Una delle caratteristiche più importanti di Dylan Dog è da sempre stata l'eterogeneità: lo spaziare dal noir allo slasher, dalle ghost story alla rivisitazione dei mostri classici, da storie realistiche e crude al metafumetto fino a racconti onirici e impossibili, che non portavano da nessuna parte e non potevano “esistere” nel senso della coerenza storica di una serie continuativa. Eppure questi ultimi sono da sempre ugualmente parte fondante del contesto, della narrativa e della definizione della serie e del personaggio.
A questo filone possiamo riportare le tre storie che compongono il trentaduesimo albo del Dylan Dog Color Fest, Altre visioni, tre fumetti brevi caratterizzati dalla voglia di giocare con il personaggio, di porlo in storie “impossibili” e di stupire portandolo in direzioni artistiche diverse rispetto alla serie regolare – che già ha saputo spesso osare molto in un senso e nell'altro.
Già la copertina, dell'illustratrice Gloria Pizzilli, sembra sottolineare questa voglia sperimentale tanto nello stile di disegno quanto nell'approccio al personaggio.
Di' ciao
La prima storia è scritta e disegnata da Piero Dall'Agnol, disegnatore storico della testata qui nella rara veste di autore unico, ancora nel pieno di quella evoluzione (quasi rivoluzione) stilistica vista negli ultimi albi della serie regolare che qui deflagra pienamente. Evoluzione stilistica che grazie al colore, unendo e alternando un uso molto materico di matita, pastello e acquarello, genera un risultato tra il pop e il lisergico, tra toni tenui e colori sparati e traslucidi come neon o ancora forti, netti e violenti.
L'autore mette assieme tavole che trasudano riferimenti alla pittura classica e a quella dello scorso secolo passando per l'astrattismo e l'espressionismo, eppure non ci troviamo mai di fronte al puro virtuosismo e non viene mai meno l'attenzione ai personaggi. Da menzionare in particolare la cura per le loro espressioni che comunicano i sentimenti con pochi tratti essenziali capaci di esprimere molto con (all'apparenza) poco.
Il racconto si muove tra cartoline del subconscio e ricordi, nei quali trovano senso citazioni cinematografiche più o meno esplicite, mentre Dylan cerca di tenere stretto un sogno in mezzo a tanti incubi. Una storia dolce e amara, malinconica, che che deriva da un senso di perdita più che dalla presenza di mostri o fantasmi. Risulta difficile pensare a un altro personaggio seriale italiano capace di reggere uno stile tanto ricco e complesso senza venirne sommerso o risultando solamente un mero strumento per uno sfoggio di abilità artistica: ebbene, per quanto si potrebbe osservare che la storia sia poco più di un pretesto per permettere di saltare da una situazione all'altra e da una sfumatura all'altra dello stile dell'autore, essa ha comunque una sua identità e coerenza, riesce ad evocare sentimenti e fascinazioni in linea con il personaggio utilizzando una poetica dimessa che si dipana pagina dopo pagina e che risulta perfettamente inquadrabile all'interno della tradizione di Dylan Dog.
Welcome to the jungle
Il colore è uno degli aspetti che colpisce fin dalla prima tavola anche nella seconda storia, l'unica composta a più mani da Isaak Friedl e Marco Nucci ai testi e da Yang Yi ai disegni e ai colori, autori che si conoscono, che hanno realizzato alcuni graphic novel per Tunué. I tre, nel contesto di una testata un po' anarchica come il Color Fest, non hanno remore a presentare una storia bizzarra ambientata in una realtà alternativa: a causa di un virus gran parte della popolazione di Londra (e forse del mondo), compresi Dylan Dog, Groucho e Bloch, sono stati trasformati in animali, la civiltà si è apparentemente sfaldata e la natura ha iniziato a invadere le strade di Londra trasformandola in una giungla.
I disegni sono spigolosi, le figure degli animali allungate e sinuose e i colori, come detto sopra, spiccano ancor più dei disegni: densi, accesi, modulati tra luce e ombra, donano una forte consistenza ai personaggi/animali e un tono favolistico adatto alla vicenda. Il finale arriva in maniera traumatica, tragica, ribaltando questa interpretazione e riportando tutto a una risoluzione amara e a suo modo realistica. Di certo una storia che richiama episodi classici per il suo essere completamente fuori ogni idea di continuity, impossibile da collocare in una ipotetica cronologia della vita dei personaggi, come d'altra parte la creatura di Tiziano Sclavi ha abituato il lettore fin dai primi anni della serie. Se la storia di Dall'Agnol ha una “presenza scenica” che poteva eventualmente schiacciare altre storie meno potenti visivamente all'interno dell'albo, l'unione tra lo stile non convenzionale di Yi e la trama curiosa di Friedl e Nucci riesce a non farla passare in secondo piano.
Il palazzo dei sogni infranti
La terza e ultima storia dell'albo è affidata ai testi e ai disegni di Alessandro Baggi, autore dall'immaginario onirico e inquietante e dallo stile di disegno riconoscibile e personale: la storia ricorda per andamento quella di Dall'Agnol, in una sorta di struttura ciclica dell'albo, con uno sviluppo che vede Dylan passare da una scena all'altra senza soluzione di continuità in un percorso tra il sogno e l'incubo. Cicerone di Dylan uno degli immancabili pesci volanti preistorici che sono il marchio di fabbrica dell'immaginario di Baggi fin dai primi volumi usciti con le edizioni della Scuola del Fumetto di Milano, presenze eteree che collegano il nostro mondo a un'altra dimensione, esseri spaventosi eppure solitamente rappresentati come semplici osservatori imparziali degli eventi. Il tema portante è il confronto con il passato, le proprie sconfitte e i propri demoni legati a chi eravamo un tempo.
È la storia più dialogata delle tre, anche grazie ai siparietti con Groucho e agli scambi verbali con Bloch, e tornano elementi ben noti dell'Indagatore dell'Incubo, il suo passato da poliziotto, il suo alcolismo, rendendola la più inquadrabile a livello di tematiche e di ambientazione delle tre. Questo però rappresenta solo la cornice, il contesto in cui si muove una storia che cambia continuamente ritmo, che si concede momenti in cui il tempo dell'azione e quello di lettura si congelano in illustrazioni a tutta pagina che richiamano le locandine dei film horror anni ‘50/'60 o le copertine dei Pulp Magazine; sono momenti che frenano volutamente la lettura e portano il racconto su un livello ancora più astratto e sospeso, forzando una pausa riflessiva e una diversa percezione dei tempi del racconto. Lo stile pittorico di Baggi influisce nel dare alle tavole un'atmosfera strana, e anche nelle scene normali sembra di trovarsi sempre un poco distaccati dalla realtà; il colore aggiunge al tratto dell'autore una ulteriore profondità grazie anche ai contrasti tra i personaggi e sfondi dai colori innaturali, malsani.
L'insieme delle tre storie consegna un albo sicuramente particolare, eccezionale anche all'interno di una serie lunga e non convenzionale come Dylan Dog, e dimostra quanto il personaggio sia forte e riconoscibile anche in storie strettamente autoriali. Una prova ulteriore di come il Color Fest possa rappresentare lo spazio adatto a questo genere di sperimentazioni.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog Color Fest #32 – Altre Visioni
Piero Dall'Agnol, Isaak Friedl, Marco Nucci, Yang Yi, Alessandro Baggi
Sergio Bonelli Editore, 2020
96 pagine, brossurato, colori – 5,50€
ISSN: 977197194704500032