Esordisce nel modo migliore 10 Ottobre, grazie a due devastanti tavole color pastello all’apparenza innocue, della sfumatura dei petali dei fiori, e che invece consegnano al lettore una tragedia istituzionalizzata tra le più tremende mai viste in un fumetto cosiddetto “popolare”. Siamo un assolato sobborgo borghese composto di famigliole felici e villette con giardino, e in una di esse si sta festeggiando il compleanno di un bimbo; ma se sotto il sole la festa impazza, all’interno dell’abitazione, in una stanza dalle tende pudicamente accostate, la famiglia intera è riunita intorno al festeggiato, tenuto in braccio dalla madre che legge con lui e per lui un libro illustrato. La tensione scorre sotterranea, ma è palpabile: le regole sociali del mondo in cui la famiglia vive vogliono che – in maniera totalmente random – proprio nel giorno del suo terzo compleanno all’ora della sua nascita, il piccolo possa morire, spegnersi letteralmente come una candela. Ed è proprio quello che accade.
Se 10 Ottobre fosse un film – e nulla gli vieterebbe di diventarlo, o una serie tv – si potrebbe dire che già al primo minuto il regista si è meritato il prezzo del biglietto: la scena d’esordio, anche se priva di dialoghi, è di quelle che toccano il cuore. Ed è solo l’inizio di una storia che – pur con certi suo limiti naturali di cui parleremo più avanti – convince sin da subito e si mantiene di qualità, rifuggendo quanto più possibile gli stilemi del fumetto d’avventura e “Bonelliano” al quale siamo stati per lungo tempo abituati. Per dimostrarlo basterebbe far presente come nelle sessanta tavole che compongono questo primo capitolo non compaiano mai pistole, sparatorie, risse, omicidi, misteri da risolvere, eroi tormentati o misteriosi nemici; ma del resto descrivere 10 Ottobre solo in funzione di questi elementi vorrebbe dire sottovalutare un racconto che aspira a essere altro, a muoversi in territori diversi da quelli dell’avventura propriamente detta, e che appare concepito e raccontato (e disegnato) con molta partecipazione da parte dei suoi autori.
Paola Barbato, da anni una delle colonne portanti di Dylan Dog ma attiva anche come romanziera thriller/horror/noir per un pubblico sia adulto che di teen-ager, lo dice chiaramente: sente tanto e ha fortemente voluto narrare questa storia nata da una piccola idea avuta per caso e sviluppata nell’arco di lunghi mesi; e 10 Ottobre le fa giustizia, riuscendo a rimarcare il suo talento ormai affinato da decenni di scrittura creativa. Ma non solo: sembrerebbe quasi che l’uscire dai territori a lei familiari, da quelle trame più o meno “misteriose” o “d’indagine”, le abbia giovato.
La sua sceneggiatura scorre liscia, stringata, lineare, centrata sul fattore umano e su protagonisti azzeccati dal primo all’ultimo senza eccezioni, con dialoghi efficaci e gli spazi dedicati alle necessarie spiegazioni ridotti al minimo, mai didascalici o pretenziosi, mai vittime dell’urgenza di bombardare il lettore di informazioni su una storia che non ne ha affatto bisogno, in quanto si chiarisce da sola. E anche ciò che viene narrato di sfuggita, o solamente – pudicamente – accennato, funziona ugualmente: basta pensare al personaggio della madre del protagonista, condannata a vivere un dolore che dovrebbe accettare come facente parte del suo mondo, ma che in realtà la distrugge. Un dolore che oltretutto, a peggiorar le cose, non è compreso nemmeno da chi le sta accanto, che risulta maggiormente fuori luogo in quella società viziata da un difetto di base, che non fa che allargare la solitudine e la sofferenza di chi non riesce a venirne a patti. Rende, in pratica, anormale ciò che non lo è.
La distopia di 10 Ottobre si svolge in un mondo apparentemente idilliaco nel quale la morte degli individui è decisa a priori e segue precise fasce d’età, da un minimo di tre a un massimo di settant’anni, cosa che a quanto pare ha portato benessere e prosperità: non è nuovissima nel suo genere (una controparte letteraria recente? La trilogia della Falce di Neal Shusterman) o particolarmente originale, ma si offre al lettore con chiarezza e immediatezza tramite scene, personaggi e avvenimenti validi sia in senso personale che universale. Se infatti è certamente interessante sapere cosa ne sarà del piccolo protagonista undicenne Richie, in pericolo di vita per aver scoperto segreti che non gli competevano, contemporaneamente è davvero significativo e destabilizzante fermarsi a riflettere su una generazione di persone deviate da un sistema iniquo, e soprattutto di bambini cresciuti con la consapevolezza che sia buono e giusto morire per sorteggio a tre, a undici, a ventisei anni e via dicendo; una generazione indottrinata a credere ciecamente in una follia imposta dal governo, che accetta come dato di fatto inevitabile la scomparsa di amici e parenti, che trova assurdo che degli adulti possano mettere in dubbio quella che per loro è la normalità, che non vede nulla di strano in quella vita, e infine per la quale la miglior soddisfazione è avere una famiglia che ti prenota un funerale “fichissimo” con il carro funebre rosso fuoco decorato coi fulmini o la bara bianca circondata da dolci farfalline azzurre.
In questo senso Richie è un personaggio paradigmatico e un non-eroe ben riuscito, in quanto incarna un normalissimo ragazzino della sua età e contemporaneamente diventa specchio del mondo che rappresenta. Il lavoro fatto su di lui è in fase di sceneggiatura è davvero degno di nota, i suoi comportamenti sono sempre realistici e credibili, le sue reazioni a ciò che gli succede appaiono plausibili pur nella loro totale follia (ma solo per noi che questa storia, questo mondo, li vediamo “da fuori”), e anche il suo ruolo è di valore; sia quando viene usato come “testimone” della deriva del suo mondo sia quando si confronta con il gruppo di adulti ribelli, piccoli rivoluzionari decisi a minare questo stato di cose, in mezzo ai quali finisce contro la sua volontà: un insieme quanto mai eterogeneo di personaggi costruiti con altrettanta cura, più cinici che eroici, più disillusi e rabbiosi che epici, i quali attraverso Richie si specchiano e vengono presentati al lettore.
Un bel risultato, dunque, per una Paola Barbato che non solo conferma le sue doti ma pare coinvolta e focalizzata più del solito, al punto che il suo racconto arriva al fruitore con la massima compiutezza. Il suo approccio sembra venire davvero da dentro, da un’esigenza di raccontare e da una chiarezza di intenti che rendono il prodotto convincente. O perlomeno questo primo volume dei quattro previsti. Leggendo si viene catapultati all’interno della storia, si vorrebbe davvero saperne di più, e si fatica a immaginare i possibili sviluppi.
Ma anche riguardo i disegni e i colori di Mattia Surroz – autore finora attivo più che altro in ambito Disneyano – possono essere ribaditi gli stessi concetti di necessità, compiutezza e passione… e dunque successo. Lo stile, molto fisico e nello stesso tempo improntato a un’estrema sintesi, mette al centro prima di tutto corpi umani dalla grande comunicativa, mai spigolosi, sempre fluidi e in costante movimento, molto espressivi nel tratti somatici come nelle pose. A voler far qualche nome vengono in mente sicuramente autori francesi, come il validissimo Jordi Lafebre, o la meno nota in Italia eppure di gran talento Claire Wendling. Ma sono solamente alcune delle influenze che vanno a comporre uno stile che pare risentire di spunti tra i più disparati, senza tuttavia farsene fagocitare. Uno stile che, va detto, paradossalmente può definirsi datato, visto che le prime tavole di 10 Ottobre – ritardato nell’uscita causa Covid19 – risalgono a ben due anni fa, e nel frattempo Surroz ha continuato un’evoluzione in positivo. Sembra in effetti di vedere in certe vignette alcuni miglioramenti, piccole modifiche, aggiornamenti che fanno pensare a un autore ancora più maturo, che oggi si approccerebbe a questa storia con un segno più completo ed espressivo; ma questo non va a discapito del bel lavoro fatto.
Coerente e valido è anche il colore: si è parlato all’inizio della delicatezza delle tonalità nella prima scena, ma tutta la storia si fa forte di questa palette apparentemente solare e sussurrata, bassa nei toni e nei sentimenti, mai strillata in faccia al lettore, ma che contribuisce invece a evidenziare il senso di straniamento che si prova passeggiando per le strade di questa utopia nella quale tutto sembra perfetto, ma in realtà non lo è. Insomma, se Barbato ha voluto fortemente Surroz – al suo esordio in Bonelli – alle matite di 10 Ottobre, vedendo il risultato si riesce a capirne il perché.
10 Ottobre è dunque un fumetto perfetto? Dipende. È sicuramente un prodotto notevole, soprattutto se consideriamo l’ambiente editoriale dal quale nasce; lo è un po’ meno se lo paragoniamo ad alcuni suoi predecessori tematici, tra i quali uno dei più importanti – nonché vicino in ordine di tempo – è il manga Ikigami di Motorō Mase. Anche lì abbiamo una distopia, un governo che tramite vaccinazione decide in modo randomizzato chi deve vivere e chi deve morire al raggiungimento di una precisa età, e le conseguenze che questo porta a chi è direttamente o indirettamente vittima di tale piano di sviluppo. Ma ciò che viene trasmesso da quest’opera è anche uno spaccato molto attuale e critico della società orientale e dei suoi abitanti; elemento che in 10 Ottobre, per tempistiche interne della storia, per scelta o per necessità, appare per ora meno compiuto.
Un esempio simile, un paragone in un certo senso più grafico, si può avere confrontando i layout e le illustrazioni che chiudono il volume, e in particolare il progetto di copertina ideato da Surroz partendo da The Runaway, opera del grandissimo Norman Rockwell. In Runaway vediamo un bar, un barista col suo straccio gettato sopra la spalla, un poliziotto in uniforme, una vecchia radio, un bambino in blue jeans, suppellettili e mobili da bar, una radio anni ’50, un menù scritto col gesso su una lavagna: tanti piccoli elementi che caratterizzano alla perfezione non solo un locale ma anche un luogo geografico, un’epoca, una popolazione, una realtà urbana – per quanto idealizzata. Viceversa, nella versione di Surroz e in 10 Ottobre in generale tutto questo scompare quasi del tutto, per essere sostituito da… poco. Da un’ambientazione coerente ma un po’ vaga e indefinita, dall’aria blandamente americana, che può essere “ovunque” come è tipico – stavolta sì! – del fumetto popolare italiano. Ma leggere un fumetto, mi si consenta la piccola metafora, è come fare una piccola vacanza; e quando si va in vacanza non si va “ovunque”, non si sceglie un posto a caso, bensì un luogo preciso, dove ci sia qualcosa che meriti di essere visto e raccontato. Solo così l’esperienza merita di essere vissuta.
Ed ecco, forse in questi due elementi, letterari e artistici, si sarebbe potuto osare di più: nella precisa descrizione di uno Stato e dei suoi conflitti (anche se è probabile che di questo si parlerà delineato maggiormente nei volumi successivi), nella visione critica e nei riferimenti a una specifica realtà, e nella creazione di un mondo più caratterizzato anche dal punto di vista grafico. Forse immaginare come sfondo della storia una possibile Italia futura sarebbe stato osare troppo, ma non sarebbe stato più interessante? Già l’idea stessa di applicare un simile ordinamento sociale in un paese nel quale la Chiesa Cattolica ha un ruolo così preponderante sarebbe stato degna di interesse da parte del lettore; ma anche stavolta questa speranza sembra destinata a rimanere inascoltata, come se criticare, esaminare con occhio clinico e distaccato il nostro paese, o anche solo descriverlo in un fumetto “popolare” rimanesse per i suoi autori e lettori qualcosa di poco interessante, o superiore alle loro forze e capacità, o peggio un tabù.
Ma esclusi questi piccoli appunti di poco conto – dato che di queste cose si parla già in pubblicazioni magari più adatte rispetto a un fumetto d’intrattenimento, o create con questo preciso obiettivo, e dato che Barbato nei suoi romanzi ha mostrato di non aver nessun timore di mostrare una valida realtà Italiana – non si può negare che 10 Ottobre sia davvero una prova convincente e azzeccata nel suo genere, che incuriosisce, fa riflettere, appassiona e spinge a continuare la lettura. La storia di Barbato è sicuramente una delle sue prove più convincenti, ed è così ricca che anche il fatto di avere a disposizione “solo” 60 pagine da leggere invece delle solite 100 alle quali è abituato il lettore Bonelliano passa assolutamente inosservato. Barbato, nota principalmente per far passare i suoi personaggi attraverso tritacarne fisici e mentali, stavolta si fa notare più per quel che costruisce rispetto a quello che solitamente “distrugge”; ed è una nota che forse anche lei potrebbe tenere in considerazione qualora le dovesse capitare di riflettere sul suo ruolo di autrice, e su ciò che può “donare” alle sue creazioni e ai suoi lettori.
In quanto a Mattia Surroz, i suoi disegni e i suoi colori sono la meritata aggiunta a un progetto che parte davvero bene. Tavole capaci di comunicare con grande chiarezza e impatto, sicuramente opera di un autore che sa cosa sta facendo, sa dove vuole andare, sembra farlo con la massima tranquillità, e sicuramente saprà meritarsi i suoi spazi. Si spera riesca a farlo quanto prima anche nelle vesti di autore completo, visto che suoi lavori visti in giro fanno molto ben sperare.
A completamento dell’opera è necessario citare anche la tradizionale cura nella stampa e nella confezione alla quale l’editore Bonelli ci ha sempre abituati, soprattutto in questi fumetti cartonati di formato francese dedicati alle librerie. Dal punto di vista redazionale, invece, va fatto notare il sempre gradito uso di prefazione e commenti da parte degli autori: piccoli elementi che contribuiscono ad aumentare la bellezza, il valore e la comprensione di simili prodotti.
Giunti a questo punto si può solo sperare che nei volumi successivi 10 Ottobre non ceda alla tentazione del “mistero da svelare”, alle trame da “fumetto popolare” o ai tipici “spiegoni finali” che bloccano la trama per fornire lunghe e convolute spiegazioni, ma prosegua invece nella sua narrazione, così valida ma soprattutto così umana e sincera. Oltre a questo, non si può fare altro che rinnovare i complimenti ai due autori, e ringraziarli per aver scritto e disegnato, oltre che con la mano, col cuore.
Abbiamo parlato di:
10 Ottobre vol.1
Paola Barbato, MattiaSurroz
Sergio Bonelli Editore, 2021
72 pagine, cartonato, colore – 16,00 €
ISBN: 9788869616365