L’ospite equivoco arriva in una notte fredda, si annuncia con un banale suono del campanello e, senza nulla chiedere, si installa nella casa. Condivide spazi e momenti di vita della famiglia: i pranzi, la libreria, il grammofono. Vaga di notte. Sparisce, per riapparire in posti impensati. Non pronuncia parola, né suono; niente di ciò che fa sembra avere un senso. L’ospite equivoco è un alieno, un essere di un’altra dimensione, capitato per caso (per caso, o per nemesi?) in mezzo ad una famiglia umana. Non è ostile, non è malvagio; é irriducibilmente altro da noi. È arrivato in una notte aspra, e nulla fa supporre che se ne andrà mai via. Storia inquietante e che si presta ad ogni sorta di interpretazione metaforica del misterioso essere infestante, magistralmente messa in scena da Gorey. A circa un anno di distanza dallo sfizioso Gattegoria, Adelphi distribuisce un secondo volumetto dell’autore statunitense, da noi assai poco conosciuto. Il prezzo non è di quelli che possano invogliare all’acquisto, ma la piccola dimensione (14 tavole in bianco e nero, dal gusto inizio XX sec.) vi consente di sfogliarvelo in libreria, prima di decidere l’investimento. Unico difetto: avremmo gradito, accanto alla traduzione dei versetti, che fanno da didascalia alle figure, il testo originale (Simone Rastelli).

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