In questi ultimi anni, il fumetto italiano sembra vivere un periodo di reale fermento. Questo grazie all'arrivo di tantissimi nuovi autori, spesso autoprodotti, ciascuno di essi con il suo stile, la sua personalità, e con influenze tra le più disparate nel disegno, nel tipo di storia e nel modo di raccontare. È dunque sempre bello, oltre che doveroso, poter dare uno spazio e una voce a chi dimostra un vero talento: fumettisti giovani, ma che potrebbero lasciare un segno nel prossimo futuro, e che a volte colpiscono fin dal loro esordio, con opere spesso nate per caso, per scommessa, per gioco, come nel caso di Alex Tripood.
Alessandro Federico La Monica, in arte Alexander Tripood, nasce a Milano nel 1987. La sua passione per il disegno si manifesta quando è ancora molto piccolo: i suoi primi ricordi d'infanzia riguardano infatti storie illustrate con il fratello, con protagonisti i personaggi dei loro videogiochi. Sono proprio questi, più avanti, ad aprirgli la strada agli anime e ai manga. Da adolescente conosce invece le opere della bande dessinée franco-belga e se ne innamora perdutamente, iniziando a interessarsi al genere delle graphic novel. La decisione di intraprendere la carriera di fumettista nasce nel 2014, quasi per gioco, quando partecipa con il suo primissimo lavoro, Scarlet Moebius, al concorso “Il mio esordio a fumetti”, indetto da Scuola Comics e dal gruppo editoriale l'Espresso, aggiudicandosi il primo posto e la vittoria del premio Community.
Sulla scia dell'entusiasmo realizza nei tre mesi successivi il fumetto Spada, sospeso tra fantasy, steampunk, fantascienza, manga e BD. Ne presenta il primo volume autoprodotto all'edizione 2015 del Cartoomics di Milano, riscontrando subito il favore del pubblico. È proprio durante questa fiera che incontra Lucio Staiano, editore di Shockdom, il quale gli propone di stampare il fumetto per la sua casa editrice. A Cartoomics 2016 viene pubblicato così un nuovo volume di Spada, comprendente sia la parte autoprodotta sia un'inedita seconda parte.
Ciao, Alex, e benvenuto su Lo Spazio Bianco. Per cominciare, parlaci di Spada visto dalla parte del suo autore.
Spada per me è stato ed è tuttora una palestra per il mio stile di disegno e di narrazione.
Ma è anche uno specchio del mio volto d'autore: grazie a esso ho potuto finalmente raccogliere tutte le mie conoscenze e usarle per interpretare a modo mio canoni e situazioni tipiche del fumetto. Perciò mi rappresenta e mi identifica.
Al tuo fumetto sono state attaccate molte etichette: fantascientifico, fantastico, steampunk, manga e via dicendo. Ma tu, come lo definiresti?
Sicuramente posso dire che molte definizioni di Spada che ho sentito non le condivido (ma non dico quali!). Io lo definirei molto semplicemente un fumetto d'avventura, in cui è presente l'elemento fantastico. Una cosa sensata che mi hanno detto è che Spada sembra riprendere l'ambientazione distopica del cyberpunk, ma spogliandola del suo caratteristico tratto cupo e tetro. Per quanto sia d'accordo, questa atmosfera si è imposta alla mia immaginazione spontaneamente. Non mi sono mai messo, infatti, a pensare a uno stile particolare: ho cercato di rappresentare un'idea che mi piaceva, ossia un mondo in cui tecnologia all'avanguardia e sapore medievale convivessero, e ho allargato questa intuizione a tutto l'universo narrativo, per creare la maggiore unità possibile. È stata poi la storia stessa a dettarmi lo stile del disegno.
Come mai la scelta di inserire elementi futuristici e fantascientifici nelle tue storie? Sei un appassionato o è stata una scelta casuale? E che cosa credi possa offrire a un autore questo genere?
Non sono un grande appassionato del genere, anche se ho bene in mente i capisaldi della letteratura e del fumetto di fantascienza. Più che con essa, però, volevo cimentarmi con il genere fantasy, perché è il modo più semplice che conosca per spaziare e inventare nuovi mondi e realtà immaginarie. Tuttavia, siccome non sono neanche un patito del fantasy classicamente inteso (gnomi, elfi e quant'altro), ho tentato di “svecchiarlo” a modo mio, inserendolo in un'ambientazione futuristica.
Nel panorama di oggi, molti autori – ma credo anche una buona fetta di pubblico – ritengono che per fare fantascienza occorrano stili spettacolari/spettacolosi dalle influenze manga o americane, e colori gelidi e taglienti, possibilmente digitali. Tu invece sembri percorrere una strada divergente, a tratti opposta. Quali sono le tue fonti di ispirazione e quali sono i motivi delle tue scelte grafiche?
Premessa: questo è un discorso personale. Il fumetto per me è prima di tutto una tecnica artigianale, e mi affascina molto di più un Hugo Pratt, che con due colori e quattro linee è capace di passarti tutto, o un Regis Loisel, che è talmente intenso da fare vibrare la tavola, rispetto ad autori che, lavorando con il digitale, creano colorazioni tecnicamente molto complesse, ma a mio avviso meno vitali. Soprattutto, però, come autore, disegnando a mano sento di riuscire a creare un maggiore contatto emotivo con il lettore. La scelta dell'acquerello, dunque, per me non è stata una provocazione o una decisione presa a tavolino, ma piuttosto una necessità.
Non penso che ogni genere debba essere legato a una particolare tecnica: il bello della creatività è che si può realizzare qualsiasi cosa in una miriade di maniere diverse. Certo, ci sono convenzioni salde nel lettore che creano alle volte quasi dei tabù, e sapevo che non sarebbe stato facile raccontare una storia fantascientifica senza il digitale: però pare che non disturbi, anzi che piaccia, e questo mi fa felice!
Un altro luogo comune che si vede in giro riguarda il futuro come buio, cupo, depresso e opprimente. Nel tuo fumetto invece il futuro è solare e colorato. C'è una precisa intenzione dietro questa solarità? Ed è davvero tale o solo di facciata?
In realtà, dietro alla facciata di un futuro solare e all'apparenza perfetto, si nascondono intrighi e personaggi oscuri, ma questo avviene in tutte le storie del mondo, come nella realtà stessa. Quello da cui però prendo sempre le distanze è il desiderio di raccontare a tutti i costi la storia del negativo: quell'indagine minuziosa sul male e sui modi in cui prende forma nella società, che a tratti mi appare quasi morbosa. Per come sono fatto e per ciò che ho sperimentato, il futuro me lo immagino non di certo perfetto, ma comunque degno di essere vissuto. Sperando che questo dia fiducia a chi legge anche sulle sorti del nostro, di futuro…
A sentire i commenti, sembra che in Spada convivano un'anima europea e una giapponese. Io non sono tanto convinto riguardo alla seconda: esiste? Ma soprattutto, secondo te ha senso fare distinzioni simili? A parte gli ovvi riferimenti che tutti hanno, una storia è prima di tutto nello stile di un paese o nello stile del suo autore?
Ovviamente un autore viene influenzato dalla cultura in cui è immerso. Tenendo conto di questo, sicuramente un sentore giapponese c'è nei miei lavori, perché ho letto da giovane tantissimi manga e ho da sempre avuto una passione smodata per i videogiochi, per cui alcuni meccanismi di rappresentazione, volente o nolente, li ho interiorizzati. Secondo questo ragionamento e volendo andare a guardare bene, però, nel mio disegno ci sono in realtà molte altre stratificazioni. Più un autore conosce, insomma, più le influenze si moltiplicano: lo stile, in fondo, non è altro che la personale mescolanza di tutto ciò da cui si è rimasti affascinati. Credo che soprattutto quando si è autodidatta, il percorso che ti porta a creare un tuo stile avvenga in maniera meno conscia. Non so dirti con esattezza, quindi, dove finisca il manga e dove cominci il tratto europeo nei miei fumetti, né se ho fatto un volto giapponese ma il naso l'ho rappresentato alla francese. Io ho disegnato come mi piaceva e come mi veniva, e molto naturalmente è venuto fuori così.
Oltre ai due protagonisti “umani”, Spada ne ha anche un terzo, e cioè Angyburg, la città a livelli, sospesa tra un futuro tecnologico e moderno e un gusto retrò e vagamente medioevale. Tentacolare, labirintica, architettonicamente complessa, Angyburg sembra essere stata progettata con grande cura, e riempie con la sua presenza più di una pagina. Che cosa puoi dirci di lei?
Angyburg è stata progettata con grande cura, e ogni suo livello è stato pensato con una sua precisa funzione, tanto nell'economia della città stessa, che in quella della storia. Ho infatti deciso di crearla in verticale sia per mostrare con immediatezza una società stratificata, sia perché questo era funzionale per la vicenda. Non posso svelare molto, per ora, basti sapere che i livelli della città mi servivano anche metaforicamente a illustrare il percorso ascendente dei personaggi, che durante la storia partono dal basso, a salgono verso l'alto. La città, insomma, ha un'importanza fondamentale.
La cosa che più mi ha divertito nella sua costruzione è stata conferire a ogni livello uno stile architettonico e leggi diverse, che il lettore, se vuole, può ingegnarsi a scovare. Il primo livello che ho creato è stato quello “commerciale”, dove c'è il mercato e “la porta del ragno”. Per ora si è solo intravisto all'inizio del volume, ma più avanti avrà una grande importanza e sarà molto più presente. Sopra di questo ho posto il livello “borghese”, dove si respira maggiormente l'atmosfera medievale, per la quale mi sono rifatto alla struttura della vecchia Lione, che avevo avuto modo di visitare proprio durante la fase preparatoria di Spada e che mi aveva colpito moltissimo. Il terzo livello è Tereas Gale, che è la zona più ricca in assoluto. All'opposto, nel livello più basso, c'è Werker Pier, il quartiere più umile, i cui abitanti sono stati abbandonati a loro stessi.
Le funzioni dei vari livelli sono piuttosto complesse e riassumerle in una risposta è davvero arduo, perché li ho progettati in tanto tempo, creando varie piante topografiche per ogni zona. Un mio desiderio, quando avrò finito la saga di Spada, sarebbe quello di stampare una vera e propria guida turistica di Angyburg, per mostrare al lettore dettagli della città che non hanno potuto avere lo spazio che meritavano.
Alcuni giovani autori spesso “dimenticano” gli sfondi, o danno poca importanza a tutto quello che non sono storia o personaggi. Fermo restando che in alcuni casi i loro lavori funzionano ugualmente, tu come ti poni a proposito? Pensi che uno sfondo – fosse anche in una singola vignetta – possa avere un ruolo importante all'interno di una storia o la sua assenza può passare inosservata senza problemi?
Dopo la risposta alla domanda precedente, credo sia palese l'importanza che riveste lo sfondo per me. In qualche modo esso già racconta la storia perché trasmette, anche inconsciamente, dettagli al lettore che rendono la finzione narrativa più credibile.
Colori le tue tavole con gli acquerelli: quali sono i pro e i contro nell'uso di questa tecnica?
Amo l'acquerello innanzitutto perché sorprende sempre: sfido chiunque abbia usato questa tecnica a venirmi a dire che ha riprodotto perfettamente ciò che aveva in testa. I colori infatti si mescolano, e aprono ogni volta a nuove sensazioni e giochi che prima di posare il pennello sulla carta non si avevano in mente. È il colore, insomma, che cola come vuole lui, che conduce, che riflette una vicinanza maggiore con la realtà, e questa possibilità di non avere la situazione sotto controllo aiuta a rendere il disegno più credibile e incredibile allo stesso tempo! L'altro grande vantaggio poi è che si può con facilità riparare alle imprecisioni semplicemente creando un altro strato di colore.
Certo, rispetto al digitale o al pantone è una tecnica più leggera ed eterea e quindi è stato complesso conferire al colore quell'incisività e quella forza che richiedeva un fumetto d'avventura come il mio. Inoltre – ma questo credo sia dovuto alla mia poca esperienza – a livello di stampa il mio acquerello purtroppo ha perso e alcune delle sue tonalità non sono state traducibili. Ma con il nuovo volume sto studiando come ottimizzare maggiormente la resa finale.
Tu ti definisci “autodidatta”. Questo ha significato qualche forma di studio da parte tua o fai fumetti senza seguire alcuna regola, semplicemente seguendo l'istinto?
Bella domanda. Non ci ho mai pensato, quindi ipotizzo che sia la seconda che dici. Ci sono lavori che mi affascinano, ma più che prendere spunto, quello che mi induce a disegnare sempre meglio è lo spirito di competizione. Faccio un esempio: ho sempre ammirato il lavoro di Guarnido, e quando disegnavo Spada me lo sentivo proprio lì di fianco che mi diceva: “Ancora non ci siamo, io sono decisamente più bravo”. Questa situazione mi accade in realtà tutti i giorni, quando scopro artisti migliori di me e impongo a me stesso di fare ancora meglio. Non ho un piano di studio sistematico: quando una tecnica mi colpisce o mi affascina faccio di tutto per impararla.
La questione “studiare/ non studiare” è molto dibattuta in questo periodo tra i giovani autori: c'è chi dice che senza delle regole da studiare approfonditamente non si potrà mai diventare professionisti, mentre altri dicono che “le regole sono per gli psicopatici” e che si possono ottenere ugualmente ottimi risultati anche senza conoscerne alcuna. Anzi, anche senza saper disegnare. Qual è il tuo punto di vista sulla questione?
Fare fumetti è sicuramente una questione di talento. L'estro naturale, però, va di pari passo con l'insegnamento. Ci sono delle cose che è doveroso imparare e conoscere e che nessuno può sperimentare senza prima avere studiato. Io ho imparato da solo con l'acquerello perché non ho avuto la possibilità di frequentare una scuola, ma se qualcuno mi avesse insegnato, sarebbe stato meglio, perché conoscerei molte più tecniche, e quelle che già so le avrei imparate più in fretta. Il punto sta nel non trasformare l'insegnamento in regola fissa, ma utilizzarlo piuttosto secondo la propria esigenza e personalità. Inoltre, e questo è un dato di fatto, più si conosce un mondo, più si legge e ci si informa, più si può cambiarne le regole e uscire dai suoi schemi.
Per quanto riguarda il sapere disegnare, non è detto che serva per fare fumetto. Il fumetto è innanzitutto una forma di comunicazione, bisogna quindi essere in grado di passare informazioni, situazioni e stati d'animo attraverso il disegno. Ci sono lavori in cui il disegno è stilizzato, o non proporzionato, o addirittura esteticamente brutto. Ma se ciò che si vuole comunicare al lettore in qualche modo passa, allora il lavoro funziona. E anche per comunicare, comunque, c'è bisogno di studiare.
La morale è che “nessuno nasce imparato”, e che se oggi avessi tempo e modo di frequentare una scuola, lo farei molto volentieri.
Tu lavori anche nel campo della moda. In che modo ha inciso nel tuo fumetto?
Sicuramente ha inciso moltissimo, se si pensa che tutto l'universo di Spada è condizionato da una moda, quella delle “lame bianche”, e la stessa Aegida non è solo una belloccia messa lì per piacere, ma è il personaggio nato proprio per incarnare la potenza della moda nella società. Tuttavia, in Spada la moda non è qualcosa di preoccupante: non avevo intenzione, insomma, di creare un leopardiano Dialogo tra la moda e la morte. Forse proprio perché ci lavoro e mi è così vicina, l'ho concepita più come un divertimento, una contestualizzazione maggiormente realistica del futuro che avevo in mente.
In poco tempo sei passato da autoprodotto ad autore pubblicato (da Shockdom). Come stai vivendo questa esperienza?
Mi sta piacendo tantissimo fare parte della scuderia Shockdom. È come stare in una grande famiglia e mi emoziona, dopo avere passato tanto tempo a disegnare da solo, potere finalmente condividere la mia passione con altre persone. Soprattutto è affascinante vedere come per ognuno il fumetto sia qualcosa di diverso e quanto sono agli antipodi le modalità con cui ogni autore riporta la propria anima su carta.
Dove ti vedi o speri di vederti tra 10 anni?
Ovviamente mi vedo con un premio alla carriera come miglior autore italiano. E magari, perché no, anche con un premio internazionale, magari Angouleme.
E come artista starai ancora scrivendo fantascienza e colorando con gli acquerelli?
Sicuramente mi piacerebbe affrontare anche altre tematiche ma credo che gli acquerelli non li abbandonerò mai. Magari però li affiancherò ad altre tecniche.
E riguardo il fumetto, dove lo vedi tra 10 anni? Visto che ti occupi di “moda”, credi che potresti azzardare qualche previsione?
Credo che il digitale prenderà sempre più piede. Magari si giungerà a un connubio tra realtà virtuale e fumetto, e un giorno vedremo orde di lettori impazziti riversarsi nelle tangenziali per scovare non più pokemon ma, che so, paperi e topi?
A ogni modo, mi auguro ci sarà sempre spazio per quei begli albi cartonati francesi che mi piacciono tanto.
Grazie ad Alex per la sua disponibilità.
Intervista realizzata via mail nel mese di Luglio 2016