle edicole è conquistare un minimo di spazio per avere visibilità. Putroppo, a volte è quasi impossibile e la situazione sta diventando simile anche in fumetteria. Un fattore su cui puntare per conquistare nuovo pubblico è abituare il lettore ad avere gusti trasversali. Cio’ richiede una buona apertura mentale unita alla curiosità. La mia generazione leggeva con disinvoltura dai supereroi ad Alan Ford, passando per Zagor e Il Corriere dei Ragazzi. Ora mi sembra che il pubblico sia molto settorializzato. I vasi comunicanti non comunicano più. Ed è un vero peccato.
separatorearticolo All’interno della tua produzione la prima storia dei Camminatori, e Loving the alien sono le cose che preferisco maggiormente.
Soprattutto nei Camminatori mi è molto piaciuta la commistione tra il privato del protagonista e questa storia quasi arcana, misteriosa di queste persone che vagano per Bologna; sensazioni che in parte, anche se in forme diverse, ho ritrovato in Loving the alien, dove invece l’adolescenza del protagonista è raccontata attraverso la mistificazione del presunto ed improbabile incontro con gli alieni in Sardegna. Quello che mi piacerebbe capire è se queste deviazioni fantastiche, per mezzo delle quali racconti le vicende private, gli amori, le amicizie, le speranze dei tuoi protagonisti, ti servano solo come espediente narrativo o in realtà hanno un’importanza particolare ed autonoma?
C’é un legame indissolubile tra i diversi piani narrativi. Nelle mie storie il fantastico entra ed esce all’improvviso. è sempre presente solo che non sempre si mostra nella medesima intensità. è una questione d’abitudine ad una maggiore attenzione percettiva. Filtro e racconto quello che vedo. Per I Camminatori non mi sono sforzato più di tanto, effettivamente da ragazzo seguivo dei camminatori, persone del tutto simili a quelle inserite nel volume. Ce ne sono tanti in giro, ma non capita mai di vederli tutti insieme. è in quel momento, quando gli elementi sono disposti in un ordine, inconsueto, sbagliato, quindi disturbante, perturbante, che veniamo investiti dal fantastico. Comunque, l’inserimento di aperture fantastiche nelle mie storie arriva da lontano. Da bambino ogni volta che iniziavo un libro, che vedevo un film speravo sempre che succedesse qualcosa d’incredibile e d’inspiegabile. Mi piacevano Dracula e il mostro di Frankenstein mentre Bruce Lee e gli inseguimenti con le macchine mi lasciavano abbastanza indifferente. Del resto mi capita lo stesso anche adesso.
Quindi è in questa linea di confine che sfiora l’amore, il privato, il conflitto e lo stupore che prediligo muovermi per le mie storie. Un po’ un lavoro da equilibristi o piuttosto da alchimisti. Se sgarro tutto si connota diventando horror, noir, commedia e allora preferisco giocare un po’ con questi elementi.
Il fatto che hai prodotto un seguito ai Camminatori è dovuto al riscontro di pubblico che hai avuto con la prima storia, oppure avevi già altre cose in testa da raccontare? Ti chiedo questo perché secondo il mio parere (e i miei gusti, ovvio) ho trovato il primo ciclo già a posto, concluso, perfetto. Ho l’impressione che invece la seconda storia sia più interlocutoria, meno definita, sicuramente aperta a nuovi sviluppi. Sono fuori strada?
Byzantium (la seconda storia dei camminatori, ndr) doveva essere solo la prima parte di un’opera più articolata che prevedeva ulteriori sviluppi del destino di Algida, protagonista femminile de i Camminatori. Purtroppo non è mai andata avanti e ci siamo fermati e ciò che sembra concluso frettolosamente è in realtà inconcluso. Me ne dispiace, per me e per i lettori che magari saranno rimasti sorpresi da un finale così brusco. Sorpresi nella migliore delle ipotesi. Il progetto non è andato avanti per colpa mia che non l’ho continuato. Tuttavia era evidente che non c’erano i presupposti per farlo. Così sono passati già degli anni senza aggiungere niente di nuovo al mondo dei Camminatori. Ci ho pensato spesso infastidendomi del fatto di avere lasciato le cose a metà, ma più passava tempo e più diventava difficile riannodare i fili. Non potevo riprendere la storia da dove avrei voluto ai tempi di Byzantium e allora mi sono messo alla ricerca di nuove soluzioni narrative che mettessero ordine e che riportassero la storia alla stessa atmosfera della prima serie. Al momento attuale ho finito un plot molto dettagliato e sono quasi pronto a scrivere la sceneggiatura. Mi mancano ancora le foto per la location che sarà Berlino, città che conosco molto bene perché ci ho vissuto per qualche tempo ma che negli ultimi anni sta cambiando vertiginosamente. C’é anche un titolo provvisorio, che mi piacerebbe mantenere anche in corso d’opera. Un titolo inusuale e di questi tempi anche piuttosto provocatorio: Io sono felice.
Se si trova un punto d’incontro con l’editore fra un po’ posso mettermi in moto. Altrimenti pensero’ ad altre soluzioni.
L’altra cosa molto e bella e interessante della tua produzione è Frontiera, il romanzo incompiuto in otto capitoli, soprattutto per le parti narrative che hai composto assieme a tale Carlo Angelozzi. Le ho trovate molto evocative e veramente interessanti. Ci puoi dire in breve la nascita di questo progetto e che riscontro hai avuto dalla critica e dai lettori?
é una delle cose a cui sono più affezionato e che mi ha visto coinvolto su diversi fronti. Nel progetto iniziale non volevo disegnare nessun capitolo, ma poi dopo una serie di defaillances dei disegnatori incaricati mi sono assunto il compito di realizzare le pagine d’apertura. Mi sembrava esagerato che fossi ideatore e curatore (con Omar Martini e Massimo Semerano), sceneggiatore e scrittore.
L’idea c’era venuta per chiudere il millennio confrontandoci con un progetto editoriale che non avevamo mai fatto prima: un’antologia. Dopo una serie di riunioni abbiamo optato per l’incompiutezza, per la raccolta di frammenti da assemblare e amalgamare. Gli intermezzi scritti li ho quasi tutti pensati e compilati in occasione dell’antologia. Sono andato ad attingere dal personale e da fatti di persone che ho incontrato, conosciuto, o brandelli di discorsi captati per caso a feste, pub, sugli autobus. Questi microracconti erano già nell’aria che aspettavano di prendere forma. I disegni netti e inquietanti di Carlo Angelozzi scandivano il tempo, li marchiavano come momenti immutabili. Mi piacciono molto quelle illustrazioni. Chissà cosa fa oggi Angelozzi; ci siamo persi di vista, spero che stia continuando disegnare.
Ci puoi dire cosa ti ha spinto a diventare fumettista? quali autori più ti hanno influenzato all’inizio della tua carriera e quali oggi ti piacciono maggiormente?
Questa è facile. Da bambino quando quasi tutti vogliono fare gli astronauti, i pompieri o le parrucchiere io volevo fare i fumetti, scrivere i romanzi e vivere a New York. Negli anni successivi mi sono messo d’impegno per raggiungere tali obiettivi. Scherzi a parte, un ruolo fondamentale lo ha svolto mio padre. è stato un fumettista mancato. Era dotato di talento tant’é che Galleppini, che era suo insegnante a scuola, lo voleva portare a Milano quando stava nascendo Tex. Mio padre era troppo piccolo e rimase a Cagliari da dove non si è più mosso. I fumetti sono rimasti la sua passione pero’. Ne comprava una quantità enorme. Penso di essere stato tra i bambini a possedere e leggere più fumetti tra quelli che conosco, con un netto distinguo pero’: di solito i miei coetanei leggevano solo fumetti della contemporaneità, io invece divoravo anche quelli d’anteguerra come le riduzioni dei romanzi di Salgari disegnate da Molino, Albertarelli, Canale, Moroni Celsi, per citare qualche autore, senza dimenticare i classici americani come Flash Gordon, Brick Bradford, Prince Valiant, Cino e Franco.
Fino a qualche tempo fa mi risultava difficile dire senza esitazioni quali fossero gli autori che mi avevano influenzato maggiormente. Poi l’ho capito. è una questione di amore. Per cui ecco la mia playlist senza ordine di preferenza: Magnus (ma anche Magnus&Bunker), Jack Kirby (ma anche Lee&Kirby), Benito Jacovitti, Hugo Pratt e E.C. Segar.
Sono stati fondamentali per la mia formazione. Crescendo ho fatto altri incontri, certi molto importanti, ma il grosso del lavoro, nel bene e nel male, è stato fatto grazie alle loro opere.
Quando anni dopo ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrare e conoscere Magnus è stata davvero un’esperienza molto bella. Ascoltare Magnus era sempre un’esperienza nel vero senso della parola. Oggi leggo pochi fumetti, me ne rammarico, ma è così. Frequento poco le fumetterie, comunque seguo con costanza le novità. Mi piacciono le cose che fa Igort: ha sempre una marcia in più, guarda sempre avanti. Mi piacciono una serie d’autori francesi come Blain, Sfar, certe cose di David B., Serge Clerc se solo facesse qualcosa. Tra gli americani da qualche tempo sto apprezzando il talento di Guy Davies che unisce freschezza ad un gusto vagamente retro’. è un po’ come leggere i supereroi d’altri tempi e trovo che Neil Gaiman e Brian Michael Bendis sappiano scrivere storie complesse e affascinanti. Poi Chris Ware è un genio. Invece non seguo l’universo manga a parte qualcosa di Miyazaki.
Se dovessi ringraziare una persona che ti ha aiutato ad intraprendere questa carriera chi sarebbe?
Come ho già detto, mio padre senza dubbio, poi andando avanti negli anni ci sono state altre persone che hanno avuto un ruolo specifico. Igort nel bene e nel male, Luigi Bernardi forse l’unico direttore editoriale di settore a saper veramente fare il suo mestiere, Francesca Ghermandi per le chiacchierate illuminanti, Antonio Fara per i consigli tecnici. La carriera di un autore è un percorso con molti incontri. Parecchi di questi hanno anche un significato.
E se tu oggi dovessi dare dei consigli ad un aspirante fumettista cosa gli diresti?
Di diventare un autore completo che sappia scrivere e disegnare. Per molte persone fare fumetti significa solo disegnare, ma non è così. Chi non cerca mai di scrivere fa più fatica ad entrare dentro la storia. Il solo talento, spesso mostruoso, non basta. Bisogna imparare ad usarlo. Altro consiglio: non esistono solo i fumetti o i cartoni animati con le relative odiosissime colonne sonore. C’é tanto da vedere, da leggere, da vivere. E poi viaggiare fa sempre bene.
Visto che i tuoi fumetti sono zeppi di riferimenti musicali (anche alla new wave dei primi ottanta) e visto che il sottoscritto è in parte (nella sua identità segreta) un musicista, vorrei sapere:
a) che legame trovi che ci sia tra l’arte disegnata e quella suonata?
b) i dischi che ti porteresti su Venere quando i venusiani ti verranno a prendere a Nora?
Per me il legame è fondamentale. La musica di sicuro m’influenza di più che tutto il resto. Quando scrivo o disegno lavoro con la musica, quando penso ad una situazione la penso inserendo la musica. Al di là di questo la musica diventa filosofia, ispirazione, nutrimento che poi trasfiguro in storie e immagini.
Sono un bowiano da sempre, quindi senza dubbio Heroes, Hunky Dory e Stage che racchiude la sua essenza, poi Berlin di Lou Reed, Brilliant Trees di David Sylvian, Grace di Jeff Buckley, Adam’n Eve di Gavin Friday, Peter Gabriel III, Atom Heart Mother dei Pink Floyd, Remain In Light dei Talking Heads, qualche raccolta di Chet Baker, Thelonius Monk, Bill Evans, Billy Holiday, Jacques Brel, il preludio del primo atto del Tristano e Isotta di Wagner e la cover di Hurt fatta da Johnny Cash qualche tempo prima di morire. Poi se i venusiani mi consentono di portarmi dietro anche un iPod la musica cambia. Anzi aumenta!
Ci puoi parlare brevemente dei tuoi progetti in cantiere?
Per i prossimi mesi saro’ molto impegnato con la nuova edizione di Arena il festival del fumetto che facciamo ogni anno a Bologna, che è giunto ormai al 7 appuntamento; mica poco…
Per il fronte fumetti ho in cantiere un lavoro abbastanza anomalo che mi vede alle prese con la vita del grande musicista Irving Berlin, per il quale ho appena finito lo storyboard. Poi c’é sempre il librone sulla mia esperienza americana di due anni fa. È un progetto complesso, molto articolato, soprattutto lungo: ci vorrà parecchio tempo per farlo crescere come ho in mente.
Concludi nel modo che vuoi questa chiacchierata.
Mi ha fatto piacere parlare un po’ di questi ultimi anni, mi piace avere un contatto con i lettori.
Da qualche giorno ho attivato all’interno del mio sito anche il blog, quindi invito tutti quelli che hanno voglia di chiacchierare con me a venirmi a trovare al www.ottogabos.com.
Adesso saluto tutti e ti ringrazio di nuovo per avermi ospitato sullo Spazio Bianco.
E a noi dello spazio bianco non resta che contraccambiare, sottolineando l’estrema disponibilità e simpatia concessaci durante tutta la lavorazione dell’intervista.
Grazie Otto: alla prossima.
Links:
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