The Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro – La recensione del film

The Amazing Spider-Man 2: Il potere di Electro – La recensione del film

Torna sul grande schermo l'arrampicamuri di Marc Webb. Tra effetti speciali e villain poco caratterizzati, un sequel che mantiene le promesse solo a metà.

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Torna l’arrampicamuri in questo secondo capitolo del suo reboot cinematografico, nuovamente diretto da Marc Webb, che deve innanzitutto scrollarsi di dosso l’ombra della trilogia di Sam Raimi, in quella che appare una pellicola che compie alcuni passi avanti, ma che nel complesso ne fa anche alcuni indietro.

Due anni dopo gli eventi narrati nel primo capitolo, Peter Parker (Andrew Garfield) alterna la sua vita tra l’essere Spider-Man, oramai riconosciuto come un eroe da gran parte dei cittadini di New York, e la sua identità civile, in cui continua a frequentare la bella Gwen Stacy (Emma Stone), nonostante la promessa fatta al padre di lei, il defunto capitano Stacy (Denis Leary), la cui figura gli appare continuamente davanti, a ricordargli le sue responsabilità di fronte alle persone che ama, le quali potrebbero pagare un prezzo altissimo per mano dei suoi nemici.
Nel frattempo, riappare la figura dell’amico Harry Osborn (Dane DeHaan), tornato a casa dopo dieci anni di assenza, in tempo per assistere alla morte del padre Norman (Chris Cooper), colpito da una malattia che Harry scopre essere ereditaria, e per assumere le redini della Oscorp, nonostante nel consiglio d’amministrazione in molti remino contro di lui per nascondere le malefatte dell’azienda, coinvolta in oscuri esperimenti.

In questo frangente, Peter dovrà non solo affrontare nuove minacce come Electro (Jamie Foxx), ma anche prendere delle decisioni circa la sua relazione con Gwen e il suo rapporto con l’amico Harry, oltre a districare la matassa di misteri che ancora avvolge la scomparsa del padre (Campbell Scott), avvenuta anni prima.

Attraverso una sceneggiatura scritta da Alex Kurtzman, Roberto Orci, Jeff Pinkner e James Vanderbilt, assistiamo a una prima parte costruita decisamente bene, anche grazie alla forza impressa alle caratterizzazioni e allo sviluppo dei personaggi, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra Peter e Gwen.
Ci viene presentato un continuo battibecco sentimentale che però non appare mai noioso, ma anzi fornisce alcune delle migliori sequenze della pellicola, grazie anche a dei buoni dialoghi che, soprattutto da parte di una convinta Emma Stone, assumono un significato molto forte nel sottolineare la fase di stallo tra i due personaggi, in bilico tra amore e responsabilità.

A questo va affiancato l’ingresso di Harry Osborn, in una versione splendidamente resa sullo schermo da un Dane DeHaan capace di gelare e al tempo stesso conquistare il pubblico grazie a un personaggio delineato perfettamente, il quale è forse quello che di più si farà ricordare. La sua evoluzione nel corso del film è, infatti, forse quella tratteggiata con più attenzione dagli sceneggiatori, fin dal breve e iniziale confronto con il padre morente.

Non tutto però funziona perfettamente. Se è vero che i personaggi principali (compresa anche una zia May sempre ottima grazie a Sally Field) sono quelli costruiti meglio, non si può dire lo stesso di Electro. Il villain interpretato da Jamie Foxx è, infatti, il personaggio più debole tra quelli presentati, finendo per diventare piuttosto inconsistente, sia per la scialba interpretazione dell’interprete (soprattutto dopo la trasformazione) sia per le motivazioni che lo contraddistinguono e lo spingono ad agire, che ne fanno, soprattutto nella seconda parte, una sorta di tirapiedi.

Ed è proprio la seconda parte della pellicola a convincere di meno, per via di un’accelerazione degli eventi troppo forzata in alcuni punti, che spinge il tutto verso una battaglia finale in parte poco coinvolgente, anche per via di un eccessivo uso della CGI.
Se il confronto finale con Electro infatti risulta, in molte sequenze esageratamente ricreato al computer, quasi pupazzesco, con una coreografia delle scene d’azione poco incisiva (una spina nel fianco di Marc Webb già dal primo episodio), al contrario la battaglia con Goblin è meglio architettata, grazie anche a un tragico finale fortemente debitore dei fumetti.

Webb in questo senso risulta ancora incerto nell’imporre una sua visione personale dal punto di vista registico, e difatti continua a pensare che bullet time e un uso totale della CGI possano coprire i suoi difetti. Non aiuta inoltre un’eccessiva lunghezza della pellicola, che si fa sentire soprattutto nella parte conclusiva.
L’apparizione di un imbarazzante Rhino (Paul Giamatti) risulta una forzatura gratuita in nome del franchise, fatto per dare un assaggio degli spin-off futuri, ma inutile quando la pellicola andava chiusa qualche minuto prima.
La fotografia di Daniel Mindel è uno dei punti a favore del film, grazie a una New York più viva e solare rispetto al primo capitolo, mentre le musiche del veterano Hans Zimmer questa volta risultano pompose e piuttosto dimenticabili.

Insomma, un sequel con molti pregi ma anche molti difetti, segno di un reboot ancora indeciso sulla strada da prendere ma che ha voglia di migliorarsi. Peccato che regista e sceneggiatori riescano a farlo solo a metà.

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