Yoshihisa Tagami: Grey e Horobi, la natura della distruzione

Yoshihisa Tagami: Grey e Horobi, la natura della distruzione

Yoshihisa Tagami fu uno dei primi mangaka pubblicati con continuità in Italia, grazie alla pionieristica casa editrice Granata Press. Nella collana Manga Hero si alternarono ben due lavori di Tagami: il fantascientifico post-catastrofico Grey e il thriller-horror Horobi.

L’autore e l’opera

Yoshihisa Tagami fu uno dei primi mangaka pubblicati con continuità in Italia, grazie alla pionieristica casa editrice Granata Press. Nella collana Manga Hero si alternarono ben due lavori di Tagami: il fantascientifico post-catastrofico Grey e il thriller-horror Horobi. Essi mostrarono fin da subito l’estrema versatilità di questo autore, capace di adattare il tratto minimalista e caricaturale dei suoi personaggi ad atmosfere narrative diverse e molto elaborate.

I toni di queste due opere, molto pessimistici nei riguardi della natura distruttiva del genere umano, le avvicinano al pathos del Devilman di Go Nagai. Il semiotico Daniele Barbieri ha inoltre accostato Horobi al più famoso Akira di Katsuhiro Otomo. In effetti tra le due opere ci sono alcuni parallelismi interessanti, sia nei singoli elementi narrativi (personaggi con poteri ESP tanto forti da distruggere intere città) sia nell’amore che Tagami, al pari di Otomo, nutre per il disegno di palazzi ed elementi scenici, riprodotti in modo realistico e minuzioso e demoliti in modo altrettanto efficace all’interno dei catastrofici eventi dei suoi manga. Per quanto riguarda i personaggi, sono disegnati con un tratto volutamente sintetico, caricaturale, con poche differenze l’uno dall’altro a parte vestiti e capigliature.

L’abilità registica però è tale che, anche a discapito di certi primi piani azzardati, l’autore riesce a trasmettere la psicologia e le emozioni dei suoi eroi tramite una contrapposizione perfetta di dialoghi e primi piani, riuscendo a porre efficacemente al servizio della storia anche le limitazioni del suo stile. Nonostante il fascino di queste due opere (che hanno ispirato anche alcuni valenti professionisti del panorama italiano, come Massimo dall’Oglio) Tagami è stato parzialmente dimenticato nel corso dell’espansione del mercato dei manga in Italia. Per lungo tempo l’unica versione di Grey disponibile era basata sulla traduzione dell’edizione inglese, e soltanto di recente la Free Books lo ha ristampato con un adattamento più fedele all’originale, mentre Horobi, ancor più maturo e complesso, non ha ancora goduto di nessuna riedizione. Per quanto invece riguarda le opere più lunghe, per cui questo autore è maggiormente famoso in patria, esse sono considerate dagli addetti ai lavori italiani molto difficili da esportare nel nostro paese, come Nervous Breakdown, un manga a tematiche giallistiche con personaggi disegnati in stile super deformed, a discapito della serietà dei temi. Questo modo di giocare con lo stile grafico è molto presente nei lavori pubblicati solo in Giappone, anche se si è visto poco nelle opere presentate in Italia. Tagami tuttavia continua a pubblicare (è attivo dal 1978), a spaziare tra diversi ambiti narrativi (romanticismo, commedia, fantascienza…) e diverse tipologie di pubblico (passando indifferentemente dallo shonen al seinen, e perfino all’ambito josei, i cosiddetti ladies comics).

Grey

Fin dalle prime pagine quest’opera si presenta come la tipica storia di fantascienza anni Ottanta, alla Mad Max. Sullo sfondo di una società futuristica post-catastrofe, tra aridi deserti e rovine del passato, i vecchi ordinamenti sociali hanno lasciato il posto a una rigida demarcazione tra forti e deboli, in cui i primi dettano legge grazie alla supremazia bellica. La società di Grey è divisa in classi: da una parte i plebei, poco più che schiavi, addetti alla manutenzione e ai lavori pesanti, e dall’altra i combattenti, che vengono mandati a difendere lo status quo, contro i ribelli che vi si oppongono. Oltre a poter godere di una vita più agiata, immersa nel lusso, i combattenti ricevono in premio per il loro valore in battaglia la possibilità di avanzare a una classe superiore (dalla F alla A). Una volta raggiunto il massimo livello potranno andare a vivere nella City, una sorta di paradiso in terra che nessuno ha visto, ma che costituisce , in confronto alla squallida vita dei plebei, un sogno abbastanza prezioso da indurre a rischiare la vita in guerra. Al comando di questa struttura spersonalizzante sta Big Mama, un super-computer autocosciente. Considerato che l’introduzione all’edizione americana di Grey è firmata Harlan Ellison, il paragone scatta immediato tra la Big Mama di Grey e un altro super-computer subdolo e manipolativo nei confronti del genere umano, quello presente proprio in un famoso racconto di Ellison, “Non ho bocca e devo urlare”.

Grey è il tipico protagonista da manga per adolescenti, che parte da una condizione di estrema debolezza iniziale, schiacciato dai meccanismi sociali, e che poi, in un progressivo potenziamento delle sue facoltà, arriva a rovesciare o dominare lo status quo. Tagami sceglie di presentarci la sua psicologia in un racconto breve, una sorta di preludio, in cui lo vediamo emergere dal deserto, unico sopravvissuto della sua squadra. Tramite un efficace gioco di contrapposizioni tra le traversie del personaggio per uscire vivo dal deserto e i flashback del suo passato, ci vengono presentate le sue origini plebee, le vessazioni che lui e la sua ragazza (Lips) sono costretti a subire a opera dei combattenti, ma soprattutto la rassegnazione con cui il protagonista accetta il tutto, più interessato a mantenersi in vita che a farsi giustizia. Sarà invece la sua ragazza a tentare la strada di combattente, poiché ambire a diventare cittadina è l’unica forma di riscatto e speranza che le è consentita.

Quando viene uccisa in battaglia si genera una frattura nella filosofia di Grey: se fino a quel momento soffrire e vivere in schiavitù era comunque una forma di risposta, la morte dell’amata in nome di un sogno lasciato irrealizzato genera nuove domande.

La successiva decisione di arruolarsi al posto di Lips è sia un tentativo di farsi carico del suo sogno, sia l’estrema necessità di creare ordine e senso nel mondo che lo circonda. Grey fa sue le speranze di Lips, fino al punto di trasfigurarsi con essa, scegliendo di indossare perennemente il casco che le apparteneva, con sopra inciso, ancora intatto, il suo nome. Grey, in lotta per la vita, è costretto a sparare a una nemica che gli ricorda l’età e la taglia della donna amata. Ma mentre preme il grilletto per ucciderla è in realtà è il ricordo dell’amata che colpisce, nella fase finale dell’elaborazione del suo lutto. Il protagonista dice così addio a ogni pretesa di affetto e umanità, fedele soltanto all’esigenza di sopravvivere sopra tutto e tutti, per poter finalmente giungere alla City, ossia alla risposta finale sul senso della propria vita.

La stessa parola usata per la suddivisione della storia in capitoletti, ossia Approach, rimanda quasi a un percorso, un avvicinamento progressivo alla verità. Con queste premesse, il classico schema narrativo – crescita e percorso di battaglie fino al nemico finale – assume contorni drammatici, psicologici e ben presto anche filosofici. Nelle successive fasi della storia Grey diverrà un combattente temuto e affermato, pur continuando sostanzialmente ad agire vigliaccamente, schivando i pericoli diretti, disobbedendo agli ordini, lasciando cinicamente indietro qualunque cosa lo rallenti (compagni compresi). Questo fa sì che spesso torni come unico sopravvissuto delle squadre con cui viene mandato in missione, accumulando la funerea fama di Shinigami (gli spiriti mietitori di anime della mitologia nipponica) e schivando ogni simpatia del lettore o dei comprimari. L’incontro con la passionale e insofferente Nova lo conduce ad una fase di apertura e leggerezza più ottimistica nei confronti dei rapporti interpersonali, ma nel momento in cui entrambi si allontanano dallo scenario ristretto in cui finora sono vissuti la vicenda inizia ad assumere contorni ambigui e meno schematici. L’amicizia con Lee, un membro della Resistenza, fa capire ai due il punto di vista dell’altra parte della barricata, e l’insensatezza di un sistema in cui è proprio la presenza del regime di Big Mama, malgrado le ricompense promesse, a imprigionarli in un destino di violenza e morte, in cui ogni aspetto della guerra, dalla sopravvivenza dei soldati agli armamenti in dotazione alle due fazioni, sembra essere deciso a priori, quasi come se fosse un gioco, una sorta di folle esperimento sociologico.

L’allegoria sociale, propria delle migliori storie di fantascienza, è evidente: due professionisti affermati all’interno di un meccanismo fortemente competitivo (come la società occidentale) iniziano a rimettere in discussione i fondamenti del sistema. Ma il cinismo di Grey (e di Tagami) impedisce di identificare la Resistenza con un ennesimo miraggio del Paradiso ideale: dall’altro lato della barricata c’è la stessa freddezza e gli stessi meccanismi spersonalizzanti. Anche la Rivoluzione utilizza gli uomini in funzione dei propri ideali, sacrificandone le vite senza remore o tramutandoli in automi per gestirli meglio. La fase narrativa del potenziamento dell’eroe assume quindi il significato di avvicinamento, approach appunto, a una spersonalizzazione ancora più eccessiva. In un necessario tributo, per rovesciare un sistema creato dalle macchine, Grey deve egli stesso diventare una macchina. La storia è sempre più frenetica, le emozioni mostrate diventano talmente scarne che non c’è neppure il tempo di commuoversi per la morte dei nuovi compagni di viaggio.

L’umanità dei personaggi ci viene ricordata soltanto dall’umorismo greve, da caserma, che accompagna scontri aerei all’ultimo laser, sempre più spettacolari, come l’iconografia del cinema fantascientifico di quegli anni imponeva. Tutti questi elementi vengono dipanati tramite dialoghi brevi ma schietti e incisivi, in cui i personaggi vanno dritti al punto, intervallati da frenetiche scene d’azione. L’introspezione dei personaggi, la loro ricerca di calore o affetto, il triangolo amoroso Lee-Grey-Nova vengono lasciati all’interpretazione del lettore, che li desume da scambi di battute e allusioni, grazie alla precisione e alla maestria nelle caratterizzazioni. Il tentativo di caratterizzare contamina anche ambienti e veicoli fantascientifici: ben presto agli asettici scenari futuristici e ai mezzi militari presi dalle foto delle riviste di armi Tagami inizia a contrapporre elementi tratti dalla tradizione giapponese o dall’archeologia, come templi o armature simil-samurai, o addirittura astronavi a forma di Moai dell’Isola di Pasqua. Andando avanti con la storia la critica sociale si fa sempre più aspra: nel mare ormai grigio e inquinato il vago ricordo dell’azzurro degli oceani passati è un vero e proprio mito sfocato, quasi una barzelletta che i cinici soldati, cresciuti solo in mezzo all’orrore, si ripetono con una risata e una scrollata di spalle.

La stessa società in cui Grey si è ritrovato a vivere non è altro che la sintesi distopica dei timori tipici degli anni Ottanta, tra paura di conflitti atomici e tensioni da Guerra Fredda: se l’uomo non è capace di imparare nulla dalle guerre passate, allora anela soltanto all’estinzione. Una conclusione volutamente estrema, asettica, fredda come la paura che la spirale ciclica delle miserie della storia umana generano nello sguardo dell’artista, costringendolo a rielaborare visioni disumanizzanti e tecnofobiche come monito estremo alla perdita dell’umanità. Concetti come Dio e Paradiso diventano sistemi di gestione ipocrita e informatizzata dell’esistenza umana, una sorta di sterminio lento e programmato di esseri umani in nome di illusorie ricompense future. Grey, posto di fronte alla terribile risposta finale ai suoi dubbi, obietta che “La vita è necessaria”. Gli viene risposto, in modo ancor più brutale, che lo schema in cui vive è l’unico modo per preservarla, lasciando che l’uomo possa vivere, sperare, combattere, prolungando il più possibile il momento in cui scoprirà che la vera ragione dell’esistenza umana è l’autodistruzione.

Tagami sceglie di terminare la sua storia con un finale circolare, che rimanda all’idea dell’eroe che cerca di sopravvivere, a discapito di qualsiasi ordinamento claustrofobico e razionalizzato, e di qualsiasi illusione. La claudicante ma viscerale vitalità di Grey è l’unica lezione che questo personaggio può imparare e trasmettere. Quest’analisi non deve comunque trarre in inganno: nonostante i numerosi livelli di lettura che Tagami inserisce, all’interno di uno schema volutamente archetipizzato e allegorico, Grey si svolge come una storia avventurosa per ragazzi, un susseguirsi di scontri e battaglie frenetiche che prendono in prestito tutto l’immaginario del cinema e del fumetto d’intrattenimento del periodo, tra robot e raggi laser. Ma il ripetersi preciso di questi canoni si rivela un semplice pretesto per condurre i dubbi e le angosce di un adolescente a un livello di comprensione più amara e realistica delle contraddizioni del mondo che lo circonda. E questo rende Grey un’opera di fantascienza di alto livello, seppur orgogliosamente radicata nella necessità di spettacolarizzazione e battaglie ciclopiche tipica del fumetto giapponese per ragazzi.

Horobi

Lasciatosi alle spalle la fantascienza, Tagami cambia prospettiva e torna nel presente, mettendo in scena le vicende di due assistenti universitari, Zen e Shuichi, che dal quotidiano virano subito verso il thriller e l’horror. I due ragazzi e i loro amici verranno infatti trascinati in un complotto secolare, organizzato da due sette segrete antagoniste, volto ad accelerare la fine del mondo e porre il leader di uno degli schieramenti a capo del nuovo ordine mondiale.

In Horobi il taglio della narrazione è più maturo. I personaggi principali sono ambigui quanto Grey, ma più mediocri o imperfetti, calati in un contesto contemporaneo verosimile, in cui sono gli eventi e gli schemi decisi da autorità superiori a condizionare le loro azioni. Il sesso e la violenza sono ancor più esplicitati, le fasi thriller e angoscianti di investigazione e riflessione della storia si alternano a momenti decisamente gore/splatter. I riferimenti all’attualità politica e sociale giapponese e alle istanze ecologiche dei personaggi strizzano l’occhio a un pubblico adulto e più consapevole.

La narrazione è ancor più sofisticata, con un ritmo sincopato, in cui gli Approaches di Grey vengono sostituiti da una divisione progressiva in micro-unità narrative, ognuna con un titolo diverso.

Il primo arco narrativo di capitoletti in cui è diviso il manga si chiama Presagio, richiamando l’idea di un disvelamento progressivo dell’orrore.

Dopo un’angosciante introduzione, che mostra una coppia in auto, inseguita da strane voci, mentre si getta da un precipizio, facciamo la conoscenza dei protagonisti, mirabilmente tratteggiati da Tagami, e dell’incipit della vicenda, ovvero l’ingresso di mostruose creature da incubo nella realtà di tutti i giorni. Il legame tra queste creature e i sogni del protagonista genera un perfetto meccanismo horror-visionario, in cui i mostri sono costituiti dall’estremizzazione paranoica di particolari anatomici umani (con l’evidente sessuofobia verso quelli femminili) e di animali o insetti, che ci condurranno a un’ulteriore presagio nella vicenda, ossia l’immagine di una natura in rivolta a causa degli abusi dell’uomo. I tre ragazzi protagonisti rappresentano i giovani adulti giapponesi contemporanei, infognati in lavori di routine, nonostante passione e grandi capacità li spingano a lavorare perfino di Domenica, mentre gli adulti giocano a golf. Tanto passionali e idealisti sono questi ragazzi (e il loro lavoro come ricercatori di biologia permette a Tagami di riflettere amaramente sul peggioramento delle condizioni ambientali della flora e della fauna nipponica) tanto più cinici e subdoli sono i loro superiori anziani. I dialoghi, giocati sull’umorismo e sulla contrapposizione tra detto e pensato, sono molto più raffinati rispetto a Grey, e delineano con efficacia il protagonista sfigato e introverso, inevitabilmente simpatico, alle prese con l’amico-rivale e la bella da contendere. A prescindere dai ruoli, che sono tutt’altro che secondari nello sviluppo della storia, l’autore ben presto mostrerà diverse sfaccettature e altrettanti comprimari, perfettamente delineati, che metteranno in luce pregi e difetti del trio. Il groviglio di rapporti interpersonali in questa storia, volutamente corale, offre lo spunto per riflettere sul diverso modo di porsi con gli altri esseri umani e con l’ambiente, sulla necessità di omologazione contrapposta al senso di inferiorità, sull’accettazione della realtà in conflitto con il rinchiudersi nel proprio guscio. Ma è l’umanità intera, attraverso i dialoghi e gli eventi di Horobi, ad essere messa sotto accusa in modo ancor più netto di Grey. Attraverso i meccanismi di segregazione razziale ed emarginazione essa produce i suoi mostri e i suoi fantasmi, mentre in contemporanea si dà da fare per espandersi distruggendo l’ambiente naturale.

Al primo segmento narrativo che funge da presagio faranno seguito i capitoli denominati Ecocidio, Genocidio, Catastrofe e infine Catarsi, in una perfetta scansione dell’orologio narrativo.

Infatti l’artefatto magico che darà il via alla trama principale, ossia il Sacro Specchio Animale, è basato su riferimenti grafici al calendario Maya, e viene chiamato anche Ragnarok, richiamando sia nell’iconografia che nei concetti un sincretismo mitologico che attinge dalla mitologia apocalittica di culture diverse. Ma il terrore non viene solo dal passato: i mostri che distruggono le città sembrano essere l’espressione di un’umanità ancora più temibile, capace di tirare fuori il peggio di se stessa, in puro stile nagaiano, ogni volta che viene posta di fronte al terrore.

Le due sette segrete (riferimento a quelle vere, protagoniste di tragici attentati terroristici nel Giappone reale?) evocano l’immagine di un folklore nipponico usato per rimuovere un passato tragico e ingiusto, in cui i mostri, gli Oni, sono sempre stati legati a modelli di segregazione razziale. Nelle montagne degli dei più temuti erano costretti a soggiornare i reietti e gli abbandonati, soprattutto donne e bambini. In una sorta di spiegazione razionale degli antichi miti nipponici, che mescola i nomi celebri del teatro dei burattini, le leggende sui sanka (nomadi delle montagne), figure storiche controverse come la regina Himika e gli eventi storico-mitologici narrati nel Kojiki, Tagami immagina la Yamako, setta sciamanica di sole donne che trama per il potere, contrapposta alla Satori dall’assetto smaccatamente patriarcale, custode dello status quo. L’aspetto minaccioso del sesso femminile, visto come un mezzo per aumentare il proprio potere ESP a discapito dell’uomo, ci porta nella fase più concitata della storia, “genocidio”, in cui le sicarie Yamako affronteranno Zen e Shuichi, alla scoperta dei loro poteri e delle loro contraddizioni: la seduzione del potere, la natura del desiderio, la negatività dell’invidia.

La scansione sempre più incalzante degli eventi porterà a una Catarsi vista come evento immutabile, programmato da secoli, da cui Zen e Shuichi, costretti a diventare “il mostro e il cavaliere che dovrà sconfiggerlo”, sono al tempo stesso coloro che decideranno le sorti del mondo e le vittime sacrificali che lo stesso mondo manda in scena. Non c’è quindi nulla di diverso tra i ruoli sociali decisi dalle divisioni politiche ed economiche della società e le figure di eroi o mostri che essa decide di creare. In questo contesto l’autore non si risparmia giudizi pesanti sull’ambiente in cui vive.

Il Giappone viene descritto e analizzato come “il peggior posto in cui vivere”, cosparso di errori ambientali e sociali di cui può biasimare solo se stesso. Perfino le definizioni di bontà e cattiveria non valgono più, perché chiunque dentro di sé coverà sempre paura e odio represso, un’onda inarrestabile che dovrà essere scaricata in qualche modo.

Nemmeno i sovrani giusti e gli eroi possono sperare di spezzare in modo definitivo la natura ciclica della distruzione a cui segue la purificazione, poiché nelle conclusioni a cui giunge Tagami qualsiasi forma di governo o controllo, per quanto animata possa essere da buone intenzioni, produrrà sempre la repressione e la voglia di rivolta in chi ci si sottopone.

Horobi non è altro che il rigurgito della repressione sociale, contraltare inevitabile del bisogno di ordine.

Alla fine la visione altamente pessimista di Tagami può soltanto cercare via di fuga nel ricordo fugace della gentilezza, del bisogno di amore che ci accomuna tutti, che però può solo concretizzarsi come sacrificio. Il monito finale delle opere di Tagami diviene quindi la necessità di celare all’umanità la propria vocazione auto-distruttiva, nella speranza che impari a convivere pacificamente con l’ambiente che lo circonda.

Abbiamo parlato di:

Grey (serie in 3 volumi)
Yoshihisa Tagami
Free Books, 2006
2080 pagine, bianco & nero, brossurati – 5,90€ cadauno
ISBN: 8889206748; 8889206756; 8889206764

Horobi (serie in 15 albi)
Yoshihisa Tagami

Granata Press, 1992 (esaurito)
70 pagine, brossurati, bianco & nero

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