Quando, nel 1930, Gottfredson inizia a occuparsi del Topo, le comics strip giornaliere si sono diffuse sui quotidiani americani da oltre vent’anni, imponendo ritmi di racconto nuovi al medium fumetto.
In alternativa alle ariose praterie narrative della Sunday page domenicale, dove i cartoonist posso contare su una dozzina di quadri lungo cui sviluppare la trama, la striscia quotidiana – con le sue quattro, cinque vignette per giorno – costringe la storia a una radicale compressione, nel singolo episodio, mentre ne permette una dilatazione pressoché infinita in senso seriale.
Il procedimento non è nuovo, nel feuilleton letterario lo si usa da tempo. Gli autori di fumetti lo traducono in un dispositivo visivo che organizza il ritmo del racconto in funzione dei salti obbligati tra una “puntata e l’altra”, la vignetta finale della striscia diviene così il luogo privilegiato della tensione narrativa che il testo costruisce giorno dopo giorno.
é in questo contesto espressivo che Gottfredson e gli sceneggiatori che lo affiancano in corso d’opera (Merrill De Maris, Ted Osborne e più avanti Bill Walsh), si trovano a far muovere il personaggio. In eredità Disney, Iwerks e Smith, gli hanno lasciato una “manciata” di strisce, tutte giocate sull’essenziale comicità di un personaggio dalla scarna psicologia nato, è bene ricordarlo, per l’animazione. E, in effetti, ancora nella prima storia di Gottfredson, firmata insieme a Win Smith (Mickey Mouse in Death Valley, – 1930, fig.1), il labile canovaccio si basa essenzialmente sulle gag tipiche dei cartoni animati.
L’accento ritmico dell’ultima vignetta è spesso la risoluzione di una situazione comica. Ogni striscia funziona da microstoria comica mentre la macrostoria seriale “debole” avanza più per accumulo di situazioni, che per concatenazione di azioni. Questo primo Mickey Mouse “stripologico” si trova, di fatto, al crocevia di scelte espressive di genere.
Da un lato c’é la strip comica pura, con la sua logica del “fuoco d’artificio” giornaliero, come per esempio accade nelle prime strisce del Thimble Theatre di E.C.Segar (1919) e del Winnie Winkle (1920) di Martin Branner. Ogni sequenza quotidiana di vignette è una sorta di variazione della precedente, con l’obiettivo dichiarato di portare a casa il sorriso di giornata.
Dall’altro, c’é la strip avventuroso/drammatica, dal Wash Tubbs (1924) di Roy Crane a Little Orphan Annie (1925) di Harold Gray, che attraverso le chiusure di puntata in cliffhanger, cerca di costruire un crescendo seriale, un climax costante, settimana dopo settimana, fino alla risoluzione finale.
Il topo di Gottfredson & co, finisce per praticare una “terza via dell’immaginario”, a strisce, giocata sul mix tra i due registri, il comico e l’avventuroso, quest’ultimo declinato negli anni nelle accezioni di genere: l’azione, il poliziesco, la fantascienza. Ecco, quindi, già a partire dal secondo ciclo di strip (Mr. Slicker and the Egg Robbers, La rivincita di Topolino – 1930 fig.2), affacciarsi in maniera seminale una doppia linea ritmica, dove i momenti quotidiani di commedia, sono utilizzati per puntellare un racconto seriale più solido. Accanto alla gag, nella vignetta finale della striscia, trova posto sempre più spesso una domanda narrativa cui solo la striscia dell’indomani darà risposta.
Esiste una storia spartiacque tra sperimentazione e piena maturità di questa tecnica espressiva? Nelle strip che compongono Blaggard Castle (Il mistero del castello incantato, 1932), in effetti, la trama avventuroso-seriale diventa dominante rispetto ai passaggi comici quotidiani. Ma, probabilmente, la risposta più corretta è che si tratta di un’evoluzione progressiva.
Un’avventura dietro l’altra, un anno dopo l’altro, il modello action/comedy della serialità topolinesca si consolida via, via, di pari passo ad una maturata consapevolezza del formato editoriale da parte di Gottfredson e degli altri autori disneyani. Nel ciclo di In Search of Jungle Treasure (Topolino e il gorilla Spettro, 1937, fig.3), possiamo vedere che le gag quotidiane partecipano pienamente anche alla costruzione della serialità. Non sono più episodici accidenti nel vissuto del Topo, ma prove che l’eroe deve affrontare per realizzare la missione avventurosa.
Così, mentre l’azione è molto serrata e compatta nella singola striscia, il racconto seriale nel suo complesso, pur mantenendo toni scanzonati, assume un respiro quasi epico. Non è un caso, che quello tra il ’37 e i primi anni Quaranta, venga considerato dagli esperti il periodo aureo del Mickey Mouse a strisce, con storie (le cito per brevità con il solo titolo italiano) quali: Topolino e il mistero dell’uomo nuvola, Topolino sosia di re sorcio, Topolino e la banda dei piombatori, Topolino e il mistero di Macchianera.
Sulla compressione della striscia, vale la pena di fare un’ultima annotazione dal punto di vista linguistico. La strip, nell’organizzare le vignette su un piano orizzontale da sinistra a destra, sfrutta una traiettoria di lettura di grande efficacia, perché sposa l’ordine di lettura che utilizziamo sempre (in occidente).
Fatte le debite proporzioni, la striscia sta allo sguardo del lettore di fumetti come il piano sequenza sta a quello dello spettatore cinematografico. Per certi versi, è il modo in cui il fumetto può produrre il massimo sforzo di continuità visiva tra le vignette. Questa dinamica è estremamente efficace nei grandi autori che hanno praticato la strip come formato narrativo (da Chester Gould a Milton Càniff) e la ritroviamo, infatti, anche nel Topolino Gottfredsoniano, rafforzata dal segno plastico del cartoonist americano.
Ce ne possiamo rendere conto, curiosamente, guardando alle ristampe italiane che questi classici hanno avuto nel tempo. Per esempio, la prima edizione italiana degli anni Trenta, il Topolino della Nerbini, mostra come nonostante le strisce venissero riproposte (fig.4) con delle singolari didascalie posticce, sotto le vignette, la forza visiva della strip non viene intaccata. Anzi la potenza narrativa della traiettoria di lettura è tale che fa diventare quasi “invisibili”, quei testi didascalici appiccicati a forza.
Diversamente, quando le storie vengono ristampate nel formato ridotto (poi diventato tradizionale) del Topolino Mondadori, con appena 6 vignette per pagina rimontate verticalmente (fig.5), non è solo il fascino visivo a perderne, ma l’intera macchina del racconto.
Paradossalmente, pero’, questi maltrattamenti editoriali ci permettono di apprezzare le enormi qualità espressive della striscia e, in particolare del lavoro di Gottfredson che è proseguito fino agli anni Settanta. Anche, se in effetti, la grande stagione della striscia avventurosa si è esaurita, alla metà degli anni Cinquanta. In seguito, il Topo ha preferito tornare alle gag “smemorate” delle origini, forse per sentire meno il peso della sua ormai lunghissima carriera da eroe da strip.
Bibliografia minima:
– Cappelli Gaudenzio (a cura di), Topogag: Strips e sketches a centinaia, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1984
– Korkis Jim, Mickey’s Other Mouse-tro: An Interview with Floyd Gottfredson disponibile al link http://www.awn.com/articles/profiles/mickey-s-other-mouse-tro-interview-floyd-gottfredson/page/2,1
– Beccatini Alberto, Boschi Luca (a cura di), I maestri Disney, pubblicazione periodica di Wal Disney Italia (i numeri dedicati a Floyd Gottfredson)