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L’arte di perdersi

Credo che il nerdismo faccia male al mondo del fumetto, così come fa male a quasi tutto quello che sfiora. Il nerd è più che un esperto. È uno che mira a raggiungere la massima competenza possibile in un determinato settore, con un trasporto che, diciamocelo, altre persone (persone migliori) dedicano ai problemi del mondo, della scienza o della filosofia.

Che qualcuno utilizzi le sue risorse per applicarsi allo studio, alla catalogazione, all’ossessiva celebrazione di, poniamo, i costumi di Spider-man dagli anni ’60 a oggi non è tanto eccentrico, quanto patologico. Man mano che il target della sua ossessione si allarga il suo comportamento risulta più comprensibile al resto della popolazione, finché, quando la sua ossessione non è poi così marcata, può venir definito un esperto simplex.

Ora, per fortuna di veri nerd non ce ne sono così tanti, ma il mondo è pieno di esperti il cui grado di reale competenza è variabile. Persone, comunque, che tendono a polemizzare, specificare, spaccare il capello in quattro, enumerare, sviscerare oltre ogni buon senso e imperversare in qualsiasi luogo, reale o virtuale, in cui si accenni a parlare della loro area di expertise.

Le conoscenze di questi esperti coprono un range molto limitato, ma raggiungono un notevole dettaglio. Come se ognuno di noi fosse laureato in un singolo pezzo di un puzzle da un milione di elementi. Interrogato su un altro pezzo, anche attiguo, il super-esperto dimostra una miserevole ignoranza.

Ecco, quell’ignoranza è il peccato capitale che da sempre viene rinfacciato al fumetto.

Poiché il nerdismo si configura come una forma altamente specialistica di conoscenza, sorge quasi sempre su un roccioso plateau di ignoranza.

E la letteratura è, di fatto, tutto il contrario.

Se immaginate la letteratura come una torta a strati pressoché infinita, in cui ogni strato abbia un sapore diverso e lo strato più alto sia anche il più piccolo, una torta guarnita di infinite praline, zuccherini, meringhe, scaglie di cioccolato, amaretti… il nerd è l’odioso individuo che mangia le ciliegie candite. Solo le ciliegie candite.

Avete presente.

Ora, vi sembrerà un pensiero banale, ma credo che per godersi davvero una torta sia necessario mangiarne una fetta, non un singolo elemento decorativo. E un singolo elemento decorativo, in ogni caso, non ci dice molto della torta da cui proviene.

Questo della torta è un esempio buonista, in tutti i sensi, ne convengo, di conseguenza è giunto il momento di abbandonarlo, in favore di una metafora meno caramellosa.

Diciamo allora che la narrativa è simile a una città. Una città dai molti quartieri e dalle diverse attrattive, non priva di pericoli e di sensi unici, in certa misura pianificata da un gruppo di urbanisti di cui il cittadino sa poco o nulla. Continuate questa metafora da soli, per favore. Intendevo scrivere telegrammi, non trattati.

Qualcuno di voi potrebbe sostenere (e ha sostenuto) che il fumetto, in Italia, sia in un ghetto. Una città dentro alla città, che riproduce più in piccolo le stesse strutture.

Se ci allontaniamo di un passo vedremo che nella città della narrativa ci sono decine di piccoli ghetti, e ognuno suppergiù riproduce in piccolo i meccanismi dell’organismo madre.

Come uscire dal ghetto? è, dunque, la domanda.

Io penso che un primo modo sia, appunto, uscirne. Cioè uscire dai propri confini di lettori e farsi un giro per la città. Fare i turisti, invece dei residenti.

Spaziare tra i media e i generi, essere il contrario di un nerd, il contrario di un esperto. Provare un po’ tutto, andare uptown come downtown, attraversare quartieri, crearsi percorsi.

Vi piace Zerocalcare? C’è Asterix, nella strada accanto. E poi Pratchett. E poi Heller. E poi Dürrenmatt. Non abbiate paura. Nessuno di loro morde. Riderete tutto il tempo. Salitela, quella cavolo di scala della cultura. E poi scendetela. E poi cambiate strada. Esplorate la città della narrativa, perdetevi nel mondo della letteratura.

Non siate nerd. Allontanatevi dalle vostre passioni. Quelle, se sono vere passioni, resteranno lì ad aspettarvi. Andate a scoprire qualcosa di nuovo. Girovagate. Perdetevi.

Andate a vivere, dannazione.

4 thoughts on “L’arte di perdersi

  1. Esplorazione? Mi piace. Mi hai fatto venire in mente le parole del mio maestro di yoga sull’approssimazione, tanto vituperata nel mondo moderno come mancanza di affidabilità, quanto capace di portarci vicino (approssimarci, appunto) a cose che forse non comprenderemo mai fino in fondo, ma ci rimanderanno ad altre cose che a loro volta ci porteranno chissà dove. Magari non c’è sempre bisogno di valutare, approfondire e pianificare. Magari basta restare aperti e in movimento. (E’ un piacere ritrovarti!)

  2. Paco Roca ha dato forma alla tua azzeccata metafora della città ne “Le strade di sabbia”, per me il suo capolavoro. È perfettamente in linea col tuo post. L’hai letto?

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