Andrea Romoli, fisico e fumettista fiorentino, è una persona colta e deliziosa (altrettanto lo è la sua compagna Maddalena) che ha l’abitudine di parlare con un filo di voce, come se non avesse nulla da dire. In realtà gli aneddoti che questo elegante signore del 1944 potrebbe raccontare sono infiniti, e non ci si stancherebbe mai di ascoltarli. Alcuni di questi vengono da lui rielaborati in una formula narrativa che sembra maneggiare con estrema facilità: il fumetto.
Romoli parla varie lingue (inglese, francese e tedesco di sicuro, ma potrebbe parlarne delle altre che non so, come anche lo spagnolo che sua madre conosceva molto bene) e ha avuto nel padre Mario – filosofo, inventore e pittore che ha lasciato varie opere a testimonianza del suo passaggio (suo l’affresco sulla Porta Romana a Firenze) – una figura di riferimento. Il Romoli figlio, Andrea, per oltre trent anni è stato ai vertici della progettazione ottica della Galileo e in tutto questo tempo non ha mai smesso di scrivere e disegnare racconti a fumetti.
Sulla base di un suo fumetto degli anni ’70, Fuga su Issar, la giapponese Nippon Animation realizzò ben 77 episodi animati in una serie chiamata Spaceship Sagittarius. Tra i suoi vari personaggi spicca Magdala, un personaggio al quale Andrea Romoli ha dedicato sette libri, tutti pubblicati con Youcanprint.
Nel suo sito internet si può accedere in modo creativo al mondo di questo artista sorprendente: www.apdromolicomics.com
Ciao Andrea e benvenuto su Lo Spazio Bianco.
Il tuo profilo professionale è impressionante…
Grazie! Sono stato assunto nel settembre del 1973, due mesi dopo la laurea, come progettista ottico alla Galileo. Tre anni dopo sono stato promosso a capo del reparto di progettazione ottica e fino al 1994 mi sono occupato di tutta la progettazione ottica (civile, militare e spazio). Poi ho avuto la responsabilità della sola progettazione per lo spazio. Ho avuto un massimo di otto collaboratori e ho proseguito fino a fine 2007, poi sono andato in pensione e ho lavorato tre anni come associato all’Istituto Nazionale di Ottica. In seguito ho lavorato per l’allora “Carlo Gavazzi Space” fino al 2013. Mi sono ritirato per problemi di salute che fortunamente si sono risolti nel 2014.
Quando e perchè hai deciso di fare del fumetto la tua passione?
Si può dire che in casa mia si nasceva con la matita in mano. Mio padre era un maestro nella pittura e nella scultura, aveva un senso della forma e del colore straordinari. Anche mia madre Daisy sapeva disegnare piuttosto bene e nei tempi bui del dopoguerra, per sbarcare il lunario, colorava ad acquerello stampe (ricavate da antichi clichè da una ditta fiorentina che si trovava nel cuore della città, fra piazza San Marco e piazza Santissima Annunziata). Mi ricordo che la sede era in un seminterrato e ho ancora nelle narici l’odore di quelle belle carte. Io sono il minore di due fratelli: Marco, di due anni più grande di me, disegnava anche lui da quando aveva l’età della ragione. Era piuttosto bravo (più di me) e provavo un senso di ammirazione quando lo vedevo disegnare con la penna a china di tutto e di più.
Nel primo dopoguerra i nostri giochi erano carta, matita, penna, colori e pennello, forbici e colla. Dalle nostre mani usciva di tutto: velieri, navi, aerei, soldatini, castelli, case… In questa atmosfera era impossibile non disegnare, anche perché non c’era la tv e al massimo si ascoltava la radio, specialmente musica classica. Io avevo anche tre pupazzi di pezza fatti in casa, alti una quindicina di centimetri. Questi erano protagonisti di storie che mio fratello ed io ci inventavamo. Poi, negli anni Cinquanta uscì il primo numero di Topolino, allora mensile: rimasi affascinato dalle storie e dai disegni e posso dire che imparai a leggere su quelle pagine.
Intorno ai nove anni cominciai a imbastire le prime storie disegnate con protagonisti i miei tre pupazzi di pezza: Toppe, Giraffo e Rana. Erano storie grezze, spesso non finite, a volte semplicemente schizzate a china.
Poi sono cresciuto e ho sviluppato molti altri interessi: fra questi la chimica e la biologia; la fisica sapevo a malapena che esistesse.
La decisione di fare del fumetto una delle mie passioni principali è nata forse inconsapevolmente. Ricordo che mi piacevano molto i cartoni animati, specialmente quelli di Paperino. Nei fumetti, già a dieci anni ero in grado di distinguere la mano di Carl Barks, anche se i fumetti erano firmati Walt Disney. Ammiravo molto quel disegnatore perfetto nello stile e pensavo che le sue storie fossero scritte da una equipe. Ho scoperto molto più tardi che erano anch’esse frutto di un’unica mente. Insomma, nella prima adolescenza cominciai a mettermi come obiettivo inconfessato quello di realizzare dei cartoni animati con i miei personaggi, Toppe, Giraffo e Rana. Sapevo che se lo avessi detto a qualcuno, sarei stato considerato quanto meno uno sciocco e un illuso. Intorno ai dodici anni venni in contatto con la fantascienza e ne rimasi affascinato. Non mi perdevo un numero di Urania, li divoravo. Inoltre sempre in quel periodo, ospite di un amico di mio padre, venni in contatto con l’astronomia, grazie a un telescopio newtoniano con uno specchio parabolico di 60 centimetri di diametro. Vidi la Luna, gli anelli di Saturno, Marte, Giove, la nebulosa del Granchio, quella di Andromeda, stelle variabili come Denebola e tante altre cose; così fu inevitabile che cominciassi a pensare di fare dei fumetti di fantascienza. Furono numerosi i tentativi abortiti, un po’ perché non ero soddisfatto e un po’ perché i miei interessi erano numerosi. Ho sempre letto molto, per esempio: i libri li divoravo e ancora oggi mi domando come fanno tanti giovani (e meno giovani) a perdersi il piacere della lettura.
Il tuo fumetto più famoso è senza dubbio Fuga su Issar, i cui i protagonisti non sono stati scelti a caso…
Quando cominciai a lavorare come progettista ottico, sentii il bisogno di evadere dalla routine quotidiana e decisi di realizzare un fumetto completo, ovviamente di fantascienza. I protagonisti dovevano essere Toppe, Giraffo e Rana, i miei personaggi preferiti. Cominciai a disegnare Avventura su Efesto nel 1976. Mi ricordo che mio padre (che ammirava molto i miei disegni) criticava la scelta dei personaggi, facendomi intendere che avrebbe preferito degli esseri umani. Ma io non ci sentivo da quell’orecchio e proseguii caparbiamente nel mio progetto iniziale. L’anno successivo completai per la prima volta una storia: 35 pagine in formato A3. Nello stesso anno conobbi Alfonso Pichierri, allora proprietario della casa editrice Nerbini che, colpito dalla raffinatezza delle tavole, mi propose di pubblicare Avventura su Efesto, a patto che gli cedessi gli originali. Obtorto collo accettai. Il fumetto fu stampato dividendo in due le tavole in un formato A4 orizzontale (che era molto di moda a quei tempi). Pichierri mi regalò una serie di fumetti di Flash Gordon che conservo tuttora. Devo dire che mi pentii presto della scelta di cedere gli originali, anche perché la stampa era piuttosto scadente e la carta non delle migliori. Decisi allora di iniziare una nuova storia e che questa volta, prima di cedere gli originali, sarebbero dovuti passare sul mio cadavere! Cominciai a disegnarla senza una trama ben precisa, che si delineò lentamente, il cui titolo sarebbe stato Fuga su Issar. Issar deriva da Istar o Astarte e all’inizio ero indeciso sul nome da dare al pianeta. Caparbiamente deciso a utilizzare Toppe, Giraffo e Rana partii per questa nuova avventura, che nelle intenzioni originali avrebbe dovuto protrarsi indefinitamente. Inventai il personaggio del dott. Jakobus, un eso-archeologo un po’ birbante che dava spunti appetitosi alla trama. Avevo già messo a ruolo un nuovo personaggio: Sibip, una specie di palla di peli irsuti, di forma ovoidale, con una enorme bocca provvista di pochi denti, dotato di una cintura-collana di rame e di una mazza. Insomma un primitivo montanaro Burka nativo del pianeta Issar che, nonostante l’aspetto burbero, si dimostra generoso oltre che valoroso. Il 21 luglio 1978 improvvisamente mio padre se ne andò, fulminato da un infarto. Fu un duro colpo, il primo della serie. A settembre incontrai un editore di Modena: Fuga su Issar contava appena una trentina di pagine, ma il progetto piacque e da lì è cominciata un’avventura decisamente molto complessa.
Quali furono gli autori che ispirarono questa tua opera?
L’idea che avevo in mente era una rielaborazione di tante letture, di fantascienza e non. Cito tutte quelle che mi vengono in mente: Il signore degli anelli di Tolkien, all’epoca quasi sconosciuto in Italia; I fiumi scendevano a oriente dell’esploratore Leonard Clark che compare un po’ dappertutto ; Pianeta Tschai e L’odissea di Glystra di Jack Vance (il primo per la scene della carovana dei batanga, il secondo per le scene della teleferica del vento); Fabbricanti di universi di Josè Philip Farmer (la scena della citta sui palloni); infine i racconti e Le montagne della follia di Howard Phillips Lovecraft (gli Antichi e l’altopiano di Leng). Dimenticavo quasi di citare il Jorge Luis Borges di Finzioni e L’Aleph (quest’ultimo racconto si riflette nel finale).
Fuga su Issar è il primo racconto di una miniserie di sei albi: c’è un legame tra i vari episodi? Di che cosa parlano?
Al tempo ero pressato dall’editore, e oltre a Fuga su Issar (64 pagine in A3) dovevo produrre altre cinque storie lunghe ciascuna una sessantina di pagine, tutte a colori, il tutto in tre anni. Sfido chiunque abbia un lavoro estremamente impegnativo come il mio a produrre 360 pagine in tre anni. Devo però dire che le altre storie erano un po’ inferiori rispetto a Fuga su Issar. Decisi di battezzare la serie Altri mondi, titolo che è stato poi sfruttato da molti. La successiva fu Il demone di Azul di cui devo dire che nonostante la reputi minore, ha venduto diverse copie negli ultimi anni: mi domando come mai, forse per la copertina particolarmente suggestiva. In questa storia i quattro protagonisti si ritrovano su un piccolo satellite dominato da un’entità demoniaca e metamorfica che causa non poche noie agli astronauti.
A seguire L’ultima fortezza, un episodio di guerra interplanetaria. Non mancano immagini suggestive, anche se la trama è un po’ debole.
La quarta storia che fu pubblicata all’epoca, Crab Nebula, la ritengo la migliore delle ultime. Ben disegnata, denota un cambiamento di stile rispetto alle altre. La trama è basata su un fenomeno relativistico: un corpo più si avvicina alla velocità della luce e più aumenta la sua massa. Con la massa cresce il campo di attrazione gravitazionale. Ho sfruttato le mie conoscenze della teoria della relatività rendendole anche graficamente.
Altre due storie (inedite anche previste nel contratto con l’editore) sono L’organo di Kthalon, che reputo la migliore, e Sinfonia del nuovo mondo. Di quest’ultima non ricordo molto, dovrei riprendere in mano gli originali per focalizzarla: comunque è senz’altro minore rispetto alle altre e realizzata solo per soddisfare l’impegno professionale sottoscritto (la mia vena creativa si era momentaneamente esaurita).
La Nippon Animation sulla base di Fuga su Issar ha realizzato una serie animata composta da ben 77 episodi. La storia è lunga ma hai voglia di raccontarcela?
Nel 1978, come detto, firmai un contratto capestro con Zanfi che prevedeva sei storie in tre anni. La mia ragazza di allora mi disse: “Vendi l’anima al diavolo” e così feci. L’anno seguente Fuga su Issar fu stampato in formato gigante (A3) e in marzo fu portato alla Mostra del libro per ragazzi di Bologna, con uno stand di 16 metri quadri per quel solo fumetto. Alle 9:00 del mattino del primo giorno della manifestazione, un giapponese chiese una copia del libro, ringraziò e se ne andò. Era il direttore artistico della Nippon Animation Company (nel seguito NAC) di Tokyo. Quando lo seppi, non credevo alle mie orecchie! Il mio sogno di fare cartoni animati si stava avverando? Nel giro di una settimana la NAC richiese un’opzione per la produzione di una serie TV. Nel gioco sarebbe entrato anche un produttore europeo della Apollo Film, che offriva una discreta somma per entrare nella coproduzione. Ma Zanfi si era già impegnato con la NAC che rifiutò la coproduzione: avevano fiutato un grosso affare e volevano sfruttarlo fino in fondo.
Io nel frattempo avevo trovato un collaboratore che mi sollevava dalla colorazione: riuscii a scaricare le spese sull’editore, ma fu ben poca cosa rispetto alle perdite che ho avuto in tutta la vicenda. Nel 1979 ebbi lo sfratto dallo studiolo che avevo affittato e la mia ragazza, stufa di vedermi sempre impegnato in un lavoro massacrante che non mollavo nemmeno nei fine settimana, vigliaccamente mi piantò. Riportai così le attrezzature dello studio a casa di mia madre. La barca a vela che avevo acquistato l’anno prima giaceva abbandonata a Marina di Pisa. A Gennaio del 1981 fui invitato a Tokyo per visionare il film pilota della serie Spaceship Sagittarius (Sagittario è il nome dell’astronave di Toppe, Giraffo e Rana ed è anche il mio segno zodiacale). Durante la settimana trascorsa in Giappone vidi l’episodio pilota di otto minuti e ne rimasi entusiasta. Era stato realizzato prendendo scene dai primi tre fumetti e i disegni erano straordinariamente simili ai miei. Presenziai alla firma del contratto fra l’editore e la NAC e, in quella occasione, reclamai il 50% dei diritti sui film. L’editore, con una certa perfidia, mi fece un nuovo contratto, dove però mi richiedeva la produzione di sei storyboard per il cartone animato. Nel luglio di quell’anno mia madre, provata dalla morte del marito e dalla cataratta, se ne andò dopo lunga sofferenza: “Le disgrazie non viaggiano mai sole, ma a gruppetti di quattro o cinque” dice Melissa in Area 666. Impegnato nella realizzazione dei sei storyboard in inglese e 500 tavole illustrate, confesso che ero sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Però ho un carattere maledettamente testardo e non mollai: stringendo i denti completai gli storyboard (non so come feci, di quel periodo fino al 198383 ho un ricordo molto confuso, anzi posso dire che non ricordo quasi nulla).
Finito il lavoro, senza dare modo all’editore di dichiararmi inadempiente (forse ci contava per chiedermi i danni), mi rilassai un po’. Non avendo più notizie del cartone animato, nel 1984 iniziai a scrivere e disegnare Lo specchio dei mondi ( abbandonato a pagina 45, l’ho terminato nel 2016): partendo da Fuga su Issar sarebbe il quinto pubblicato, anche se in realtà avevo scritto e disegnato già sette storie considerando anche Avventura su Efesto. Lo stavo colorando in gran parte ad aerografo, con quelli che erano i miei colori preferiti, i Magic Color. Intanto il tempo passava.
Nel 1988 ho conosciuto mia moglie e l’anno seguente siamo tornati insieme alla Mostra del libro per ragazzi a Bologna per vedere di vendere Lo specchio dei mondi e altri progetti presso qualche editore europeo. Scoraggiato dagli incontri che avevamo programmato con gli editori che, a fronte di grandi complimenti per la qualità delle opere, si trinceravano dietro un “mi dispiace, ma la nostra linea editoriale è già completa” o “mi dispiace ma non abbiamo soldi”, stavamo per andarcene. Io avevo sottobraccio una copia di Fuga su Issar quando un gruppetto di ragazzi mi avvicinò ed indicando il libro mi chiesero dove lo avevo trovato. Spiegai che ero l’autore. I ragazzi sorpresi mi dissero: “Allora è lei l’ideatore della serie Spaceship Sagittarius! Lo sa che ha avuto un grande successo?” – Mi raccontarono che dal 1986 in Giappone avevano trasmesso in tv 77 episodi e che la serie si era piazzata fra i primi dieci cartoni animati al festival nipponico Atom e mille altre notizie. Alla gioia di sentire del successo di Spaceship Sagittarius si sovrapponeva la più che acuta sensazione di essere stato truffato da un editore a dir poco disonesto! Frastornato ed imbufalito intrapresi una causa contro l’editore, che vinsi sei anni dopo quando era già fallito. Però per mia fortuna, e grazie al mio avvocato, alla prima udienza il giudice emise un’ordinanza in cui, presa visione del contratto, lo dichiarava nullo. Con questa ordinanza, tramite un avvocato esperto di diritto d’autore internazionale, ho potuto rivalermi con la NAC e ottenere un risarcimento e un nuovo contratto. Ho scoperto recentemente che le copie delle 500 tavole dello storyboard e i relativi testi in inglese, destinate alla Nippon Animation, non sono mai state spedite. Tanto impegno per nulla.
Come e quando è nata l’idea del personaggio di Magdala?
L’idea era quella di fare un fumetto “tirato via” cioè che non mi facesse perdere troppo tempo. Mia moglie all’inizio degli anni ‘90 mi ha chiesto più volte: “Perché non crei un personaggio femminile?”. Ci rimuginai un po’ e venne fuori l’idea di Magdala. La schizzai e mi piacque. La vestii con un cappellino cilindrico, una camicetta con le maniche a sbuffo, fiocchetti vari e cintura con fibbia a cuore. Decisi che Magdala doveva avere un carattere pigro, con impennate di determinazione, pieno di apparenti contraddizioni, talvolta lamentosa. Molte frasi le ho prese dalla vita quotidiana. In pochi mesi buttai giù la prima storia, Magdala che decisi di suddividere in sei episodi di sei pagine l’uno. Ho mantenuto questo clichè in tutte le storie del personaggio. Nel 1993 decisi di farla stampare a mie spese dalla Editrice Nerbini.
A una protagonista femminile un altro autore avrebbe fornito una spalla maschile “debole” mentre tu, originale come al solito, hai pensato a Melissa, una donna “forte”.
L’idea di Melissa Brown mi è venuta per la storia che da subito intitolai La mia migliore amica. Dovevo dare una spalla a Magdala, non perché il personaggio non avesse un carattere abbastanza forte per interpretare altre storie, ma per renderle la vita un po’ più complicata. Nel giro di qualche giorno determinai che il carattere di Melissa doveva essere diametralmente opposto a quello di Magdala. Doveva essere prosperosa ed energica: la disegnai in un batter d’occhio e mi piacque. Ho poi sviluppato il suo carattere aggiungendo dettagli di non poco conto. Come si scopre via via che si leggono le storie, Melissa è cintura rosa di karate, è una esperta nuotatrice (mentre Magdala è una perfetta gatta di piombo). Si scopre poi che, mentre l’occupazione di Magdala è piuttosto incerta, Melissa è tirocinante in uno studio legale. Inoltre la migliore amica di Magdala pratica sport ed è una salutista, segue corsi per corrispondenza di ogni tipo. Sa pilotare una barca, guidare un trattore (e quindi anche un carro armato) e una moto. L’unica cosa che ha in comune con Magdala è la spiccata tendenza a cacciarsi nei guai.
Si potrebbe dire che la creazione di Magdala ti è stata suggerita da Fritz il gatto di Robert Crumb?
Si, mi piacque Fritz il gatto di Crumb quando lo lessi e vidi anche il cartone animato diversi anni prima. Però io avevo in mente qualcosa di diverso, meno sessantottino. Magdala e Melissa tutto sommato sono “ragatte” abbastanza normali. Solo un po’ sfortunate, ma (ovviamente) riescono sempre a cavarsela discretamente.
Quanti e quali libri hai dedicato a Magdala e quale senti più riuscito?
Ho pubblicato sei libri di Magdala: Magdala, La mia migliore amica, La cassa sbagliata, Area 666, La notte di Halloween e Cosplayer al Mukka Comix.
Se devo essere sincero, mi è difficile dire quale sia il più riuscito. Uno dei miei preferiti è La mia migliore amica che narra come Magdala fa la conoscenza di Melissa, in circostanze tempestose, scatenando una colossale rissa che distrugge la discoteca Pirimpò di Pirolò Marina. Fatta la pace, le due diventano amiche per la pelle e salpano per una crociera che le porta (naufraghe) a Jella, un’isola dell’arcipelago delle Isole Sfortunate di (s)melvilliana memoria. E qui comincia la saga dello sfortunio, infausto minerale raffinato da Kornellius, scienziato paranoico. L’idea dello sfortunio mi è venuta quando, nel mio lavoro di fisico, parlando con il responsabile della produzione, chiesi informazioni su un materiale ottico per l’infrarosso. Mi disse che era un materiale molto morbido, con la consistenza di una caramella mou, difficilmente lavorabile ed estremamente tossico. Concludemmo con una battuta: “Magari porta anche sfortuna!”. Così nacque lo sfortunio. Quale posto migliore, per collocare questo nefasto materiale, dell’isola di Jella nell’arcipelago delle Isole Sfortunate?
Recentemente ho rivalutato anche Area 666, che non avevo tenuto in grande considerazione finché una mia lettrice mi ha fatto notare che secondo lei è la migliore storia della serie. Me la sono riletta più volte e ho dovuto convenire che forse aveva ragione. Comunque la graduatoria non è così netta e tutto sommato la caratteristica comune delle storie è che sono tutte diverse una dall’altra: in Magdala, la prima della serie, la protagonista trova in un fustino di detersivo Pok un buono per un viaggio premio che la porta su Titano, il maggior satellite di Saturno. Nella base mineraria di Bubble Town deve vedersela con Piccarda la “regina di picche” e col suo assistente Moko. Tornata sulla terra dopo alcune vicissitudini riesce a farsi indennizzare dalla Pok per i danni subiti. Magdala, depositando un consistente assegno in banca, chiede con profetica visione: “È sicura questa banca?”.
L’idea di spedire Magdala su Titano mi è venuta mentre lavoravo al progetto Cassini, allo spettrometro infrarosso e ai sensori ottici di assetto della sonda. Poi anche la mia firma è finita su Titano insieme a quella degli altri partecipanti al progetto.
La cassa sbagliata vede Magdala e Melissa coinvolte loro malgrado in un traffico di armi. Una banda di delinquenti le sequestra ma le due riescono a fuggire e si trovano catapultate in Sud America, prima in Perù e poi attraverso la giungla amazzonica. Le loro peripezie si concludono con il movimentato arresto della banda di trafficanti.
Area 666 è una parodia della famosa Area 51 cara agli ufologi. In una vacanza indimenticabile Magdala e Melissa scoprono l’Area 666, un insediamento militare abbandonato sede di una base aliena. La dirigono due gemelle: Selene e Dafne, l’una la copia in negativo dell’altra. Una escursione fra le stelle e una grande sorpresa finale fanno di questa storia una delle più divertenti della serie.
Di tutt’altro tenore La notte di Halloween che ha come episodio centrale la festa di Halloween al castello del conte Brancula, organizzata da Melina Zampalesta e la sua banda. La storia si conclude con un paradossale processo in cui le testimoni rischiano di diventare imputate (sic!).
Cosplayer al Mukka Comix è la parodia di una nota manifestazione di cosplayer (ogni riferimento è puramente casuale). Melissa decide di partecipare al concorso che si tiene tutti gli anni nella tranquilla cittadina di Mukka e coinvolge la recalcitrante Magdala. Anche qui compare Melina Zampalesta che ha un ruolo decisivo nell’eliminare i numerosi concorrenti.
Nella sua ultima avventura ritroviamo Magdala addirittura ad Atlantide. Come è nata l’idea di questo fumetto?
Quasi due anni fa, su Facebook, una persona mi chiese se avevo mai pensato di realizzare una storia su Atlantide. Gli chiesi se aveva una trama da sottopormi, ma mi rispose di no. L’argomento è stato ampiamente sfruttato ed era difficile fare qualcosa di nuovo. Ho messo da parte l’idea, ma il mio subconscio ha cominciato a lavorare e ogni tanto emergeva uno spunto.
Il primo fu di utilizzare Magdala e Melissa e dare una piega umoristica alla storia: aprii una cartella sul computer chiamata “Atlantide”. Il titolo era provvisorio e nella cartella inserii 36 file jpg con il prototipo della pagina (la gabbia). Avevo diversi problemi da risolvere e l’estate scorsa cominciai focalizzarli uno alla volta. Dovevo pensare ad un finale. Allo scopo inserii due personaggi che avevo già utilizzato e che avrebbero avuto un ruolo decisivo per la conclusione: Kornelius e Melina Zampalesta. La parte centrale della storia doveva invece essere la scoperta di Atlantide. Abbozzati questi due aspetti del racconto, mi dedicai alla parte iniziale. Ho inserito il Prof. De Libris, pigro tuttologo e la figura del dott. Piccozzi, archeologo. Lo sfortunio, infausto minerale utilizzato in La mia migliore amica, ha un ruolo fondamentale nella storia. Melissa da il meglio (o il peggio?) di sé nelle avventure che portano le due amiche a Siwa e a Ceuta e infine a imbarcarsi nella spedizione del dott. Piccozzi, grazie alle panzane inventate dall’amica di Magdala. Il racconto è pieno di riferimenti storici e geografici e di notizie reperite su internet (forse fake-news?), rielaborate con un pizzico di fantasia che non guasta mai. Ho curato particolarmente i disegni di Atlantide che mi hanno portato via parecchio tempo. L’architettura atlantidea ricorda quella egizia, contaminata da influssi ellenici. I bassorilievi sono un misto di geroglifici e di alfabeto greco. La struttura di Atlantide ricorda vagamente quella descritta da Platone. Con un’idea molto particolare, sfruttando le mie conoscenze aerospaziali, ho risolto il problema di come riportare alla luce il “continente perduto”.
Quali sono i tuoi progetti attuali e quelli futuri?
Vorrei pubblicare l’ottava storia di Magdala e Melissa che ho già iniziato, il cui titolo e contenuto sono però top secret. Poi vorrei pubblicare una ventina fra libri illustrati e fumetti in parte inediti. Nel cassetto dei sogni ci sono diverse cose: vedere finalmente trasmessa in Italia la serie Spaceship Sagittarius che ha girato mezzo mondo e che molti mi chiedono perché non si è mai vista nel nostro Paese. Non ho mai saputo dare una spiegazione, però ultimamente mi sono fatto un’idea. Negli anni ‘80 internet non esisteva; oggi basta un click per avere il mondo in casa, ma a quei tempi non era così. Penso che l’editore contasse sulla difficoltà di avere notizie, perché se la serie fosse stata trasmessa in Italia, si sarebbero scoperti gli altarini. Un’ipotesi molto probabile è che l’editore si sia introdotto nel mondo delle tv e abbia parlato male di me, dipingendomi come inaffidabile… “La calunnia è un venticello … un’auretta assai gentile … che si insinua fra la gente …” (Gioacchino Rossini, Il barbiere di Siviglia).
Tornando ai miei progetti o sogni, mi piacerebbe realizzare un’altra serie di cartoni, con Toppe, Giraffo e Rana o con Magdala e Melissa. Fra i progetti c’è la trascrizione del manga KTHALON, l’ultimo della serie Altri mondi che ha partecipato ad un concorso in Giappone. Vorrei realizzarlo in versione occidentale, con testi in Italiano (e in Inglese) e possibilmente a colori. Devo anche rifare il lettering a mano, anziché al computer (l’ho fatto così per risparmiare tempo). Devo anche ringraziare il direttore commerciale della Nippon Animation, col quale sono in ottimi rapporti (è venuto due volte a farmi visita qui a Firenze), per il supporto che mi ha dato per una traduzione inglese comprensibile per un giapponese. Sono 32 pagine che vorrei portare almeno a 36 in modo da poter fare un’edizione in brossura fresata.
Ho anche in mente un personaggio umano del quale ho fatto qualche schizzo che per ora tengo ben nascosto e una storia di fantascienza ispirata a … idea top secret anche questa!
Dove è possibile acquistare i tuoi volumi?
I volumi sono editi da Youcanprint, casa editrice on-line che fa autopubblicazioni e si possono reperire nelle maggiori librerie on-line: Amazon, Mondadori, Feltrinelli, Hoepli e numerose altre. I libri vengono stampati su ordinazione e in genere occorre circa una settimana per averli: tutto sommato è un modo molto ecologico per evitare resi e conseguente invio al macero. È anche possibile ordinarli nelle maggiori librerie fisiche: in questo caso i tempi di consegna sono inferiori.
Grazie infinite per la tua disponibilità, Andrea.
Intervista pubblicata originariamente su www.ilsestantenews.it