Al Porto delle Storie con Ro Marcenaro e Silver

Al Porto delle Storie con Ro Marcenaro e Silver

Nel giorno dell’inaugurazione della manifestazione sul fumetto Il porto delle Storie a Camogli, Bjorn Giordano ha incontrato Ro Marcenaro e Silver per due brevi interviste.

A Camogli, mentre sul quadrante di mare del Golfo Paradiso la chiesa e Castel Dragone contendono la signoria all’imponente profilo del promontorio di Portofino, il 4 ottobre 2019 si è inaugurata il la rassegna Il Porto delle Storie.

Nella Sala Consiliare del Comune una piccola folla di convenuti si assiepa davanti al sindaco Francesco Olivari, al direttore artistico Ferruccio Giromini, alla rappresentanza dell’Ascot di Camogli e ai primi due autori ospiti: Ro Marcenaro e Silver, al secolo Guido Silvestri.

Il Sindaco Olivari si dice molto felice di aver contribuito a riportare il fumetto a Camogli, dopo la mostra I Due Volti di Hugo Pratt tenutasi nel lontano 1997. Ferruccio Giromini ricorda come le presenti quattro mostre e i loro autori rappresentino quattro declinazioni della narrativa grafica. Per esempio sottolinea quanto Ro Marcenaro, nella sua lunga e prolifica carriera, sia stato pioniere della narrazione per immagini: dalle animazioni per il Carosello a direttore della televisione del Secolo XIX, all’illustrazione e animazione in digitale (tra i videoclip più noti quelli per le canzoni di Gino Paoli). Da parte sua, la mostra diffusa nelle vetrine dei negozi delle vie centrali di Camogli, che ha come protagonista Lupo Alberto, dimostra come il personaggio creato da Silver si sia sempre prestato a tantissimi usi diversi grazie ad una poliedricità unica nel panorama italiano: “Lupo Alberto fa tutto e non si tradisce mai”, conclude Giromini.

Guardando alle due prime giornate con i primi due autori, Ferruccio Giromini considera una conquista l’atmosfera di confidenza negli incontri, in grado di portare appunto a conoscere meglio queste persone speciali; un’atmosfera in netta controtendenza con la deriva fieristica di molte altre manifestazioni dedicate al fumetto. Tanto che nel suo intervento anche Silver, ricordando l’atmosfera della prima Lucca, esprime l’auspicio di rivivere a Camogli quelle stesse situazioni. E il medesimo auspicio di ricreare un luogo di ritrovo amichevole tra autori e pubblico è condiviso da Ro Marcenaro. In merito poi alla propria mostra ospitata nella Sala Consiliare, Marcenaro aggiunge che non solo ogni articolo ma in realtà ogni capoverso della Costituzione meriterebbe di essere illustrato, per la ricchezza degli spunti che offre, e annuncia che il materiale in mostra è particolarmente adatto ad entrare nelle scuole, come già sperimentato in Emilia Romagna, riaffermando il desiderio che anche le scuole camogline aderiscano all’iniziativa.

Nel rievocare l’inizio della sua carriera, Marcenaro ricorda che a spingerlo verso l’animazione era stata la fame, in un’epoca però dove la necessità di professionalità corrispondeva all’aprirsi alle nuove tecniche, cifra che contraddistingue tuttora il suo lavoro e che lo ha portato ad essere sempre fra i primi a sperimentare le più nuove soluzioni espressive. L’autore viene inoltre celebrato dal giornalista Carlo Rognoni, già direttore dei settimanali Epoca e Panorama come del quotidiano genovese Secolo XIX, la cui carriera si è spesso intrecciata con quella di Marcenaro.

Per Silver è invece inevitabile il ricordo del suo esordio a diciassette anni, spinto dall’amore per il fumetto, una vera folgorazione coincisa con l’uscita nel 1965 di Linu, che ospitava strisce umoristiche capaci di toccare ogni argomento, per di più ben tradotte.

Dopo le domande del pubblico presente, il Sindaco conclude l’incontro elogiando il lavoro dell’Ufficio Cultura del Comune per la buona riuscita della manifestazione e dando appuntamento al fine settimana successivo per l’atteso confronto con Vittorio Giardino e Milvio Cereseto.

Intervista a Ro Marcenaro

Ro Marcenaro è nato nel 1937 a Genova. Viene annoverato tra i pionieri del cartone animato di pubblicità per aver realizzato tra il 1958 e il 1974 alcuni tra i più noti spot pubblicitari tra cui quelli con la plastilina per il Fernet Branca. Nel 1975 realizza il “ Manifesto Comunista a fumetti” . Dal 1976 le sue illustrazioni vengono pubblicate su Panorama, Espansione, Panorama Mese, Epoca, Rassegna Sindacale, La Repubblica, Il Venerdì di Repubblica, La Gazzetta dello Sport. Nel 1976 diventa direttore di TVS, legata al quotidiano ligure Secolo XIX.

Cambia il suo atteggiamento rispetto alla narrazione quando passa all’animazione piuttosto che fumetto o illustrazione?
No.
No perché è il mio mestiere e quindi ogni volta mi metto nella posizione di quello che ha qualcosa da dire e che usa uno strumento diverso. L’atteggiamento però è sempre lo stesso: è la voglia di comunicare.

Il momento al quale è più affezionato della sua carriera o l’opera alla quale è più affezionato?
L’ultima.
É sempre l’ultima.
Adesso sto cambiando per la prima volta strumento di comunicazione: sto scrivendo questo libro sull’Africa e sono estremamente appassionato all’argomento Africa. Recentemente ho finito la Costituzione e per me non c’era nulla al mondo di più importante della costituzione. Quando ho fatto il Vangelo di San Marco, che ho illustrato, ero immerso nel vangelo fino al collo quindi il punto più alto è sempre l’ultimo.

Nella sua opera ha fatto molta divulgazione culturale dal manifesto del partito comunista al vangelo e ultimamente la Costituzione per non parlare del Candido di Voltaire. Si è mai trovato professionalmente nella veste di insegnante e vi si trova a suo agio trasmettere conoscenze anche in merito al suo lavoro?
Ho fatto diversi corsi, alcuni sull’animazione, finanziati dalla Unione Europea per diversi anni a Firenze e Reggio Emilia poi ho fatto un corso, più vicino a me e ai miei allievi, di fumetto al Liceo Artistico di Trapani. Erano ragazzi dell’ultimo anno molto motivati e quella è stata un’esperienza piuttosto intensa e forte che mi è piaciuta molto devo dire. Quelle rare volte che sono nelle condizioni di poter insegnare qualcosa a qualcuno di quel poco che so lo faccio sempre con gioia.

Intervista a Silver

Guido Silvestri, in arte Silver, è nato a Modena nel 1952. Ha esordito giovanissimo nello Studio di Bonvi collaborando alla realizzazione di Cattivik, di Nick Carter e di Capitan Posapiano. Col tempo arriverà a curare le storie di Cattivik oltre ad evolvere la grafica del personaggio. Nel 1973 Silver dà vita, sulle pagine di Undercomic, a Lupo Alberto, che poi verrà ospitato sulle pagine del Corriere dei Ragazzi e su Eureka, rivista della quale condividerà la direzione per circa un anno con Alfredo Castelli. Nel 1976 Silver viene assegnato il Premio Albertarelli grazie al personaggio di Lupo Alberto inaugurando una lunga serie di riconoscimenti per la sua opera.

Il ricordo più vivido dell’apprendistato in studio con Bonvi?
Ce ne sono tantissimi. Dalla prima volta che lo ho incontrato. Ero un giovane studente, avevo non più di diciassette anni.
A scuola un insegnante ci disse che un suo conoscente per i fumetti aveva bisogno di un assistente e io mi presentai il pomeriggio stesso a casa sua. Lui amava molto rappresentarsi in un certo modo e abitava in questo attico al settimo piano di un palazzo a Modena. Io entrai e c’era lui al suo tavolo con la bottiglia di whisky, la lampada sopra con una grande vetrata che dava sulla periferia per cui fu un impatto molto forte, ero un ragazzetto non mi aspettavo di vedere questa scena che sembrava quasi quella di un film. Lui fece un poco il sussiegoso, mi squadrò da capo a piedi come dire “Tu che cosa sai fare?”. Quello è stato l’inizio del nostro sodalizio, della nostra amicizia.
Del mio rapporto con lui mi piace sottolineare soprattutto l’aspetto umano. Noi siamo stati molto amici e io lo consideravo un fratello maggiore.
Sono sicuro che è più quello che mi ha dato da un punto di vista umano che da un punto di vista professionale, seppure anche questo importantissimo.

Avendo parlato al pubblico della produzione di una grande opera seriale come quella di Lupo Alberto com’è cambiato il modo di gestire il segno grafico, anche a fronte di questa grandissima mole di lavoro?
Io premetto sempre che non mi considero uno che sa disegnare. Non lo dico per fare cerimonie, lo penso veramente. Io mi sono formato sulle strisce americane, su un segno molto essenziale, su un tratto che non cercava il virtuosismo, un tratto che cercava soltanto di essere efficace per quello che intendeva trasmettere e intendeva dire, che fosse funzionale alla narrazione di una striscia di poche battute.
Per questo dicevo che Bonvi mi ha dato di più sul piano umano che su quello artistico in sé, a parte l’aspetto commerciale, nel quale Bonvi è stato un pioniere.
Per diversi anni ho dovuto imitare il segno di Bonvi, del quale francamente non ero un fan, perché rispetto a quelli che consideravo i miei maestri come Schultz, Johnny Hart, George Herriman etc., era un po’ troppo “disneyano” eccessivamente tondo, gommoso, troppo definito. È stata lo stesso una grande scuola, ma assimilare il suo tratto e farlo mio mi è costato molta fatica.
Fatica che però mi ha insegnato parecchio, non a evolvere il suo stile ma piuttosto a comporre la tavola. Mi ha insegnato a disegnare oltre che a raccontare. Come uno che studia chitarra classica, una volta imparato a padroneggiare lo strumento può fare tutto, dal rock al jazz.
Infatti appena smesso di collaborare con Bonvi ho subito ripreso da dove avevo lasciato i miei autori americani preferiti e da lì sono ripartito. Nelle prime strisce si vede, c’è ancora un poco di Bonvi che poi man mano si perde.

Nel tuo intervento hai accennato alla debolezza del mercato italiano, afflitto da poca industria e poco pubblico. Tu cosa augureresti al fumetto italiano?
Io credo che come in un certo periodo qualitativamente siamo stati potenzialmente un passo avanti a tutti, e lo dico convinto, penso che ancora oggi la nostra creatività seppur penalizzata da un mercato inesistente sia di una qualità molto alta. Potremmo dire delle cose molto importanti in questo settore se trovassimo i mezzi per esportare i nostri talenti. Siamo chiusi dentro ai nostri angusti confini, e non solo culturali. Il resto del mondo ci snobba e non c’è nessuna struttura che promuova il nostro lavoro all’estero, con una politica adatta.
Quando abbiamo fatto le serie televisive di Lupo Alberto ho frequentato i festival di Annecy e parte di quelli dedicati al cinema di animazione, e ho sempre dovuto constatare da parte nostra l’assoluta mancanza di competenza, di strategia, oltre che di una adeguata conoscenza della lingua inglese. Non c’è la mentalità. Non che il nostro lavoro debba essere sostenuto dallo Stato, ci mancherebbe altro, ma non c’è una politica in grado di promuovere in modo efficace il nostro lavoro all’estero. Così ogni tanto c’è qualcuno che piglia su la valigetta e va via, uno su mille ce la fa e tutti gli altri rimangono indietro.
Eppure, per fare un esempio, le storie Disney di produzione italiana sono le migliori per qualità rispetto al resto della produzione mondiale, fatta eccezione per qualche caso sporadico, e così anche per altri generi, ma nessuno sembra disposto a riconoscerlo. Ottimisticamente penso che sia proprio il timore della nostra eccellenza ad attirarci questa specie di ostracismo, come se dicessero “okay la cucina, il fashion e la Ferrari, ma i fumetti sappiamo farli meglio noi”. È per una sorta di protezionismo che ci creano ostacoli e barriere.

Quindi ci auguriamo che cadano?
Io sono sicuro di sì.

Interviste condotte dal vivo il 5 ottobre 2019 a margine dell’incontro al pubblico con gli autori.

Il Porto delle Storie: approdiamo con Ferruccio Giromini

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