Indice
- Prima parte – struttura e protagonista
- Seconda parte – i comprimari
- Terza parte – disegni e futuro
Le promesse di Manfredi
Nella moltitudine di esperimenti, delle piccole grandi innovazioni, e nella varietà dei generi narrativi e personaggi che abbiamo “lanciato in avanti” per andare incontro al presente-futuro e al mutamento di gusti e interessi che inevitabilmente porta con sé, mancava forse un esemplare che valesse quale riconferma della più che mai solida architrave del fumetto bonelliano “classico”.
Sono le parole di Davide Bonelli nell’editoriale del primo numero. Adam Wild parte come porta bandiera dell’Avventura con la “A” maiuscola, che sceglie “come protagonisti uomini e donne capaci di scelte senza compromessi”. Un recupero della Bonelli che fu, pensato per bilanciare gli ultimi figli della casa meneghina, quei Dragonero, Lukas e Orfani che hanno introdotto tematiche, eroi e modalità avventurose in qualche modo distanti dalla tradizione di via Buonarroti.
Nelle interviste rilasciate al lancio della serie, Gianfranco Manfredi ha precisato la sua ricetta: un protagonista sorridente, non conflittuale, ritagliato su modelli cinematografici d’altri tempi (a cominciare dal volto rubato a Errol Flynn); una continuity non pesante, con una struttura che predilige gli episodi autoconclusivi; un contesto storico e geografico ben definito; una spruzzata di ironia, per andare contro certe saghe che nel passato si sono prese troppo sul serio (la memoria va, fra gli altri, proprio ai bei cicli di Magico Vento e Volto Nascosto).
Quello che cerchiamo di capire nell’analisi che segue, è se la formula ha portato, nel primo anno di pubblicazioni, a un buon risultato. O se la gabbia in cui l’esploratore scozzese è entrato si è rivelata troppo stretta per uno sviluppo interessante del personaggio.
Struttura del primo anno
Nessun dubbio: Adam Wild è un procedurale.
Gli schiavi di Zanzibar, il primo numero, è una compiuta introduzione di tutte le tematiche che ritroviamo nei volumi successivi: parte spedizione sulle tracce di Livingstone, che costituisce il fil rouge della prima annata; si assiste all’odio implacabile di Adam verso i negrieri, che appare uno dei motori principali delle sue scelte; facciamo la prima conoscenza con Narciso, Makibu, Sam e la principessa Amina, e in tutti e quattro i casi c’è spazio sufficiente per un accenno alle loro caratteristiche di base. Nonostante la tanta carne al fuoco, la storia fluisce rapida, con un ritmo alto, e si mantiene interessante, perché il contesto viene definito e integrato con le azioni dei personaggi senza forzature o enfasi didascalica.
Nei numeri successivi la serie si assesta su uno schema: il gruppo in viaggio si imbatte in un problema che si rivela immancabilmente fonte di conflitto fra l’obiettivo del conte e la missione di vita di Adam. La personalità forte dello scozzese spiana sul nascere qualsiasi forma di indecisione e la prima scelta di ogni numero è deviare dal percorso di Livingstone per portare a termine qualche missione di carattere umanitario.
Segue un confronto con la struttura sociale locale, tipicamente la contrattazione con un capo villaggio o uno stregone, che chiarisce le caratteristiche della sfida.
Adam prende sempre in mano la situazione, decidendo sulla base di pochi elementi e accennando spesso a un piano di intervento, nella maggior parte dei casi piuttosto scarno. La risoluzione del problema è rapida e feroce, vede Adam come assoluto protagonista, anche se spesso la sua noncuranza del pericolo è compensata da aiuti in extremis da parte di qualche alleato o di Amina. Le pagine finali sono dedicate a un breve dialogo disteso fra i componenti del gruppo, che sottolinea il ruolo di capo incontrastato dell’esploratore scozzese.
Per movimentare la struttura, Manfredi introduce, nel secondo e terzo numero, i due antagonisti principali, e assegna loro sottotrame che fluiscono in parallelo a quella di Adam. Frankie Frost e Lady Winter sono vere e proprie nemesi, ricalchi in negativo dell’eroe eponimo che percorrono i loro cammini, destinati a incrociare la strada del protagonista.
Nel sesto e settimo numero, a parziale deroga da obiettivi che sono, in sostanza, sempre “esterni” al gruppo di comprimari, assistiamo al compiersi dei “destini” di Londo e Makibu, decisi sempre dal deus ex machina Adam.
Se l’intento è di rendere immediatamente godibili i singoli episodi, Manfredi traccia comunque una struttura orizzontale fortemente coesa, con una abbondante dose di richiami incrociati che sviluppano la trama portante. Non è, insomma, un procedurale puro: non siamo di fronte a un eterno presente che ci restituisce gli eroi al contempo cresciuti, ma anagraficamente intatti, come invece avviene nei vari Tex, Zagor o Dylan Dog. E questo per via di una delle promesse dello stesso Manfredi: inserire i nostri eroi in un contesto storico, ben definito e tumultuoso, caratterizzato da eventi con una propria dinamica, che rientrano nella saga, influenzandola. Una struttura del genere, statica e dinamica al contempo, adeguatamente mutevole a seconda del bisogno, è un buon punto di partenza per una serie “infinita”, perché permette un ampio range di soluzioni di trama.
È un caso, quindi, di promesse consapevoli che si traducono in gabbie solo apparenti.
Il protagonista
Adam Wild si presenta nel primo numero: impulsivo fino ad apparire selvaggio, uno che ha scelto i propri ideali e li segue senza preoccuparsi delle conseguenze, affrontando i pericoli più soverchianti con il sorriso sulla faccia. Un uomo tutto d’un pezzo, che odia i compromessi, un vero guerriero, che in azione si dimostra efficientissimo e spietato.
Quello che colpisce, ne Gli schiavi di Zanzibar, è la sua glaciale risoluzione del confronto con i due schiavisti. I suoi gesti appaiono, nonostante le motivazioni condivisibili, al limite dell’umano. E come in tutti i momenti in cui un personaggio si rende protagonista di qualcosa di estremo, viene naturale chiedersi perché.
C’è un fardello passato che ha reso Adam così?
Manfredi mette in bocca a Narciso la domanda che il lettore stesso si pone: chi è davvero Adam Wild?
Ci aspetteremmo una pur parziale risposta, almeno nei volumi successivi, ma per ora nulla è trapelato, nessun altro dettaglio. L’identikit del protagonista è rimasto cristallizzato ai pochi tratti del primo numero, con il risultato che quello che poteva sembrare un elemento interessante, ovvero la sua bassissima inerzia decisionale, col passare dei volumi è andato lentamente e pericolosamente scivolando verso una caricatura.
Si può pensare che l’Africa di Adam premi chi sceglie rapidamente e sia implacabile per gli altri. È un caso, potremmo supporre, di necessario adattamento al contesto. Rimane tuttavia un certo disagio, durante la lettura, quando ci si ritrova davanti a un personaggio che pare al contempo estremamente positivo (perché genuinamente coinvolto nelle vicissitudini delle popolazioni con cui viene in contatto), ma ben calato in un ambito in cui la sua positività è la scelta meno adatta alla sopravvivenza. Adattamento al contesto, quindi, ma al contempo forte, orgoglioso distacco dalla legge della giungla.
Possibile che una tale miscela non abbia mai portato ferite, in Adam? Sembra che Manfredi, calibrando la serie per una durata lunga, voglia aspettare a giocare la carta del fardello psicologico. È una decisione legittima.
Il problema è che la mancanza di conflitti dichiarati rende troppo fluide le dinamiche del racconto: le decisioni appaiono sempre immediate e non meditate. Ne I diari segreti di Livingstone, per fare un esempio, lo scambio prima della battaglia vede Narciso chiedere “Sei pazzo? Sei contro cento?”, e Adam replicare con noncuranza “Spara a colpo sicuro e il conto si farà alla fine!”.
Le azioni sono fulminee, il ritmo delle sequenze dinamiche è sempre altissimo e la tendenza è esagerare le minacce, in un costante gioco al rialzo. L’effetto delle scelte è sempre positivo per il protagonista: Adam Wild non sbaglia mai, non viene mai sconfitto, i suoi pochi errori sono prontamente annullati da interventi altrui, necessari e sufficienti a rimettere in gioco l’eroe. Adam Wild, come apprendiamo fin dal numero d’esordio, è quello che inizia le battaglie e le finisce.
Il varco della soglia dell’avventura, per un personaggio così imbattibile, la partenza da Zanzibar a fine primo volume, non è figlio di un rischio “mortale”, come avviene normalmente nel “viaggio dell’eroe”, perché Adam non è affatto in pericolo, avendo sconfitto o ucciso i suoi antagonisti, e fa la sua libera scelta di staccarsi da un luogo dove aveva vissuto per un anno, in cerca di nuovi stimoli. E quindi, spogliandosi di ogni connotazione drammatica, diventa piuttosto un richiamo sorridente al lettore, un invito a partecipare al safari insieme alla migliore guida sulla piazza.
È difficile affezionarsi a un protagonista del genere, anzi viene il sospetto che l’obiettivo di Manfredi non fosse affatto di farci affezionare a lui. Ecco perché Adam non è solo, nel suo viaggio: c’è l’esigenza, fin dall’inizio, di accompagnarlo con una famiglia itinerante, un gruppo di pards dell’avventura che mostrino dei reali conflitti interni per compensare la sua assenza di problematiche. Ma il processo di compensazione riesce in pochi casi, perché i comprimari tendono a ridursi a comparse e meri testimoni delle gesta dell’esploratore, non riuscendo, se non in camei troppo rapidi, a deviare sufficientemente il flusso del racconto.
Esemplare, da questo punto di vista, il rapporto con Narciso, derubricato a mascotte e solo a tratti degnato di reale considerazione: riesce difficile cogliere la dinamica di formazione dell’amicizia fra il conte e Adam, e difatti i momenti in cui i due sembrano più uniti stonano, alla lunga, più dei ricorrenti battibecchi, perché non capiamo da quale esperienza comune possano essere generati.
Un bell’esempio opposto è il rapporto con Amina: è negli scambi con la principessa, che si risolvono in frequenti guerre fra gli status alti di entrambi, che vediamo una interessante breccia nella corazza di Adam. Notevole, in tal senso, l’intensità di una singola frase (“mai più stupidi bisticci. Giuro!”) pronunciata da Adam nel cratere di Ngorongoro in Fuori dal paradiso: poche parole in cui cogliamo efficacemente il dispiacere per l’ultimo battibecco con la sua donna e la dinamica conflittuale del legame che sta via via vincolando uno spirito libero come quello dello scozzese.
Verrebbe da consigliare, per il futuro di Adam, di insistere sulle crepe alla sua corazza e metterlo alla prova sul serio, costringendolo a scelte davvero scomode, ma è difficile pensare che possa scendere troppo dal suo status, in media tremendamente alto, senza snaturarsi e cambiare quindi caratterizzazione alla serie.
Si può quindi affermare che la costruzione del protagonista sia, per ora una gabbia che impedisce uno sviluppo pieno dei personaggi e delle loro relazioni.
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