Joseph Vig: Un franco-italiano, tra Bonelli e BD

Joseph Vig: Un franco-italiano, tra Bonelli e BD

Brendon, creato da Claudio Chiaverotti, e' probabilmente la serie della Sergio Bonelli Editore che puo' vantare il miglior parco disegnatori tra i tanti personaggi pubblicati mese dopo mese dall'editore milanese. Joseph Vig e' una delle matite che ha contribuito a confermare questa condizione: un tratto morbido, potente, dettagliato e spettacolare....

Joseph Vig: Un franco-italiano, tra Bonelli e BDJoseph Vig – alias Giuseppe Viglioglia – dopo gli inizi su Cyborg è approdato in Bonelli disegnando un personaggio classico come Mister No e uno degli ultimi arrivi come Brendon. Per Vittorio Pavesio sono usciti i primi due volumi di Mayapan, serie fantascientifica ucronica, dove il suo stile grafico si esalta nel creare un’immaginario futuro evolutosi dalla civiltà Maya.

GLI INIZI

Per iniziare, perché Joseph Vig? Perché la scelta di un nome d’arte francofono piuttosto di Giuseppe Viglioglia? Come nasce questo nome d’arte?
Molto semplice. Sono nato a Lione, in Francia, e sul mio certificato di nascita compaio come Joseph. Mesi dopo i miei genitori fecero ritorno in Italia, e sulla mia carta di identità misero invece Giuseppe. Vig è ,come ovvio, l’abbreviazione di Viglioglia. Joseph Vig suona bene ed è facile da pronunciare!

Quali sono i primi fumetti che ricordi di aver letto?
Il primo che ricordo è un Devil della Corno. ero davvero giovane… Poi, “Sulla stella” di Moebius, “La donna trappola” di Bilal, “Gargantua e Pantagruel” di Battaglia

Come hai deciso di diventare fumettista?
All’età di 4 anni mia madre mi regalo’ un album da disegno e dei pastelli… Fu amore a prima vista, da allora non ho più smesso! Poco dopo, quando avevo circa 6/7 anni, scoprii che esisteva una scuola chiamata Liceo Artistico; in quel momento decisi che quella era la scuola che avrei frequentato. Anni dopo frequentavo la scuola del fumetto, a Milano, dove conobbi Laura Scarpa e Giuseppe Palumbo.

Quali sono stati i tuoi inizi? Che difficoltà hai riscontrato nell’entrare nel mercato del fumetto?
Beh, suonerebbe molto romantico dire che fu tutto molto tortuoso e snervante, una strada piena di porte sbattute in faccia e di “no!” urlati , ma no fu così…Tutto ebbe inizio quando a metà del primo anno della scuola a Milano, correva l’anno 1991, scoprii che un certo Daniele Brolli cercava nuovi talenti con cui collaborare per la rivista “Cyborg“, allora edita da Star Comics; mi feci avanti, contattando direttamente Giuseppe” Ramarro ” Palumbo. Pubblicai una illustrazione su “Cyborg” e altre su “Frigidaire“… l’anno successivo, pubblicai su una rivista per ragazzi chiamata “Moby Dick“, che trattava il tema dell’ambiente in modo avventuroso-didattico, mentre intanto mi diplomavo a scuola. Mesi dopo venni contattato dallo stesso Brolli, per disegnare una storia su testi di Michele Masiero. Poi, nel 1994, mentre facevo l’obbiettore di coscienza feci le prove per “Nathan Never“,”Martin Mystere” e “Mister No“, per il quale mi presero…

BONELLI, BRENDON, MISTER NO

Nel leggere la tua biografia ci si accorge di trovarsi di fronte ad una contraddizione. Ovvero in un periodo in cui tanti italiani vanno verso la Francia per pubblicare, tu sei un francese (anche italo-francese, per la precisione) che approda in Italia. Come sei approdato alla Bonelli? Perché hai percorso prima questa strada e solo in seguito quella del mercato francese?
Nessuna contraddizione. sono italiano a tutti gli effetti, anche se mi sento a casa quando sono in Francia, in fondo la prima lingua che ho udito è stata proprio quella francese… Per quanto riguarda la Bonelli, mi è sembrato del tutto naturale provarci, dato che è la casa d’edizione principe in Italia, e il disegno in stile Disney, per quanto mi affascini, non è nelle mie corde. Al mercato francese, poi, desideravo arrivarci quando mi sarei sentito pronto per farlo.

Hai disegnato due serie lontanissime tra loro come toni e come ambientazione: l’avventura amazzonica di Mister No e il futuro post-catastrofico di Brendon. Quale senti più nelle tue corde?
Forse la seconda, dato che ho una spiccata propensione ad inventare mondi…

Come cambia il tuo modo di rapportarti al disegno e alla costruzione delle tavole a seconda del personaggio? Ci sono imposizioni editoriali sul cosa puoi fare o meno in una serie rispetto a un’altra?
Il mio modo di rapportarmi ad un personaggio piuttosto che ad un altro non cambia. Le imposizioni editoriali vertono sostanzialmente sul restare fedeli all’idea originaria della serie, mantenendo, ovvero, intatte la fisionomia del protagonista, gli scenari in cui si muove, così come l’atmosfera che attraversa la serie stessa.

La serie regolare di Mister No ha chiuso. Cosa ricordi della tua esperienza con questa icona del fumetto popolare italiano?
Ho un bellissimo ricordo di quella esperienza. “Mister No” è stato da sempre uno straordinario esempio di antieroe scanzonato, amicone, coraggioso e autoironico, insomma qualcuno che chiunque nella propria vita vorrebbe come amico e la cosa divertente e tenera è che lo ricordo proprio così, come un amico.

Mister No è stato un personaggio atipico e precursore del concetto di “antieroe”, un personaggio con molte potenzialità. Quali giudichi siano i motivi dietro a questa chiusura?
La volubilità del pubblico, l’impossibilità di riuscire a raccontare ancora cose nuove di un personaggio che davvero ha fatto la storia del fumetto italiano… non saprei… Forse le sue potenzialità espressive si erano esaurite, o forse, semplicemente, il pubblico cercava altro.

In una intervista a Chiaverotti su Scuola di Fumetto sono state presentate alcune pagine delle sue sceneggiature, che appaiono molto sintetiche, lasciando molto spazio all’interpretazione del disegnatore. Come ti trovi con questo metodo di lavoro? Preferisci la libertà interpretativa o indicazioni più precise sulle inquadrature e la composizione della tavola?
Questo è il metodo di lavoro che prediligo. E il parco disegnatori di “Brendon” è tra i migliori della Sergio Bonelli Editore, e non lo dico io ma i lettori…Probabilmente la riuscita della serie dipende anche dal fatto che i suoi disegnatori hanno una certa libertà interpretativa, che li spinge a mettersi più in gioco, sentendo così maggiormente le storie che vengono loro affidate. Del resto, anche quando lavoravo su “Mister No“, avevo molta libertà d’azione.

Su quale altro personaggio ti piacerebbe lavorare (sia Bonelli sia del fumetto mondiale)?
In Bonelli, direi “Tex“, ma non sono sicuro che ne sarei all’altezza…In ambito estero, adoro “Bat-Man” e “Wolverine“… E “Blueberry“, naturalmente.

FRANCIA E PAVESIO

MayapanCome è nata la collaborazione con Flavio Troisi e con la Pavesio Production?
Nel 2000 mi presentai a Vittorio Pavesio, proponendogli una collaborazione. All’epoca, oltre a lavorare per “Mister No”, stavo realizzando “I tarocchi di Avalon” per Pietro Alligo dello “Scarabeo“, Vittorio li vide e gli piacquero molto. Fu proprio Vittorio a presentarmi a Flavio, il quale allora era impegnato nella conduzione della rivista “Strane Storie“…

Come lavorate assieme tu e Troisi? Quanto c’é dell’uno e dell’altro nella vostra serie?
Ci fu sintonia da subito, stessi amori letterari, cinematografici, fumettistici… Lavorare con Flavio è molto facile, è sempre aperto a nuove idee, a cambiare rotta ogni volta che se ne senta il bisogno, ponendosi, come il sottoscritto, sempre al servizio della storia… È difficile dire quanto ci sia dell’uno o dell’altro nella serie “Mayapan“, direi un buon 50% a testa, dato che l’abbiamo partorita insieme, costruendola pezzo per pezzo… smontando e rimontando questo giocattolone, con assoluto divertimento, senza preoccuparci troppo di quanto sarebbe stato tosto e violento e sperimentale…

Mayapan presenta una fantascienza atipica, basato su presupposto ucronici in cui una civiltà come quella Maya non è scomparsa ma si è evoluta tecnologicamente. Cosa pensi della storia di questo popolo, della sua tragica fine delle sue sanguinarie tradizioni? Cosa ti è rimasto maggiormente impresso di questa popolazione?
Il discorso sul popolo Maya è davvero complesso da affrontare, quasi impossibile poi in poche righe… Posso dire che ciò che più mi affascina è l’aspetto suggestivo delle loro tradizioni tribali, i colori che connotavano i clan a cui ognuno di loro apparteneva, o come questi indicassero il proprio ruolo all’interno delle dinamiche sociali o religiose o guerriere. Sì, è soprattutto questo miscuglio di religiosità, senso del mistico, fuse ad uno spirito orgogliosamente guerriero e sanguinario ad intrigarmi maggiormente.

Apocalypto di Mel Gibson ha ripresentato all’immaginario moderno questa civiltà, anche se non certamente in maniera storicamente inappuntabile. Vi siete documentati molto per Mayapan?
Lo stretto necessario, una sorta di inseminazione di base sufficiente per aiutarci ad entrare in quel particolare mondo, per poi stravolgerlo a nostro piacere.

Immagino che il “gioco” di trasportare certi elementi nel futuro sia stato impegnativo ma stimolante. Come vi siete preparati per integrare le tradizioni maya con l’immaginario futuribile?
A dire il vero è avvenuto tutto con molta naturalezza. Questo anche in virtù del fatto che sia io che Flavio amiamo il ” crossover”. Ci piace mischiare e manipolare più elementi, nella speranza di approdare a qualcosa di nuovo, di inaspettato.

Un certo tipo di opere continuano a trovare spazio in Italia solamente come importazione anche se realizzate da autori italiani e comunque sempre destinate a un pubblico di nicchia. Come è stato accolto Mayapan in Francia? E in Italia?
Molto bene da parte della critica e degli addetti ai lavori, meno per le vendite, questo perché pubblicando con un piccolo editore è molto difficile competere con i grandi colossi dell’editoria francese… In Italia si difende bene, anche se sappiamo quanto piccoli siano i numeri che ruotano intorno al mercato italiano.

Molte serie del mercato francese come genere e stile non sembrano poi discostarsi molto dal fumetto popolare italiano, se non nella capacità di osare un poco di più e di prediligere le miniserie alle serie regolari, eppure la considerazione sembra molto maggiore del fumetto come mezzo artistico. Tu da autore avverti questa differenza?
La differenza si nota, eccome! Intendiamoci, i lettori sono identici in tutte le nazioni, se quello che tu fai li entusiasma non mancano di mostrarti il loro affetto, ma è ben altra cosa il mercato in cui ci si muove… La considerazione culturale che questo medium gode, per esempio in Francia, non è paragonabile a quella nostrana, qui siamo ancora impegnati a dover dimostrare che il fumetto è un’arte a tutti gli effetti e che merita considerazione quanto la letteratura o il cinema.

Hai trovato meno resistenze nel proporti come autore sul mercato francese?
Direi di sì… la Francia è la nazione in Europa che più riconosce e valorizza la figura dell’autore. E non a caso.

Hai un rapporto diverso nel realizzare un fumetto per la BeDe?
Per quanto mi riguarda, che si chiami fumetto o comics o bédé, ciò che conta è la qualità. La qualità è l’unico mio metro di giudizio, indipendentemente che si tratti del mio lavoro o di quello di un mio collega.

LO STILE

Da quali influenze è nato il tuo stile grafico? Chi sono i tuoi “maestri putativi”?
L’influenza, principalmente, ha origine da quella che notoriamente è chiamata “ligne claire“, ovvero la linea chiara franco-belga. Poi gli autori di scuola italiana e argentina. Per quanto riguarda i miei “maestri putativi”, io parlerei più specificatamente di “opere putative”, come: “Naso rotto” da “Blueberry” di Jean Giraud, “Gli uomini dagli occhi di piombo” da “Mort Cinder” di Alberto Breccia, “Mondo mutante” di Richard Corben, “Corte sconta detta arcana” di Hugo Pratt, oltre a quelle citate precedentemente.

Quanto è importante per un disegnatore sperimentare, affinare il proprio stile, cambiare? Quanto è importante continuare nello studio del disegno?
È semplicemente fondamentale. è proprio ciò che fa di te un artista, prima che un professionista. è ciò che mantiene fresca la tua creatività. È il segno distintivo di una curiosità che non è venuta meno nel corso degli anni.

Come si svolge la tua giornata lavorativa? Quanto tempo dedichi al disegno?
Non ho orari fissi, lavoro secondo i miei bisogni e in base ai tempi di consegna di un progetto, per cui variano di giorno in giorno. In media direi che non supero le 7/9 ore giornaliere.

In Mayapan ti dedichi anche al colore. Quali possibilità offre rispetto al bianco e nero? E cosa perde in confronto a questi?
Il colore in “Mayapan” ricopre un ruolo determinante, così come in genere in tutto il mio lavoro “autoriale”. Avendo uno stile alla francese, il colore può valorizzare o affossare il mio disegno… Mi spiego, se disegni come Mignola e quindi hai a disposizione uno stile fortemente chiaroscurato, devi essere un cane per riuscire ad inquinare graficamente quel tipo di disegno, ma nel caso di un disegno alla Juillard o alla Barbucci se il colore non viene dosato con grande attenzione, il risultato finale può risultare catastrofico! La forza del b/n, invece, sta proprio nella sua sintesi. Ti spinge a fare delle scelte molto più forti, coraggiose, nel rappresentare la realtà che ci circonda. È un’astrazione del reale senza mezze misure, che ti costringe a scegliere in modo radicale tra ciò che va inteso come luce o come ombra.

Se escludiamo Mister No, disegni soprattutto storie fantasy e SciFi. Quali spunti e possibilità narrative può offrire questo genere?
Infinite possibilità espressive… Nel genere fantastico tutto può accadere, ed è questo il motivo principale per cui lo prediligo.

Che differenza di approccio esiste tra il lavoro per il fumetto e quello per le illustrazioni (come per i Tarocchi di Avalon)?
Credo che nell’illustrazione l’artista abbia un rapporto passivo con il soggetto che va a rappresentare. L’immagine prodotta è una sorta di succo iconografico a commento del tema trattato, mentre nel fumetto l’immagine stessa è materia narrante.

IL FUMETTO SECONDO LUI

Se il fumetto come “graphic novel” sta guadagnando una maggiore considerazione anche nel pubblico generalista, non sembra pero’ questo sia accompagnato da una presa di coscienza delle potenzialità del fumetto in sé, quasi come se questi fossero una eccezione. Quali sono i punti che rendono il fumetto il mezzo che hai scelto per comunicare?
Ho scelto il fumetto come mio mezzo espressivo principale per la sua unicità. Nel fumetto la narrazione è importante, ma non è letteratura in senso stretto. Racconta storie per immagini come il cinema, e come nel cinema si occupa di sequenze, montaggio, inquadrature, eppure non dispone, senza comunque risultarne impoverito, di cose come il movimento o il suono. Nel fumetto è altresì importante la recitazione dei personaggi, ma certamente non può essere accomunata all’arte teatrale… e così via… Voglio dire che ciò che più mi affascina di questa forma d’arte è la sua forza fagocitante, cioé la capacità di nutrirsi di più forme d’arte senza pero’ perdere la sua assoluta originalità…

Quali sono i tuoi futuri impegni fumettistici?
Sto disegnando la mia sesta storia di “Brendon”, e con Flavio stiamo pensando al terzo tomo di “Mayapan”, che andrà a concludere questa prima serie. Inoltre abbiamo appena pubblicato il primo tomo di una serie fantasy per la casa d’edizione “Vents d’Ouest“, intitolata “Les jours du chaos“, la mia prima bd direttamente realizzata per il mercato francese, e colorata in digitale dal bravissimo Luigi Terzi…non vedo l’ora di rimettermi al lavoro sul secondo tomo!

Quali sono le storie nel tuo “cassetto” che progetti di fare un giorno in futuro, se tu potessi scegliere liberamente cosa scrivere e cosa fare? Hai mai pensato di dedicarti alla realizzazione di un fumetto sia per i testi che per i disegni?
Sto lavorando a un progetto tutto mio, ma per scaramanzia preferisco non parlarne… Sorry!

Riferimenti:
Sergio Bonelli Editore: www.sergiobonellieditore.it
Vittorio Pavesio Editore: www.pavesio.com
Recensione di Mayapan #1: www.lospaziobianco.it/?p=1754

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *