Otto Gabos così presenta Il Viaggiatore Distante nella sua prefazione al primo volume: “È stato un lavoro di continua riscrittura sia per quanto riguarda i testi che i disegni. Il ripensamento come espressione creativa […] La stesura è andata avanti a intermittenza” [GAB]. Siamo quindi di fronte a un work in progress non solo nel senso stretto di “lavoro in corso di svolgimento”, espressione valida per qualsiasi opera a puntate o episodi, ma anche dal punto di vista del contenuto: fatta salva l’impostazione diaristica (ma non strettamente autobiografica), l’autore si propone di scoprire di volta in volta l’argomento delle proprie riflessioni, da esporre sulla tavola.
Il tempo del racconto non è certo il tempo editoriale e questo secondo volume, uscito a tre anni dal primo (sulla cui copertina il protagonista appariva curiosamente anziano), inizia là dove quello si era concluso: Romeo e la compagna Diana, trasferitisi negli Stati Uniti, attendono la nascita del figlio Morgan: si sono stabiliti a White Plains, nei pressi di New York, nella casa di donna Acheropita Marino, nonna di Diana. Romeo vive problematicamente quell’attesa: il nascituro popola i suoi sogni, che si trasformano in incubi e rivelano il suo terrore di essere fagocitato nel ruolo di padre, perdendo tutte le altre dimensioni della propria vita. Nel sogno, la soluzione palliativa è indossare una maschera di placida serenità, per nascondere agli altri e sé stesso la rinuncia alla propria individualità. La paternità spaventa il protagonista, allo stesso modo in cui lo atterrisce guidare l’auto: è la responsabilità della guida e della cura (di un altro essere umano totalmente dipendente da lui, come di un manufatto meccanico) che lo mette in crisi. Guidare significa affrontare il mondo esterno, avere un’idea di regole (del codice stradale, di puericoltura) e di topologia (la disposizione dei luoghi e dei percorsi che li collegano; la psicologia infantile e le modalità di crescita) e, ancora più delicato, capire e decidere degli obiettivi (quale destinazione, quali princìpi e valori trasmettere). Guidare significa spostarsi nello spazio, crescere un figlio significa porsi il problema del futuro, cioé spostarsi, metaforicamente, nel tempo. E proprio questo è il problema per Romeo, che vive solo il proprio presente, come se la sua vita si esaurisse in un punto dello spazio tempo.
Il primo mutamento avviene nella ricerca del passato: il punto vita si sposta a ritroso, attratto dal mistero rappresentato da alcuni fatti avvenuti decenni prima nel quartiere, con due testimoni ancora viventi e possibili tracce nello scantinato della casa di Diana. Questo moto indietro nel tempo è il primo passo che getta la fondazione di un presente più solido per Romeo, nel senso che conoscere il passato del luogo in cui vive gli consente di partecipare attivamente al presente di quel luogo stesso e di non esserne semplice turista (prima possibile accezione di “viaggiatore distante”: persona che visita luoghi mantenendo distacco nei loro confronti).
Con moto simmetrico, le circostanze costringono Romeo ad affrontare e vincere la sua fobia della guida: spinto da Diana riesce a mettere in moto l’ingombrante e supermolleggiata Cadillac e, con la massima prudenza e l’accorta sorveglianza della compagna, a condurla attraverso le strade imbiancate da una insistente nevicata. Insieme a Diana, grazie alla di lei guida e cura, Romeo è riuscito cioé a muovere il proprio punto vita attraverso lo spazio, auspicabile prodromo di un’analoga proiezione, timorosa ma irreversibile, verso il futuro di padre.Valide anche per questo secondo volume le notazioni di Michele Quitadamo sull’opera in generale e sull’approccio stilistico di Gabos in particolare [QUI]. Merita sottolineare l’eleganza della costruzione della vicenda, con i descritti movimenti del personaggio nel suo spazio di definizione: come da un bozzolo, il protagonista esce per trovare un nuovo se stesso in grado di vivere (e non solo subire) la nuova vita che lo attende e di affrontare e superare le fobie, fra loro collegate, che lo bloccavano ad uno stadio sostanzialmente infantile/adolescenziale, la cui cifra significativa è l’autoreferenzialità. Come Morgan (l’altro “viaggiatore distante”: essere in viaggio dal mondo dei sogni a quello degli uomini) da feto diventa bambino, allo stesso modo Romeo da adolescente diventa padre.separatorearticolo
In questo secondo volume, Romeo investiga sulla morte di Sal Bagatta, un architetto che quaranta anni prima aveva progettato una possibile urbanistica di Coney Island, rifiutata dall’amministrazione e poi dimenticata. Approfondisce dunque la conoscenza di Michael O’Rourke, socio dello scomparso, e di Bernadette, antica collaboratrice e amante di Bagatta (“Non ha più senso nascondere o negare… Sono passati cinquant’anni“), che per lui elaborava i disegni dei progetti. Attraverso questa indagine, Romeo esce dalla sua posizione fetale e inizia a scoprire il mondo attorno a sé; quelle che prima erano passeggiate oziose, in compagnia di pensieri casuali che scaturivano e tornavano a lui, diventano ricerche con un obiettivo: dalla riflessione autoreferenziale, Gabos ci trasporta morbidamente nel giallo.
I due generi sono quanto di più distante: nella riflessione seguiamo i pensieri del protagonista, esploriamo i suoi ricordi e, in qualche modo, restiamo sempre entro i confini del suo mondo privato. La vicenda personale di Romeo si svolge entro un’orbita chiusa o addirittura spiraleggiante verso il protagonista, motore immobile della storia; nel giallo, al di là del montaggio o della complessità dell’intreccio, ci muoviamo invece lungo un percorso lineare, cioé la ricerca della soluzione di un problema, che lo pone quasi al limite fra narrativa e saggistica. Fra i generi, il giallo è probabilmente quello che più degli altri si basa sulla solidità della trama, per cui bene si attaglia l’immagine del meccanismo a orologeria [1] e, soprattutto, è quello che più esplicitamene offre un percorso di lettura attraverso la vicenda e le relazioni fra personaggi, che costituisce un primo livello di lettura chiaro e definito sempre disponibile, che orienta e cattura il lettore e lo spinge a girare le pagine, nel desiderio di scoprire la soluzione dell’enigma. Potremmo dire che il giallo, nella sue manifestazioni più pure (il “wodunit”, ovvero: “chi è stato”), è puro tragitto da un inizio ad una fine: trama che avvince e niente altro. Laddove il girare intorno ai pensieri del protagonista rischia di essere poco interessante per il lettore (che si trova di fronte ad un personaggio che riflette su sé stesso e la propria visione del mondo), la trama gialla propone una sorta di percorso tematico, una cadenza data dai colpi di scena (la scoperta di un indizio, di un nuovo personaggio); fra le due esperienze si ha la stessa differenza esistente fra il gironzolare a caso in un museo, o seguirvi un percorso [2].
Ecco probabilmente perché Gabos innesta il mistery nella sua storia così intima: da una parte è il modo narrativamente più naturale per mettere in scena l’uscita del personaggio dal proprio mondo; dall’altro è quello che definisce il più saldo legame fra vicenda e lettore, al quale offre una pista da seguire insieme al protagonista, il cui mondo interiore viene ora esposto attraverso l’interazione con quello esteriore, svelato dalle sue indagini.
Note
[1] L’unico altro genere così legato all’efficienza del meccanismo narrativo, inteso come precisa cadenza degli eventi è certamente il comico, dove il meccanismo vale anche all’interno delle singole scene.
[2] Sia inteso senza giudizio di valore: a volte è proprio bello vagare nelle sale di un museo, per esplorarlo e conoscerlo. Di fatto, una volta conosciuto, si stabiliscono punti di riferimento dove si finisce per tornare spesso. L’analogia non vuole andare in profondità.
Riferimenti
Il blog di Otto Gagos: radioherzberg.blogspot.com
[GAB] Otto Gabos, Il Viaggiatore Distante #1 – L’Inverno Atlantico, Black Velvet (2005).
[QUI] La recensione de “Il Viaggiatore Distante #1 – L’Inverno Atlantico” di Michele Quitadamo: www.lospaziobianco.it/?p=1205<