Soul Eater – Cacciatori di Anime

Soul Eater – Cacciatori di Anime

Un horror grottesco e ironico che si rifà alla scuola classica dei miti della paura, adattandoli ai canoni della narrazione moderna. Un manga a tratti sorprendente e innovativo, da non snobbare pensando a uno dei tanti cloni dei classici del genere o a un emulo di Harry Potter.

Harry Potter ha cambiato il mondo.
Non solo perché ha dimostrato l’erroneità dell’assioma che professava un’idiosincrasia nei confronti della lettura da parte degli under 16 (e non solo), ma anche perché è riuscito ad imporre alcune strutture narrative che hanno rapidamente contagiato tutti i media. Fumetti compresi.

Ne è la prova calzante Soul Eater (ソウルイーター Sōru Ītā), l’anomalo shōnen di Atsushi Okubo, pubblicato con cadenza bimestrale dalla Panini – Planet Manga e giunto alla tredicesima uscita.

Proprio come nei romanzi della Rowling le vicende gravitano attorno ad una scuola di magia. Proprio come nella serie della scrittrice britannica abbiamo un corpo insegnati e un insieme di allievi variegato e ben caratterizzato.
E, infine, proprio come nelle avventure del famoso maghetto viene narrata la contrapposizione tra le forze del bene, guidate dal preside della scuola e mentore degli studenti, e le forze del male, guidate da uno stregone malvagio, stavolta adattato in una versione femminile e ammiccante.

Però, se le radici della storia affondano nel mito Potteriano, risalendo il tronco d’albero del racconto emergono alcune differenze.
A presiedere la DWMA (Death’s Weapon Meister Academy) non troviamo un barbuto arcimago, ma il dio della morte (lo Shinigami), i giovani studenti non usano bacchette magiche per addestrarsi alla lotta contro i malvagi demoni (I Kishin, cioè esseri che si sono nutriti di anime umane innocenti) ma bensì le così dette “armi”, cioè loro compagni di corso che posseggono il potere della Buki, che gli permette di trasformarsi in strumenti di offesa e difesa.
Una trovata questa delle armi umanizzate di per sé nemmeno particolarmente originale se si pensa che una soluzione simile si può riscontrare anche nello Shaman King di Hiroyuki Takei.

Quindi, a primo acchito, definirlo uno dei tanti manga che abbondano sugli italici scaffali senza brillare per originalità e capacità di innovare potrebbe apparire come inevitabile.
Tale giudizio conterebbe tuttavia un grave errore di valutazione e precluderebbe alla lettura di un’ opera complessa che, numero dopo numero, riesce a sorprendere con una costanza che sfida le leggi della statistica.

Soul Eater è una serie che porta il nome di uno dei protagonisti delle vicende raccontate, ma raramente concentra la narrazione su un solo personaggio; si tratta di una storia corale, in cui l’autore, con un’abilità non inferiore a quella di Eiichiro Oda in One Piece e di Masashi Kishimoto nei primi numeri di Naruto, caratterizza con attenzione numerosi attori di carta, vestendoli di una personalità sfaccettate, complesse e che, senza mai perdere di vista la struttura tipica degli shonen che fanno delle crescita dei personaggi una loro particolarità inalienabile, spesso sfocia in inaspettate involuzioni e repentine evoluzioni.

La complessità degli personaggi e la capacità dell’autore di giocare con la loro poliedrica quanto innovativa caratterizzazione sono quindi il primo punto di forza della serie.

In linea con la più moderna produzione giapponese (Full Metal Alchimist, One Piece, Pluto) è stata dedicata grande attenzione allo sviluppo di una coerente regia d’eventi vera e propria. Siamo lontani dagli schemi ripetitivi e un po’ scontanti, per quanto affascinati, di alcune pagine a fumetti nipponiche degli anni ‘80/’90 (Slam Dunk, Ken Il guerriero, Dragon Ball) che riproponevano, tankōbon dopo tankōbon, similari sviluppi narrativi che incatenavano il lettore in un loop di eventi infinito, che si concretizzava sostanzialmente nella sequenza incontro/scontro/sconfitta/allenamento/nuovo scontro/vittoria, a volte saltando o mutuando di poco uno o più di queste passaggi. Soul Eater, degno rappresentante della nuova generazione di manga a cui appartiene, si avvale, per affascinare il lettore, non solo di intriganti attori ma anche di un set complesso e ben strutturato.

Un background di eventi circonda i protagonisti fin dal primo numero e, dipanandosi pian piano nel corso del racconto, si integra con l’evolversi delle vicende attraverso una sequenza di cambi di scena che provoca quasi subito l’abbandono dello schema “cacciatori di Kishin” dei primi numeri, per immergere il lettore in una girandola di svolte narrative, spesso e volentieri scandite dall’introduzione di nuovi, affascinati, personaggi.

Una storia complessa quindi, narrata su più piani e attraverso diversi punti di vista, che racconta di una battaglia non lineare combattuta su più fronti, molti dei quali sconosciuti alla maggior parte dei giocatori in campo, ma palesi al lettore attento.

L’aspetto grafico della serie si allinea con il suo spirito innovativo. Il segno e la composizione della tavola di Soul Eater sono probabilmente uno dei più sperimentali (se non il più sperimentale) che l’edicola offra in questo momento.
La geometrie, a volte barocche e a volte gotiche, mantengono uno stile grottesco, proprio anche del tratto che permea tutta l’opera fin dalla prima pagina. Interessante è l’evoluzione e l’aumento costante dell’uso dei retini che, nei primi numeri, forse superano il limite dell’abbondanza entrando nel zona dell’esagerazione fine a se stessa, ma che poi trovano, nel proseguo delle uscite, il giusto equilibrio.
Colpisce come l’autore riesca ad infondere pathos all’immagini con un uso spregiudicato del bianco, che a volte definisce i momenti topici del narrato, colpendo il lettore come la luce di un fulmine sparata dritta negli occhi.
Gli sfondi e la scenografia visiva brillano per la capacità di sintesi surrealista che l’autore infonde in ogni pennellata. La scelta, in linea con lo stile evocativo del racconto, potenzia uno stato di costante sospensione dell’incredulità da parte del lettore che si immerge, perdendosi, in architetture che ricordano, con le dovute proporzioni, Escher.

Soul Eater ebbe un impatto così forte sull’immaginario nipponico da assurgere nel 2008 (dopo quattro anni di serializzazione su Monthly Shōnen Gangan) ad anime, sviluppando uno stile grafico e narrativo che trae ispirazione dai toni del manga, esaltandone ulteriormente il non convenzionale approccio paradossale delle sequenze e delle immagini, tanto da raggiungere alte vette di ascolto che ne hanno permesso la messa in onda anche in Italia sul canale digitale Rai4.

Un manga da scoprire quindi, senza preconcetti e con la consapevolezza che, per quanto il numero di produzioni provenienti dal sol levante sia infinito come le gocce nel mare, c’è ancora la possibilità di trovare chiazze d’acqua che brillano di un colore diverso.

Abbiamo parlato di:
Soul Eater #1-13 – Capolavori Manga
Atsushi Ohkubo
Traduzione di Simona Stanzani
Panini Comics – Planet Manga 2010-2011
184 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90€ cada

1 Commento

1 Commento

  1. Lo Spazio Bianco

    27 Luglio 2011 a 11:24

    E voi, conoscete altri manga ingiustamente poco considerati e apprezzati? Quali perle nascoste si nascondono nel proliferare di nuovi titoli?

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