Buona questa. Intervista con Giuseppe Palumbo

Buona questa. Intervista con Giuseppe Palumbo

Giuseppe Palumbo e' uno dei principali autori italiani, capace di prestare il suo personale stile ad ogni genere di fumetto, dall'umoristico, al supereroistico "all'italiana", fino a Diabolik e Martin Mystere. La sua carriera e' ricca di premi e riconoscimenti: Premio Bonaventura per Ramarro, lo Yellow Kid come miglior disegnatore italiano...

Tosca la moscaCome è iniziata la tua voglia di fare fumetti?
Ricordo enormi quantità di quaderni a righe e a quadretti. Pennarelli Carioca e penne Bic. Mio fratello e io a copiare supereroi e Sturmtruppen.

I tuoi primi passi sono stati difficili? Hai mai avuto voglia di lasciare tutto quanto, e cosa ti ha spinto a continuare?
Ho avuto fortuna ad iniziare contando sul fatto che erano i miei a sostenermi; certo, ho dovuto studiare e lavorare insieme, ma alla fine ero laureato e avevo alle spalle già un paio di libri e tante pagine pubblicate su una rivista come Frigidaire. Butta via. Mollare tutto? Impossibile. Certe cose se le molli, vuol dire che non erano tue veramente.

Quali sono le “fonti” del tuo stile di disegno? Quali autori ti hanno segnato nel trovare uno stile che fosse tuo?
Magnus su tutto, ma tanto hanno fatto Moebius e i francesi di Metal Hurlant, Breccia e gli argentini, Kirby e gli americani. E poi Pazienza e tutto il gruppo di Frigidaire, il nuovo fumetto italiano.

Sicuramente si legge nel tuo tratto una passione per il fumetto supereroistico americano. Quali sono stati i primi comics ed i primi autori che ricordi con affetto? Segui ancora oggi questo mondo supereroistico, e cosa ne pensi?
Da ragazzino amavo Capitan America e gli X-Men di Kirby, Silver Surfer di Buscema, i F4, l’Uomo Ragno di Romita, sì insomma quella gentuccia lì. Li ho amati e collezionati da bravo “otaku” del genere. Ora ne ho abbastanza: forse mi sono perso qualcosa, ma tutto il manierismo scaturito dallo stile superbo di Frank Miller e soprattutto di Alan Moore, mi ha allontanato definitivamente da quei mondi. Sicuramente ho perso qualcosa, chissà.

Hai collaborato a diverse riviste, dalla storica Frigidaire a Cyborg. Cosa ricordi di queste esperienze, e quanto ti sono servite per il tuo stile di fare fumetti?
Frigidaire è stata un’esperienza appagante e frustrante allo stesso tempo: sei sulla rivista che più stimi, che ha prodotto quanto di più interessante negli ultimi anni, che più hai amato, la gente ti ama ti odia ma ti legge, ma su tutto questo incombe, per anni, lo spettro della chiusura, la perenne mancanza di soldi ecc ecc. Cyborg: stessa cosa; una rivista che tu contribuisci a fondare, fatta con gli amici e con la gente nuova che stimi di più, distribuiti, bene pagati (non bene, ma pagati: un bel salto, la professionalità!). E poi difficoltà, cambi di editore, lavoro massacrante, affitti alti (mamma dove sei?). Sette anni in tutto di superlavoro e di sacrifici, ma di grande crescita professionale in piena libertà creativa: chi non lo farebbe?

Che effetto fa rivedere Frigidaire in edicola, e ricominciare a collaborarvi? Cosa c’é di diverso dalla precedente vita editoriale?
Niente, ed è bello essere ancora su quelle pagine. Il problema è che c’é solo una persona a fare da gruppo redazionale, e questo per me è un serio limite.

Oggi il mercato delle riviste è ristretto a poche eccezioni, in genere lontane dalla grande diffusione. Ti sei mai fatto una idea del perché della loro progressiva scomparsa?
Troppe riviste fatte male, troppi autori stanchi, magari già in partenza, troppo distratto il pubblico, troppo costose…

Quanto è importante, o è stato importante, il confronto ed il contatto con altri autori?
Fondamentale, indispensabile, formante. Starei ancora a casa senza schiaffi, incazzature e dritte ricevute dai tanti, troppi da ricordare…

Tra tutti coloro con i quali hai collaborato a stretto contatto, di chi conservi ricordi articolari?
Mah…sarebbero tanti…

Tra le tante collaborazioni è da ricordare anche quella ai primi numeri della rivista specializzata in giochi di ruolo Kaos. Sei, o sei stato, anche tu un giocatore?
Niente. Un lavoro come un altro. Divertente pero’.

Come è nato un personaggio come Ramarro, e cosa intendevi comunicare con questo supereroe masochista?
Ramarro nasce quasi per caso, un mese di pubblicazione da riempire con una storiella rapida, divertente… Zac, la leggerezza ha fatto parlare la parte migliore di me (ma che siamo pazzi?). E da quella storiella ha preso il via, ha trovato lo spazio, ed il personaggio ideale, una mia visione del mondo circostante, della vita, dei fumetti. “Quando l’uomo scopre i suoi poteri, comincia ad usarli contro di sé” (Levi -Strauss, più o meno): è più o meno il senso delle storie di Ramarro.

La violenza nei fumetti, e nei media in generale, viene spesso usata come capro espiatorio per tutta una serie di comportamenti antisociali ogni qual volta se ne presenti l’aggancio. Eppure è dimostrato che la rappresentazione fantastica della violenza ha una funzione liberatoria. Cosa ne pensi? Hai mai ricevuto critiche da questo punto di vista per le tue opere?
No, niente di serio. Come il problema d’altronde. La cosa seria è la gente folle che crede che sia un problema serio e agisce perché lo diventi.

Tosca La Mosca sembra un fumetto con un fine quasi terapeutico, in cui scarichi tutta la voglia di fare dei fumetti nei quali essere “libero” da qualunque limitazione, e con i quali divertirti e divertire; una pausa “per respirare” rispetto al resto della tua produzione. È una osservazione che riconosci?
Sì abbastanza, ma non in relazione al mio lavoro (in cui mai mi sento costretto), se mai in relazione al fumetto erotico e alla sessualità in generale. Ma al di là di tutto è proprio un fumetto per divertirsi, magari scopando.

Come nasce l’idea di Tosca? Usciranno nuove avventure di questa bambolina sexy?
Tosca nasce prima di Ramarro e nella sua prima storia lo disegno per la prima volta. Ma allora era un personaggio diverso. Tuttavia le sue fattezze avevano sempre attirato molta gente alle mie mostre… e così pensai a rimetterci mano. Nuove avventure? Una di sicuro nel volume raccolta che sto progettando da tempo.

Tra i tuoi giochi di gioventù, avevi una “Tosca”? Ed in generale, cosa ricordi dei tuoi primi giochi?
Non entrerei nel merito…

Sisifo è un’opera piena di simbolismi e metafore, un fumetto che potremmo dire “psicologico” per molti versi. Per te cosa rappresenta, e come è nato? Intendevi trasmettere qualcosa in particolare?
Sisifo è il contraltare di Ramarro; la visione della vita che esprimono è la stessa: più drammatica, tragica quella di Sisifo; più sarcastica quella di Ramarro. Entrambi non si piangono addosso per il disastro che li circonda. Sisifo nasce dall’esigenza di raccontare quello che non avrei potuto raccontare con Ramarro.

Le tue storie spesso brillano per (auto)ironia e gusto del comico: un non prendersi troppo sul serio. Da dove nasce questa tua visione del fumetto e soprattutto della vita?
Chi lo sa? Sarà quello che mangio…
Ramarro, personaggio-simbolo dell'autoreIn genere (e questa è la classica domanda facile facile) da dove ti vengono, o da dove ti sono venute, le idee per un personaggio, una storia, una scena particolare?
Da quello che mangio?

Adesso mi togli una curiosità: cosa mangi? Giuseppe Palumbo è una “buona forchetta”?
Forchetta coltello e cucchiaio. Questa intervista ti costerà cara in leccornie delle tue parti…

C’é una idea che avresti sempre voluto sviluppare, ma ancora non hai fatto, o un fumetto sul quale ti piacerebbe lavorare, ma non ne hai avuto ancora occasione?
E che ne so? Forse l’adattamento a fumetti del libro che distribuì Berlusconi in ogni casa; un capolavoro della comicità italiana.

Ci sono opere tue che adesso rifaresti in modo diverso, che non ti soddisfano?
Tutte, o quasi tutte. Non saprei, ma ti assicuro che c’é un momento appena finisci un lavoro, che ti verrebbe voglia di ricominciare.

È mai capitato che tu rifacessi da capo un’opera, o parte di essa, per questo motivo?
Ho corretto e rifatto molte volte molte cosette e tutte le volte che ripubblico qualcosa aggiorno di sicuro, o testi o disegni.

Il tuo stile di disegno, pur se molto personale, è riuscito ad essere adatto per generi tra i più disparati, da Ramarro a Tosca La Mosca, da Martin Mystere, a Diabolik, senza mai snaturarsi. C’é un “segreto” in questo?
Essere pronti a capire le esigenze di chi ti sta di fronte (il tuo editore, il tuo pubblico, il tuo personaggio) e interpretarle al meglio. Solo così resti te stesso e non sei più un mero esecutore. Buona questa, stampala.

Preferisci creare storie completamente tue o lavorare solo come sceneggiatore o disegnatore?
Mi piace raccontare per immagini, punto. Le modalità possono cambiare, ma il succo resta lo stesso.

Come è il tuo rapporto con gli sceneggiatori, ed eventualmente con i disegnatori di storie tue?
Con gli sceneggiatori è di estremo rispetto, purché sia reciproco; preferisco quelli che pensano a storie che io possa interpretare bene, che siano nelle mie corde. Con i disegnatori, idem al contrario; ma mi accade di rado lavorare come sceneggiatore.

Come giudichi la tua collaborazione con il mercato giapponese? Cosa ti ha colpito in maniera particolare di questa esperienza?
Collaborazione tormentata, ma molto utile, formante e prestigiosa. Mi ha colpito la disponibilità ad ascoltarti e la fermezza nell’imporre il loro linguaggio.

Cosa hai dovuto cambiare del tuo metodo di lavoro per una realtà tanto diversa da quella italiana?
Ho dovuto soltanto tener conto delle specifiche di linguaggio del fumetto nipponico (tempi e leggibilità delle azioni in primis).

Che riscontri hanno avuto i tuoi fumetti nel Sol Levante?
Non saprei; sono comunque tuttora visitabili sul sito a pagamento della Kodansha.

Sono previste altre collaborazioni con loro?
Per ora no.

Le realtà editoriali vengono spesso viste, da nazione a nazione, come separate in comparti stagni, eppure tu stesso puoi dimostrare con i fatti come non sia così. Pero’ spesso i lettori si limitano, o leggono solo manga o seguono solo comics… A cosa pensi sia dovuto?
Ristrettezza di gusto personale.

La Phoenix è stata una parentesi importante della tua carriera, nella quale occupavi ruoli maggiori di “semplice” autore. Cosa ti è rimasto di questa esperienza?
L’orgoglio di aver fatto molte cose belle sia per me e che altri autori; la fatica di averle fatte sempre in situazioni difficili.

Su cosa stai lavorando attualmente, e quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho appena cominciato lo speciale su Ginko e sono in uscita tre o quattro cosette a cui tengo molto: il volume Vorrei cantarti una canzone d’amore edito da Kappa; il volume L’ultimo treno su testi di Massimo Carlotto per Alta Fedeltà; Il libro di viaggio Atene Minore per Art Core e una storia breve su Inguine Magazine della Coniglio Editore.

Riesci a trovare tempo per leggere altri fumetti? Cosa in particolare ti sta piacendo di più e consiglieresti agli altri lettori?
Ti dico l’ultimo capolavoro (io lo ritengo tale) che ho letto: The Bouncer di Jodorowski e Boucq. Veramente ottimo. Gamurakan e Bestiario padano editi dalla Coconino sono altre bellezze nipponiche e italiane. E poi…

Tremando al pensiero di quanto mi costerà in vettovaglie questa intervista, mi accommiato da Palumbo e dai tanti personaggi che affollano le sue tavole ringraziandolo per la sua disponibilità…

Intervista rilasciata a Luglio 2003

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *