Alessandro Giordano: un talento da paura!

Alessandro Giordano: un talento da paura!

Intervista ad Alessandro Giordano, un talento naturale unito a una grande conoscenza di quello che volgarmente viene definito il “mestiere” del fumetto.

È impossibile non subire il fascino dei disegni di Alessandro Giordano. È il classico disegnatore che mette d’accordo tutti, senza sbavature, preciso e diretto, che si destreggia ai pennelli con una tecnica che sembra il frutto di tantissimi anni di studio (qualcosa di elegante e tagliente che evoca una fusione ideale tra Alberto Breccia e Piero Dall’Agnol) e che invece, dati anagrafici alla mano, ci racconta una storia diversa, molto recente. Un talento naturale, insomma, unito a una grande conoscenza di quello che volgarmente viene definito il “mestiere” del fumetto.
A fare l’indovino si vince facile con uno della risma di Alessandro Giordano, ma ci sono casi in cui non bisogna sottrarsi alla retorica previsione di grandi traguardi e un futuro professionale luminoso per questo artista. Giordano è talmente bravo che da collega non ti puoi permettere nemmeno quel pizzico di inconfessabile invidia, perché tanto si capisce che non c’è storia, che è di un’altra categoria. Al suo esordio nel 2016 si è fatto notare con il bonelliano Xamu (Le Storie) e oltre ad essere il copertinista della testata La Iena, per il Maxi Dylan Dog n.34 ha disegnato il terzo episodio dal titolo Musica per corpi freddi su testi di Gigi Simeoni. Alcune domande ad Alessandro ce lo faranno conoscere meglio…

Alessandro, come ti sei avvicinato al mondo del fumetto?
Mi piacerebbe dire qualcosa di originale, ma credo di aver iniziato da bambino un po’ come tutti i fumettisti. Ricordo di aver immaginato e disegnato una pagina che qualcuno aveva strappato via da un vecchio Topolino, e di averla incollata in modo preciso e ordinato. Dopo qualche giorno la staccai via in preda all’insoddisfazione. Quella pagina è una cara amica che fin da piccolo mi spia mentre disegno ma che di sicuro mi ha aiutato a diventare un professionista. Ho avuto l’onore di esordire nel 2016 direttamente con la Sergio Bonelli Editore con Xamu‘ per la collana Le Storie. Una bella avventura fantascientifica scritta da Gigi Simeoni su cui mi sono fatto le ossa e alla quale sono molto legato. Subito dopo sono approdato a Dylan Dog (che potete trovare in edicola) sempre su testi del buon Gigi.

Come sei venuto in contatto con Bonelli Editore?
È accaduto che al Napoli Comicon di cinque anni fa, quasi per scherzo, ho fatto vedere le mie tavole al grande Corrado Mastantuono. Ero imbarazzatissimo soprattutto perchè avevo disegnato una tavola di Tex che più che ”Mastantuoniana” era un vero e proprio plagio. Ma lui è rimasto molto colpito e mi ha detto di telefonare subito in redazione. Mi sono ritrovato in via Buonarroti al settimo cielo, dove mi hanno affidato la sceneggiatura di Gigi Simeoni. Più tardi, però, alla gioia di essere stato in redazione si è sostituita la paura di aver fatto il passo più lungo della gamba. Avevo davvero poche tavole alle spalle, ma anche grazie a Gigi che mi ha fatto da supervisore sono riuscito a cavarmela.

Riguardo Xamu com’è stato l’impatto con la prima sceneggiatura e qual è il tuo rapporto con Simeoni?
Dopo il diploma da geometra ho deciso di provare a studiare fumetto. Scelta relativamente obbligata, visto che oltre al disegno la sola alternativa era costruire chitarre elettriche, ma qualche anno fa non si trovavano corsi di liuteria convincenti. Così, dopo cinque anni che non disegnavo manco per scherzo, ho ripreso la matita e preparato un piccolo portfolio con qualche disegno.
Ho provato all’Accademia di Bologna, il corso di fumetto era fresco fresco, ma non ho passato il test d’ingresso, così mi sono iscritto al corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli e contemporaneamente  alla Scuola Italiana di Comix. Lì ho potuto imparare rapidamente un sacco di cose, grazie ai tanti insegnanti che non sto qui a citare, ma per dovere di cronaca devo nominare almeno  i gemelli Cestaro in quanto, per me, erano (e sono) dei veri e propri idoli. Ho rubato tantissimo dai loro fumetti e dalle loro lezioni. Oltre ad approfondire le opere di autori come Toth, Parlov e Tacconi, grazie a loro ho conosciuto la scuola argentina e i lavori di un grande disegnatore che è stato fondamentale per la mia crescita: Andrea Borgioli. Sono stati sempre loro a farmi scoprire Jorge Zaffino, in seguito ad una mia dichiarazione d’amore verso carnevale e Mastantuono. Si può dire che da quel giorno la mia vita è cambiata.

A quale tipo di fantascienza (presumo cinematografica) ti sei ispirato per le tue ambientazioni nel fumetto d’esordio?
All’epoca di fantascienza ne sapevo poco e niente. Preferivo l’urbano o il western perché si sposavano meglio con il mio tratto sporco, ma nel portfolio avevo delle tavole di Star Wars che credo abbiano influenzato Mauro Marcheselli. Mi aveva di sicuro scambiato per un’appassionato di sci-fi! Il buon Gigi è venuto subito in mio soccorso consigliandomi film come Atto di Forza e Space Truckers come riferimento. La tecnologia doveva essere scruffy, e quindi potevo caricare di chiaroscuri che tanto mi piacevano. In tutta onestà mi manca un sacco quell’ambientazione, mi piacerebbe tornare a disegnare quei personaggi.

Poi è arrivato Dylan Dog: deve essere una bella soddisfazione!
Onestamente, prima di disegnarlo ne avevo letto pochi numeri. Ma è stato indubbiamente emozionante, perché come personaggio mi ha sempre affascinato – oltre ad essere una colonna del fumetto. Durante la realizzazione della storia l’adrenalina vera ho iniziato a sentirla da metà albo in poi: più disegnavo Dylan e Bloch e più ci prendevo confidenza. Diventano come vecchi amici, immagini le loro posture, le loro reazioni, e addirittura il tono di voce. L’emozione sta tutta nel cercare di trasferire quell’idea indefinita, ma che allo stesso tempo hai ben a fuoco, su carta. Ovviamente è anche la parte più difficile e spesso frustrante, proprio perché è carica di emotività.

A chi ti sei ispirato per modellare il tuo personaggio?
Ho subito cercato di trovare una mia visione personale per Dylan, ma soprattutto all’inizio ho lasciato che Dall’Agnol, Carnevale e Ambrosini mi mostrassero la strada. Il suo volto ha delle proporzioni delicate, per me è difficile da disegnare quasi quanto un volto di donna.

Come ti sei calato nel mondo di Dylan per trovare le giuste atmosfere?
Ho sempre amato le atmosfere cupe e cariche di inchiostro, ma durante la lavorazione ho capito che con Dylan bisogna dosare il segno e creare un’atmosfera che passa dall’horror carico di nero alla commedia quasi grottesca. Si ottiene maggiore ritmo e non si perde l’occasione di giocare con alcune espressioni buffe dei personaggi. Ma fin da subito ho cercato di dare un taglio alla True Detective; Dylan e Bloch sono una coppia formidabile e perfetta per queste atmosfere.

Cosa stai leggendo in questo periodo?
Ultimamente sono innamorato di Christophe Blain. Ho letto quasi tutto di lui e credo che Gus sia tra i più bei fumetti che abbia mai letto, insieme a Torpedo e ai New X-Men di Morrison e Bachalo. Rispetto a qualche anno fa i miei gusti si sono spostati più verso fumetti francesi e d’autore. Per quanto riguarda l’Italia, sono un fan accanito di Mercurio Loi. Leggendo Blain ho cominciato ad apprezzare molti disegnatori che qualche anno fa avrei definito sgrammaticati. Ora cerco cose più fresche, sintetiche e spesso influenzate dall’animazione. Sono diventato più che mai un sostenitore dell’essenziale, anche se spesso mi manca il coraggio di andare fino in fondo. Ma in ogni caso, un buon fumetto o anche solo dei bei disegni vanno oltre i generi o le nazionalità quindi cerco di tenere d’occhio tutto quello che esce, sperando di immagazzinare le cose che mi piacciono.

Come organizzi il tuo lavoro?
Il mio metodo di lavoro è abbastanza canonico. Visualizzo sotto forma di thumbnails tutte le tavole di una scena. Poi procedo ad abbozzarle in formato di stampa, in modo da avere meglio sotto controllo il racconto e le proporzioni, ma soprattutto perché quando disegno su formati piccoli il mio approccio è più fresco e rilassato. È la fase che preferisco ed è quella dove cerco di essere il più ”emotivo” possibile. Successivamente scansiono, ingabbio la tavola con Photoshop, stiracchiando o stringendo vignette e ricalco sul foglio di bella utilizzando lo schermo del mio povero computer come tavolo luminoso. Definisco a matita e infine inchiostro con un pennarello calligrafico giapponese e pennello. Non trascuriamo il bianchetto però: sulle tavole ne scorre a fiumi!

Attualmente di cosa ti stai occupando?
In questo momento sto principalmente studiando il colore e pittura digitale. È una cosa che a scuola avevo trascurato e sento che è arrivato il momento di rimediare, visto che sto lavorando alle copertine de La Iena (Edizioni Inkiostro). Inoltre mi piacerebbe fare un libro ma siccome non ho idea di dove si cominci, sto studiando anche per quello.

Ci sono tematiche, generi, ambientazioni che vorresti affrontare come autore completo?
Mi piacciono così tante cose che non è facile avere un’idea precisa. Sono una persona molto introspettiva e forse i temi psicologici sono i miei preferiti. Vorrei partire da qui anche se il rischio di fare qualcosa di banale è alto. Blain, ad esempio, riesce a mischiare i drammi personali, la comicità e la tensione in modo asciutto e senza fronzoli. Vorrei scrivere così, storie del genere sono universali e rimangono immortali.
Più che parlare di ambientazione parlerei di quello che mi piace disegnare. Di sicuro qualcosa di cupo dove posso far scorrere il nero a fiumi o qualcosa di super sintetico e coloratissimo con i personaggi che se le danno di santa ragione.
Spero di riuscire a concretizzare qualcosa. Fino ad ora ho solo abbozzato delle tavole autoconclusive di cui quasi nessuna è stata portata a termine.

Intervista rilasciata via mail a fine 2018.

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