In Y- L’ultimo uomo, Brian K. Vaughan e Pia Guerra utilizzano con disinvoltura un’ampia gamma di toni, creando una commedia che riesce a proporre temi pesanti, quali la ridefinizione dei ruoli e delle identità individuali, evitando enfasi e didascalismo tramite un costante uso dell’understatement.
Esemplare di questa sensibilità è la scena (Y #58 – Why and Wherefores IV nell’edizione originale; Y #15 – La variante Y in quella da edicola) in cui l’agente 355 del Culper Ring rivela a Yorick il proprio nome, che ha tenuto segreto e mai usato dal momento del suo arruolamento (e mai citato lungo tutta la lunga vicenda). È una discontinuità fondamentale nell’evoluzione del personaggio e della sua relazione con Yorick: infatti, col nome, 355 dismette la vecchia identità e accetta il (coraggioso?) mondo nuovo, chiedendo a Yorick di esserle al fianco. Come per tutti gli agenti di quel servizio, il codice marcava l’appartenenza totale all’organizzazione e, infatti quell’identificativo ha senso solo all’interno del CR: al di fuori di esso, e lo vediamo accadere spesso, è semmai fonte di gag e battute, ennesimo esempio di demolizione di un’identità pregressa nel mondo post catastrofe, mostrata con tono da commedia.
La scena è quindi carica di tensione emotiva. Ed ecco l’understatement: Vaughan e Guerra evidenziano l’intimità del momento per sottrazione: il punto di vista arretra in modo tale che la voce di 355 non sia udibile (il lettore resta quindi all’oscuro di quel nome) e la scena scivola nella successiva con un netto cambio di tono, dall’intimità alla suspence, che sposta (idealmente spiazza) il focus del lettore, poiché il punto di vista “lontano” è quello del mirino di un cecchino.