Il primo anno di Adam Wild (terza parte – disegni e futuro)

Il primo anno di Adam Wild (terza parte – disegni e futuro)

Promesse e gabbie per la nuova creatura di Gianfranco Manfredi: Adam Wild. Nella terza e ultima parte, l'esplorazione grafica e il futuro di Adam Wild.

L’esplorazione grafica

adam_19Gianfranco Manfredi aveva detto, presentando la sua nuova serie, che dal punto di vista grafico ci sarebbe stata molta sperimentazione. L’esplorazione africana avrebbe trovato un suo parallelo nell’esplorazione visiva.
Per Adam Wild, quindi, il team creativo era stato scelto pensando a collaboratori collaudati (Alessandro Nespolino, DarkoPerovic, Paolo Raffaelli), affiancando loro volti nuovi per la Bonelli, capaci di introdurre stili e suggestioni diverse.

Il risultato della ricerca ha portato picchi positivi, sorprese e qualche episodio meno convincente.

Matite conosciute

Partendo dai volti noti: Alessandro Nespolino, autore degli studi dei personaggi, si è confermato un maestro, con un numero d’apertura da manuale, senza sbavature, grazie a una resa precisa ed espressiva di fisionomie e volti, una gestione ottima delle inquadrature e delle ombre, ambientazioni solide e particolareggiate.

adam_22Per DarkoPerovic, che si è occupato de “La carica degli elefanti” e di tutte le copertine, il discorso deve necessariamente essere bipartito. Se sulle pagine della storia a lui affidata il suo stile misurato, le fisionomie allungate e liquide, le linee spennellate e il buon livello di dettaglio convincono, l’approccio alle copertine si è rivelato in media poco centrato.
E questo, per più concause: anzitutto la necessità di rinunciare a riempire i corpi con le ombreggiature cui ci ha abituati nel suo lavoro in bianco e nero, controproducenti lavorando sul colore. In secondo luogo la colorazione usata, piatta e poco sfumata, che non è riuscita a riempire adeguatamente i vuoti lasciati dai neri. In terzo luogo la carta lucida delle copertine, che non valorizza la colorazione usata.
Per ultimo una disposizione degli elementi che spesso non dà la giusta forza all’immagine: i corpi appaiono troppo rilassati rispetto alla drammaticità delle scene proposte, i volti non mostrano la dinamicità delle situazioni. La combinazione di questi difetti si fa sentire parecchio quando l’inquadratura si avvicina ai personaggi, come ne “Gli schiavi di Zanzibar”, “La terza luna”, “Fuori dal paradiso” e, soprattutto, “I demoni del Kilimanjaro”. Se invece l’inquadratura si allontana o la scena rappresentata si riempie di personaggi o particolari il risultato appare decisamente più convincente, come per esempio in “Le notti di Mombasa”, “L’arca” (dove l’effetto della pioggia movimenta efficacemente l’immagine) o “La carica degli elefanti”.

adam_16Terzo ma non ultimo dei tre “veterani”, Paolo Raffaelli, autore di una prova maiuscola ne “L’incubo della giraffa”, con le sue figure corrose dal sole, un tratto espressivo e suggestivo, che mangia dettagli ma dà forza a personaggi e ambientazioni, e una sua resa “anni settanta” di Adam, molto personale e accattivante. Meno affascinante il più recente “L’arca”, numero conclusivo della prima annata, che lo ha visto di nuovo al lavoro, anche se l’ambientazione, che non prevedeva più lo spazio aperto e chiaro della savana, si è rivelata meno adatta alla sua dinamica di bianchi e neri.

Volti nuovi in Bonelli

Importanti non meno degli autori già sperimentati, i volti “nuovi” (nuovi solo per la Bonelli, in realtà) sono stati protagonisti di prove molto interessanti e qualche caduta.

Partiamo dal manipolo di autori dell’est europeo: in ordine di apparizione, il serbo Vladimir “Laci” Krstic, responsabile della doppia prova de “I diari segreti di Livingstone” e “L’anello mancante”, con i suoi neri densi e netti che definiscono bene le figure, le invadono come ragnatele e inondano gli sfondi, con un effetto spettacolare nelle scene notturne, illuminate dai bagliori cangianti delle torce.

All’opera in “Fuori dal paradiso”, un altro serbo, Zoran Tucic ha mostrato di sicuro il tratto più ostico del gruppo, con volti troppo uniformati, figure legnose e bidimensionali, ombre spesso incoerenti. Le sue pagine sono, quasi all’opposto di Laci, invase dal bianco e percorse da linee sottili, con pochi dettagli che limitano la variabilità degli ambienti, riducendo il cratere di Ngorongoro a una distesa di rocce informi.

Il terzo serbo, Stevan Subic, si caratterizza, ne “Il signore delle iene”, per tavole dettagliatissime, dove i neri densi degli elementi in primo piano o nell’ombra si integrano con un sottile tratteggio che rende tridimensionali volti, oggetti e indumenti, mentre un’attenzione particolare per i corpi li mette in mostra in pose plastiche e dona agli animali un realismo quasi fotografico.
Chiude il lotto il croato DamjanStanich, che ne “I demoni del Kilimanjaro” si dibatte fra momenti buoni, un uso efficace delle ombre e corpi rappresentati male o volti dalla resa incostante.

adam_8Per la compagine italiana: Antonio Lucchi esordisce bene in Bonelli ne “La terza luna”, con un ottimo livello di dettaglio, una disposizione molto dinamica dei corpi nelle scene d’azione, aiutata da inquadrature che allungano le fisionomie in movimento, una bella spash page e un’ottima battaglia in notturna, con il cielo scuro e la luna attraversati da frecce incendiarie. Se proprio si deve trovare un difetto nella sua impostazione, forse la recitazione di alcuni personaggi appare un po’ sopra le righe.

Massimo Cipriani in “Giovani leoni” affronta le tavole in modo decisamente più ordinato e classico di Lucchi, con una buona separazione fra bianchi e neri e vignette sempre intelligibili. La sua è una prova onesta, pulita, senza guizzi estrosi o peculiarità da segnalare, ma centrata e godibile. Qualche somiglianza di impostazione si può trovare fra il suo e il lavoro di Giorgio Sommacal su “Le notti di Mombasa”, anche se quest’ultimo, pur mantenendo un equilibrio fra bianchi e neri analogo, si mostra più incline al tratteggio volumetrico e connota i personaggi con fisionomie che appaiono in alcuni momenti meno coerenti e meno integrate con le ambientazioni.

Insomma,è il caso di dire: nessuna gabbia, dal punto di vista visivo. Un bel viaggio, magari non sempre centrato, ma di sicuro vario e appagante.

Conclusioni: il futuro di Adam Wild

È recente la notizia, partita dal profilo facebook di Gianfranco Manfredi, di una chiusura anticipata della serie, a meno di colpi di scena nei dati di vendita. Non è questo il luogo per discutere sulle cause di un risultato commerciale (per ora) negativo di questa scommessa Bonelli. Spendiamo quindi due parole su ciò che bolle in pentola: sul futuro dell’eroe e della sua testata.

adam_20Anzitutto: che modifiche portano i due episodi londinesi, al di là del cambio di contesto?
Se era necessario trovare un modo per mettere alla prova Adam, Londra riesce nell’intento: quelle che nei numeri precedenti erano sfide risolte a colpi di pistola e con il sorriso sulla faccia, qui diventano faccende più complicate e meno districabili.

Adam si carica da subito della nuova atmosfera, svestendosi del suo ghigno di fabbrica e mostrando tutta la sua allergia ai giochi di potere della società da cui è fuggito e a cui deve tornare per ottenere finanziamenti. Vederlo in vera difficoltà è una ventata di aria fresca per la serie, e se le sue reazioni si mantengono veementi, qui per la prima volta cogliamo una sfumatura diversa. Non c’è più la strafottente sicumera, ma una certa dose di insicurezza.

Sono i dialoghi con Amina a far maggiormente affiorare il disagio: Manfredi è bravo a inserire, negli scambi al solito netti e scarni fra i due, tutto il senso di protezione dell’esploratore per la principessa, unito al senso di impotenza dell’uomo che percepisce pericoli che non sa bene affrontare, come l’esposizione mediatica della sua amata. Amina stessa vive la nuova realtà nella sua consueta maniera conflittuale: reagisce con forza, si mostra dura, ma appare al contempo spaurita, come nel viaggio in nave appena affrontato, e il suo personaggio ne esce cresciuto, a livello drammaturgico.

adam_21Per Lady Winter il processo è inverso, ma comunque interessante e ben preparato: se nella giungla la nobildonna subiva lo status altissimo di Adam, che appariva invincibile, qui è lei a condurre il gioco: mantiene la sua indole incontrollabile, ma appare inserirsi bene in una società che capisce molto meglio del suo ex amante. Questa inversione di status mescola bene le carte del rapporto fra i due.

Narciso continua a inserirsi a fatica nel contesto: se prima il suo motivo per rimanere con Adam, al di là di un’amicizia mai completamente dichiarata e formata, era il finanziamento per una spedizione che non è mai stata l’obiettivo del gruppo, la trasferta londinese per lui è anche meno spiegabile, se non per il mantenimento della sua condizione di spalla del protagonista. Anzi, il suo ruolo subalterno appare addirittura amplificato, riducendolo ad accompagnatore di Amina o segretario dell’esploratore.
Nonostante questo, in “Incendio allo zoo” assistiamo a un gustoso fuori programma che ribalta una delle caratteristiche su cui il conte finora insisteva di più, e in mancanza d’altro ci regala un momento divertente,rilassando una sua rigidità che appariva eccessiva.

Nuovi antagonisti

adam_30La nuova stagione porta con sé anche nuovi antagonisti, i Manning, annunciati fin dalla presentazione della serie. Interessante la volontà di Manfredi di costruire una famiglia disfunzionale, in cui tutti i membri mostrano spiccati atteggiamenti psicotici. Di sicuro il gioco di punizioni incrociate fra Ambrose e Norman e la vacuità di Suzanne generano momenti divertenti, anche se il ritmo alto del racconto finisce per impedire una coerente descrizione della loro vita deviata: la follia e l’assurda violenza domestica che mostrano non si sedimenta bene attraverso i frequenti cambi scena, e il conseguente effetto sul lettore è meno forte di quanto si sarebbe auspicato.
Viene inoltre da pensare che proporre i Manning equivalga alla volontà di mantenere lo schema consolidato nei primi 12 numeri: Adam, a Londra, si cala in una giungla analoga a quella che ha lasciato, con tanto di capo tribù psicotico e di personaggi estremizzati. Cambiare tutto, insomma, mantenendo il gioco di fondo.

adam_31Quello che ci restituisce la trasferta londinese, insomma, è un fumetto che ha saputo riportasi su una rotta narrativamente stimolante, sebbene il suo eroe non manchi di mostrare le caratteristiche estreme che non l’hanno reso simpatico nei numeri precedenti. Esempi in merito: l’esordio deflagrante alla Royal Geographical Society ne “La giungla metropolitana”, il combattimento con la tigre, armato di coltello, e la roboante dichiarazione fatta a lord Cecil alla fine di “Incendio allo zoo”. Ma Adam è stato creato così, come abbiamo detto, e non ci si può discostare nell’immediato dal modello imposto.

Quello che importa, piuttosto, sono le nuove promesse di Manfredi, comparse in una recente intervista pubblicata sul sito della Sergio Bonelli Editore: una continuity più serrata, l’approssimarsi di una scelta molto difficile per lo scozzese e una parte del suo passato finalmente svelata. In altre parole: da un lato sta per rilassarsi una delle gabbie della serie (la proceduralità), dall’altro il suo protagonista sta per essere messo alla prova e dovrebbe smettere di agire nel solo presente, crescendo come entità.

Se queste nuove promesse dovessero essere rispettate la serie potrebbe cambiare davvero volto e prendere il volo.

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Abbiamo parlato di:
Adam Wild #1- #14
Gianfranco Manfredi, Alessandro Nespolino, DarkoPerovic, Vladimir “Laci”Krstic, Antonio Lucchi, Paolo Raffaelli, Zoran Tucic, Stevan Subic, Massimo Cipriani, Giorgio Sommacal, DamjanStanich, Luca Casalanguida, Marcello Mangiantini
Sergio Bonelli Editore, ottobre 2014 – novembre 2015
Volumi da 96 pagine, brossurati, bianco e nero – € 3,30 ciascuno

2 Commenti

1 Commento

  1. Giorgio Sommacal

    16 Dicembre 2015 a 10:58

    Caro Vittorio Rainone,
    ho apprezzato il tuo articolo, ma mi resta un dubbio sulla parte che mi riguarda: “anche se quest’ultimo, pur mantenendo un equilibrio fra bianchi e neri analogo, si mostra più incline al tratteggio volumetrico e connota i personaggi con fisionomie che appaiono in alcuni momenti meno coerenti e meno integrate con le ambientazioni.”

    Cioè? Per favore spiegati meglio, grazie

  2. Vittorio Rainone

    16 Dicembre 2015 a 19:53

    Ciao,
    anzitutto grazie per l’apprezzamento.

    Per quanto riguarda le mie parole: per prima cosa avevo ravvisato una impostazione della pagina che, come rapporto fra ombre e parti chiare, era simile a quella di Cipriani. Mi spiego: mentre per esempio Subic o Laci o Lucchi utilizzano di più il nero, e al contrario Tucic ha un tratto molto sottile e le sue tavole risultano di conseguenza molto chiare, nel caso tuo, come di Cipriani, mi sembrava ci si trovasse in una situazione intermedia. Peraltro l’impostazione di entrambi i tratti non “spennellata” alla Perovic, ma nemmeno “composta” e definita come avviene in Nespolino.
    Ovvio, ci sono differenze (anche piuttosto marcate) fra voi due: al di là di una gestione diversa delle fisionomie, mi è sembrato che Cipriani ricorresse meno al tratteggio per rendere le ombre e di conseguenza definire i volumi degli oggetti.

    Per quanto riguarda la coerenza prospettica delle fisionomie, ci sono vignette in cui mi è sembrato che la disposizione tridimensionale dei corpi fosse non coerente con le scene presentate.
    Faccio qualche esempio:
    – a pg 35 vignetta centrale, la disposizione di lady Winter e del suo assistente mi sembra strana, l’assistente sembra più grosso di quello che è in altri casi, e il suo tre quarti invade la posizione di lady winter, risultando in un insieme un po’ troppo affastellato
    – a pg 42 seconda vignetta, il tre quarti del volto di Adam ha gli occhi un po’ troppo vicini
    – in alcune vignette, come la prima di pagina 43, ci sono dei profili che appaiono troppo poco tridimensionali rispetto alle disposizioni del resto dei corpi (a p. 43 il profilo che mi sembra “strano” è quello di Adam) e cioè mi sembrerebbe più logico inserire dei tre quarti (o posizioni intermedie) al posto dei profili, che così mi danno l’effetto di essere un po’ staccati dal resto dell’immagine (incoerenti, appunto)
    – a pag 44 nella vignetta in cui Adam accarezza Amina ho l’impressione che la mano sia staccata dal corpo dello scozzese e il viso di Amina mi sembra un po’ troppo grosso rispetto alla distanza teorica a cui dovrebbero trovarsi
    – a pag 49 seconda vignetta della seconda fascia, il braccio di Frankie Frost mi sembra un po’ troppo grande (o la faccia troppo piccola)
    – a pagina 72 prima vignetta della terza fascia, il braccio di Sam appoggiato al tavolo mi sembra non reso prospetticamente, come se Sam avesse la spalla sinistra un po’ troppo avanti rispetto a quanto dovrebbe essere
    – a pagina 80, seconda vignetta, l’Amina che corre ha un volto che mi sembra troppo piccolo

    Ovviamente questa “incoerenza” non la ravviso sempre, come ho scritto, e tra l’altro, a dirla tutta, mi sembra anche una conseguenza di un tuo modo in qualche modo “istintivo” (passami il termine) di rendere i personaggi, specie nei momenti dinamici, e non mi sembra pertanto necessariamente spiacevole. Per esempio, nella vignetta sulla rissa, a pagina 25, le distorsioni di alcuni corpi (il volto di adam e di amina, che appaiono un po’ schiacciati) rendono bene la concitazione e conducono comunque a un bell’effetto complessivo.

    Spero di essere stato più chiaro, e scusami se nell’approfondimento sono risultato troppo stringato: la trattazione, per la parte grafica, voleva essere “a volo d’uccello” senza scendere troppo nei particolari.

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