L’ultima Caccia di Kraven

L’ultima Caccia di Kraven

Uno degli story-arc narrativi più cupo e affascinante nella lunghissima carriera editoriale di Spider-Man. L'ultima caccia di Kraven è una pietra miliare del fumetto supereroistico.

La storia

L’Ultima Caccia di Kraven è un’avventura di Spider-Man, originariamente concepita come crossover dipanato attraverso le sue testate, che racconta l’ultimo scontro dell’arrampicamuri con un suo storico nemico, ricco di tensioni psicologiche ed argomenti disturbanti, in contrasto con la tradizionale immagine di “eroe solare” che il successo del Ragno ha sempre abbracciato. All’interno della Caccia troviamo uno Spider-Man torvo, torturato dal proprio nemico e pieno di rabbia, un’aderenza estetica pressoché totale al filone “morte e disperazione” che dominava le classifiche dell’epoca. Si era nel bel mezzo di un passaggio generazionale molto delicato: il pubblico delle vecchie storie stava crescendo, rimaneva intenzionato a leggere mensilmente i propri eroi preferiti ma contemporaneamente chiedeva tematiche più serie e mature ed eroi più tradizionali rischiavano di perdere il passo nei confronti di questa proficua moda che univa critica e pubblico.

Il Ragno di Jean Marc De Matteis, pur descrivendo aspetti del personaggio che fanno comunque parte del suo mito, li accentua così tanto da rendere questa storia più vicina a proposte editoriali specifiche per lettori maturi (come l’etichetta Vertigo della DC), ed è forse il primo e più importante utilizzo del personaggio in una chiave che non sia solo rivolta agli adolescenti. Sono presenti anche alcuni cliché tipici delle storie di questo tipo (pioggia battente, didascalie) e Mike Zeck si richiama alle ombre metropolitane insegnateci da Will Eisner, esattamente come il più famoso esponente dei supereroi hard boiled anni Ottanta, Frank Miller. Alcuni elementi della storia, tra cui la Mary Jane in logorante attesa del marito, diverranno consuetudini irrinunciabili per molti anni.

In effetti ne L‘ultima Caccia il matrimonio con MJ assume un senso che al momento della sua frettolosa creazione non riuscì a incarnare. In questa storia vediamo una delle sue rappresentazioni più efficaci e motivate: MJ è un’ancora di salvezza a cui un Peter sempre più angosciato si aggrappa, e che gli permette, a differenza di altri eroi, di non scivolare in estremizzazioni pesanti del suo lato oscuro (come successo a Daredevil, che dopo Miller fu sempre declinato solo e soltanto in una chiave) in un momento difficile in cui anche le caratteristiche da everyman di Parker vengono messe a dura prova (il suo contesto e gli amici gli sono sottratti essendo spedito nelle tenebre della terra). Mj che rimugina e attende diviene quasi la custode dei valori quotidiani di Peter. Le didascalie sincopate e i flussi di coscienza, unite a particolari scene chiave che ritornano con puntualità, danno alla storia quasi una sorta di ritmo, una musica ossessiva e cupa che la caratterizza in modo molto originale e che un inesperto Todd McFarlane tenterà di replicare in Torment.

Genesi dell’opera

“Io non ho scritto l’Ultima Caccia di Kraven”

Sul suo sito internet, nell’ambito di una riflessione su come il potere delle storie a volte sembri usare i narratori per venire alla luce e non il contrario, De Matteis stesso racconta la genesi della storia, un soggetto che prima di essere adattato per Spider-Man era stato pensato per una miniserie con Wonder Man e Il Sinistro Mietitore e riproposto successivamente anche alla DC per Batman. La testimonianza di De Matteis, oltre a chiarire gli stati d’animo e il contesto in cui si è sviluppata la saga, ci offre lo spunto per riflettere su come i processi creativi siano stimolati dal rapporto dinamico con gli editor e tutte le figure esperte solitamente “in ombra” nelle redazioni, che in un contesto produttivo seriale spesso viene trascurato, oscurato dal successo dei creativi più carismatici. Ad esempio, dagli archivi della Marvel è venuto fuori come l’idea base di Born Again fosse frutto del riadattamento di una saga abortita dello stesso Spider-Man e anche il celebre Watchmen di Alan Moore sviluppa i suoi concetti a partire dal rifiuto degli editor di fare usare allo scrittore inglese personaggi già esistenti. Questa lavorazione di idee lasciate sul tavolo e riesaminate continuamente riesce ad ad esaltare gli spunti sommersi che molti personaggi, dati per scontati a livello di caratterizzazione, possono offrire.

I personaggi

Se fermiamo per un attimo dentro la testa l’immagine mentale degli scontri tra Kraven e Spider-Man nelle classiche scazzottate ideate da Lee, Ditko e Romita Senior, nulla ci spinge a fare analogie col tabù del seppellimento o con la morte. Eppure questi personaggi nascono già come calderone di archetipi narrativi diversi, con una versatilità di registri espressivi e temi connaturata al genere supereroistico. Spider-Man poi racchiudeva ab ovo caratteristiche allucinate-horror che il background espressivo di Steve Ditko non faceva nulla per nascondere e che la successiva fase universitaria, illuminata dalle matite di Romita Senior, aveva via via rimosso nella percezione dei lettori. In quelle classiche storie lo strisciare dell’eroe che emergeva dall’ombra a terrorizzare cattivi grotteschi (nel solco della tradizione lombrosiana ispirata da Dick Tracy) conteneva già le suggestioni narrative che De Matteis, Zeck e McLeod avrebbero riesumato.

Un’altra cosa interessante nella testimonianza di De Matteis è che la scelta di Kraven come villain fu condizionata dalle sue origini russe e che ciò portò ancora di più la storia su atmosfere esistenzialiste e psicanalitiche, diretta emulazione dei grandi scrittori ottocenteschi che diedero lustro alla letteratura slava. Quando De Matteis si chiede se la scelta della nazionalità di Kraven fosse consapevole o buttata lì da Lee e Ditko per caso, non si può fare a meno di pensare alla filosofia oggettivista di Ayn Rand di cui il creatore grafico di Spider-Man era un estimatore e che influenzò alcuni dei personaggi da lui creati. Anche la Rand (come del resto Ditko stesso) era di origini slave e soleva affermare: “Chiamatelo fato o ironia, ma sono nata, tra tutti i Paesi della Terra, in quello meno adeguato per una sostenitrice dell’individualismo”.

La voce interiore del Kraven di De Matteis, tramite le tipiche didascalie brevi e drammaticamente sincopate, manifesto estetico-espressivo delle suggestioni hard boiled dei fumetti anni Ottanta e oltre, sembra imitare nelle prime pagine della storia questo tono amareggiato, da esule costretto a fuggire dalla patria a causa della difficile convivenza tra l’immagine della propria fierezza e orgoglio interiore e le trasformazioni sociali e politiche della Russia. Nulla però, nelle prime apparizioni del personaggio, lasciava presagire questo rapporto conflittuale col proprio paese d’origine, anche se fin da subito ci viene presentato come uomo la cui noia e insoddisfazione stanno alla base dell’entrata nel parco villain di Spider-Man. Il resto è frutto della cura che De Matteis ha sempre riposto nell’esigenza di scandagliare a fondo la psicologia dei personaggi, come se fosse la propria (e le analogie tra i propri stati d’animo e quelli delle storie su carta sono da lui stesso incoraggiate).

Vermin riversava invece nella storia il lavoro di De Matteis e Zeck su Capitan America, sulle cui pagine fu creato. L’inquietante e sgradevole personaggio, un vero e proprio concentrato di nevrosi psichiche, che non a caso verrà sempre utilizzato dallo scrittore in contesti di questo tipo, porta con sé l’immagine della disturbante vitalità dei roditori, vere e proprie creature di mezzo tra cimiteri e mondo dei vivi.

Sul tema del seppellimento

«Essere sepolti vivi è senza dubbio, il più terribile tra gli orrori estremi che siano mai toccati in sorte ai semplici mortali. Che sia avvenuto spesso, spessissimo, nessun essere pensante vorrà negarlo. I limiti che dividono la Vita dalla Morte sono, nella migliore delle ipotesi, vaghi e confusi. Chi può dire dove finisca l’una e cominci l’altra?
(Edgar Allan Poe, da “La sepoltura prematura”)

Gli studiosi di antropologia culturale indicano che la maturazione degli uomini in alcune società primordiali veniva preceduta da un periodo di prigionia nell’oscurità, intenzionalmente simile alla morte.

Altri studiosi, parlando della connessione tra antichi sovrani e miti che li riguardano, sostengono che i capi di stato facevano seppellire/sacrificare altri uomini, vestiti come loro, per simulare la propria morte e poi si manifestavano, a simboleggiare la propria rinascita e la perpetuazione del potere.
Un personaggio come Kraven, legato ad ambientazioni selvagge e ancestrali e che fu legato sentimentalmente a una vera e propria sacerdotessa selvaggia, Calypso, sicuramente porta con sé le credenze dei cacciatori tribali che tentavano di sconfiggere creature più forti vestendo i loro panni e sicuramente conosce i miti di crescita e rinascita tradizionalmente associati al seppellimento prematuro. In fondo, la Caccia di Kraven si svolge come un rito, le cui vere ragioni sono note solo alla follia di Kraven stesso, e questa mancanza di una spiegazione definitiva la rende deliziosamente disturbante. Ma è comunque chiaro che, in questo rito, Kraven cerca al tempo stesso di affermare la propria più grande vittoria e l’esigenza di una morte gloriosa.

Spider-Man non è solo elemento passivo e catalizzatore del rituale: la traumatica esperienza porterà alla luce tutte le contraddizioni del personaggio legate alla mancanza di accettazione della morte altrui (e quindi della propria), le stesse contraddizioni che ne originano la forza e la voglia di reagire, nel richiamarsi ai legami affettivi.

Io sono Peter Parker questa è la mia debolezza, questa è la mia forza”.

Il costante rapporto dialettico col nemico, che tenta più volte di trascinare Peter nella propria visione del mondo, ricorda il modo in cui si svolgono i canonici scontri tra Joker e Batman (prima nel The Killing Joke di Moore poi negli autori successivi).

Le ragioni del Nero: le radici espressive del Black Spider-Man

Il periodo “nero”, iniziato a partire da metà anni Ottanta, in cui Peter Parker iniziò a sfoggiare il suo costume alternativo più celebre, guarda caso ideato graficamente proprio dal Mike Zeck de L‘Ultima Caccia, è ricordato come periodo felice per atmosfere e le suggestioni narrative.
Peter/Spider-Man è stato fissato nell’immaginario da Lee e Romita, ma ci si dimentica che è stato l’oscuro Ditko e la sua claustrofobica visione della morale a creare materialmente il personaggio.   Per questo motivo la calzamaglia nera, fu uno dei cambi di costume più facilmente accettati dal pubblico, nonostante fosse uno dei più drastici in assoluto. Perché? Perché il ragno è nero. Anche se le ampie campiture di nero sono state sostituite col tempo da striature bluastre sempre più ampie, un tempo i colori del ragno erano rosso sangue mischiato a blu scuro, molto più scuro di quello impiegato da Romita, che faceva figure molto grandi e muscolose, mentre Ditko preferiva i personaggi che strisciavano (Creeper?) nell’ombra mescolandosi a essa.

Il Ragno germina nell’immaginario nero. Nera è tradizionalmente intesa la figura dell’aracnide, nera è la rogue gallery dei nemici di Parker, con le pennellate di horror che solo Ditko sapeva dare. E qual è stato il nemico più popolare in tempi più recenti? Venom, e la sua versione ultrasplatter, ossia Carnage. Nera (o forse più propriamente “suspense-thriller”, con finale amaro e moralistico, come andava di moda nelle riviste antologiche dell’epoca) è la prima storia del personaggio, nella quale vediamo come una cattiva azione porta il protagonista a confrontarsi con il più crudele dei contrappassi. E il nero venne più volte riutilizzato nelle storie in cui la pressione psicologica si faceva maggiore.

Tremenda Simmetria

«Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?»

Questi primi quattro versi, citati anche da Alan Moore in Watchmen, sono una citazione frequente e nota agli appassionati di comics. Appartengono alla poesia “The Tyger” composta da William Blake come contrappunto (simmetria, appunto) di un’altra poesia, “The Lamb”. Entrambe si propongono di mettere in relazione gli aspetti più luminosi e quelli più oscuri della creazione umana. Lo stesso Dio che crea il mite agnello ha creato le affascinanti ma inquietanti linee che formano il predatore per eccellenza.

Kraven, storpiando la “Tiger” in “Spider”, vede nel suo avversario la manifestazione concreta della Natura a cui costantemente ha tentato di opporre la ragione. Mentre il Rorscharch di Moore sceglie di risolvere il confronto buio-luce rendendole due realtà coesistenti che però non si mescolano mai, Kraven è convinto che per sconfiggere l’agghiacciante simmetria deve lasciarsi sedurre e farsi assimilare da ciò che teme. Ci riesce, ma risolvendo una volta per tutte le contraddizioni che lo ossessionavano perde anche la voglia di vivere ulteriormente.

Il sequel

Le polemiche seguite a questa rappresentazione del suicidio come liberazione furono inevitabili come la banalità. Per quanto le convinzioni del lettore possano sicuramente risultare scosse nel vedere un Kraven appagato dal suicidio, non bisogna perdere di vista le coordinate della storia: non viene presentata una tesi pro-suicidio, ma semplicemente un personaggio e la sua dimensione tragica, in cui purtroppo convive al tempo stesso l’esigenza di vivere in preda a delle ossessioni e l’esigenza di superarle. Così come Edipo non nasce per suggerire l’incesto e Romeo e Giulietta non sono stati scritti con lo scopo di esaltare il suicidio amoroso, partecipare al dramma umano di Kraven è del tutto indipendente dall’abbracciare la sua deviata (e mai presentata diversamente) filosofia. Tuttavia De Matteis e Zeck si sono sentiti in dovere di chiarire il proprio punto di vista sul suicidio, a causa delle polemiche seguite alla storia, nell’one-shot L’anima del Cacciatore, in cui la stessa anima di Kraven chiarisce il proprio suicidio come gesto estremo e chiede a Peter, in virtù del particolare legame stretto tra i due nella storia precedente, di aiutarlo a trovare pace e raggiungere il Paradiso.

Questo sviluppo narrativo è puramente funzionale alla rassicurazione del lettore, rappresentando una puntualizzazione inutile sul suicidio di Kraven, introducendo temi estranei all’opera (la salvezza, la vita dopo la morte) trattati in modo troppo breve per rendere questa storia indipendente dalla fonte a cui si appoggia. L’unica cosa ben riuscita è l’ambientazione quotidiana del funerale della mamma di Hockberg a inizio storia, che richiama, in veste più malinconica, lo stesso scenario in cui si svolge la Caccia, ossia il mondo di un supereroe urbano in grado di rappresentare sogni e paure dell’uomo medio.

Sullo stesso argomento abbiamo intervistato l’inchiostratore degli albi Bob McLeod.

SM50: Intervista a Bob McLeod

Interview with Bob McLeod

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