Post-Lucca: Ausonia su Beauty Industries e altro ancora…

Post-Lucca: Ausonia su Beauty Industries e altro ancora…

In uscita per Leopoldo Bloom Editore, il nuovo lavoro di Ausonia dopo Pinocchio e P-HPC. E' l'occasione per incontrare nuovamente un autore che, in poco meno di un anno, ha saputo attirare attenzione e consensi per il suo linguaggio personale, poetico e ficcante.

Beauty Industries, copertinaCiao Ausonia, bentornato su LoSpazioBianco.it. Parlaci di Beauty Industries: innanzitutto, l’idea per la storia da cosa nasce?
Grazie, è un piacere. È difficile, per il semplice fatto che di una storia muta meno se ne parla meglio è. Intendo dire che è facile spoilerare e togliere il gusto al lettore. Posso dire che è una storia paradossale su chi produce e chi consuma, su come guadagniamo e spendiamo i nostri soldi… Una sorta di favola surreale.Beauty Industries nasce come tutte le cose che faccio: mi trovo a pensare a delle idee, che entrano nella mia testolina, e per settimane le ospito senza sapere bene cosa siano di preciso. Man mano che passa il tempo, prendono corpo. Non faccio schizzi, non prendo appunti, lascio solo che quell’embrione si evolva nella mia testa e basta. Quando è ben formato si rompono le acque ed è l’ora di tirarlo fuori e salutarlo, di guardarlo in faccia e capire bene chi sia. Quando lo prendi in braccio capisci che dovrai farlo crescere sano e dargli un’educazione, e quella è la fase delle correzioni, delle bozze e delle cancellature. Scrivo molto, disegno, mi vado a cercare una colonna sonora adatta alla sua personalità. La notte mi sveglio e controllo se stia bene. Mi prendo cura di lui, lo vedo crescere, assorbe ogni mia giornata. Vado avanti in questa crescita accelerata fino a quando a diciotto anni non se ne va di casa, e quello è il momento della stampa e della distribuzione, in cui una cosa che credevo mi appartenesse prende il suo cammino esegue il suo percorso naturale, lontana da me. È un.

Il tema del lavoro industriale ritorna dopo P-HPC, quali sono le sfumature e gli aspetti che intendi sottolineare in questa opera?
Come ho detto è una storia surreale. Apparentemente molto dolce e poetica, ma in sostanza parla di come spendiamo i soldi guadagnati con il nostro lavoro. E, in genere, li spendiamo ricomprando le cose che abbiamo prodotto. E qui sta il paradosso. E qui sta la disfunzione di un sistema in crisi… Come ci fa notare il buon Jeremy Rifkin (Economista, attivista e scrittore statunitense – ndr).

B.I. è un fumetto senza parole, con uno stile che richiama moltissimo i film muti dei primi anni del cinema. Perché questa scelta?
Volevo una storia senza parole. La volevo silenziosa. Non ho usato neanche le onomatopee. Volevo fare un libro sordomuto. Poi le atmosfere da rivoluzione industriale lo hanno fatto somigliare a un film di inizio secolo. Devo dire che mi piace molto l’atmosfera che si respira fra quelle pagine, lontanissima, appunto, dal cinema hollywoodiano di adesso e dai super montaggi veloci. È una storia lenta, che va guardata senza fretta.

Sei un fan del cinema d’epoca?
Adoro i registi russi. credo che “Forma e tecnica del film e lezioni di regia” di Sergej Mkhajlovič Ezen

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