Rileggendo Sandman: Le Eumenidi

Rileggendo Sandman: Le Eumenidi

Ne Le Eumenidi, Neil Gaiman raccoglie tutte le trame fin qui intrecciate nella saga e le porta a compimento. Un arco narrativo dalla cadenza inesorabile e impreziosito dal tratto di Marc Hempel, forse il più affascinante di tutta la saga.

Tanti anni fa, per ricambiare la disponibilità di un amico, che mi aveva prestato alcuni dei suoi fumetti e che era curioso delle mie letture, gli prestai Le Eumenidi. Con mia grande sorpresa, tanto ingenuo può essere infatti l’appassionato, l’amico mi restituì il volume senza nemmeno averlo terminato. “Non fa per me”, spiegò.

La copertine de Le Eumenidi.

Non credo fosse tanto un problema di genere, scrittura o disegno. Certo, tutto poteva aver contribuito.
Il fatto è che, tra tutti, Le Eumenidi è sicuramente il volume da non prestare per introdurre qualcuno a Sandman1.
Bene, chi non abbia letto Le Eumenidi, eviti anche questo articolo.

Le Eumenidi raccontano il congedo di Sogno.
Lungo tutta la saga, Morfeo ha cercato un nuovo senso alla propria esistenza
; un senso che rispondesse allo stravolgimento, conseguente alla sua prigionia, al suo sentire l’Universo, il proprio ruolo e se stesso.
In questo arco narrativo, scopriamo che Re del Sogno ha alla fine fallito l’impresa
. Dalla prigione di Burgess si liberò grazie ad un errore dei carcerieri. Gli bastò attendere perché i mortali, prima o poi, sbagliano. Da allora ha dovuto confrontarsi con quella Norma, che spesso invoca e di cui continua a ripetere la necessità. Si è addirittura affidato a lei per definire la propria identità e salvarsi dalla deriva melanconica contro la quale lo mise in guardia Death. In questi anni ha cambiato la propria visione di sé, del proprio Potere, del proprio rapporto con i viventi. Ha cambiato il proprio essere padre, dismettendo il rancore verso il figlio Orfeo e riconciliandosi con lui nell’atto di pietà più estremo.
A questo punto gli serve un nuovo senso. E il nodo critico è che, per creare un nuovo senso, questo nuovo Morfeo dovrebbe rompere con la Norma attuale e crearne una nuova. O almeno porsi in modo critico nei suoi confronti e nei confronti del mondo che quella definisce. E modificare la Norma. È questo il passo che il Principe delle Storie non riesce a compiere.
Il problema è che in quel vecchio mondo che non riesce a cambiare, Morfeo non ha più un posto. Per questo decide di andarsene.

C’è una scena, che è il cuore dolente di questo arco e costringe a ripensare a tutta la saga.
Sogno e Death sono su un picco roccioso ai confini del Sogno. La sorella ha appena zittito le Eumenidi, lì giunte dopo aver distrutto con meticolosità meccanica (e astio ottuso e petulanza) il Regno del Sogno. Death cerca di capire il fratello. Gli è sempre stata vicina, ha sempre cercato di aiutarlo: fu lei a spingerlo a conoscere i viventi, a rinunciare al suo disprezzo nei loro confronti2. Fu lei a smuoverlo dall’incipiente depressione che rischiò di sommergerlo dopo la riconquista del suo Regno3. Ed è lei che gli è accanto in questo momento estremo. La simmetria fra questi due incontri è lampante e richiamata da Sogno stesso (a tal proposito, si può notare che Death cita in entrambi gli incontri alla Mary Poppins: nel primo ricorda esplicitamente il film, nel secondo si presenta con un ombrello come la magica tata) e chissà se anche stavolta Death crede di poter salvare il fratello. Gli indica una possibile via di salvezza: fuggire di mondo in mondo. Già Nuala gliel’aveva proposta, senza successo. Sogno tenta di spiegare.

Sogno: “Non ha niente a che fare con Nuala. Riguarda solo me. Da quando uccisi mio figlio… il Sogno non è più stato lo stesso… o forse io non sono più lo stesso. Ho ancora i miei doveri… Ma anche la libertà del Sogno può essere una gabbia, di un tipo particolare, sorella mia.
Death: “Distruzione semplicemente se ne andò, prese il suo sigillo, disse che non era più responsabile del Regno della Distruzione, che non era più affar suo, e sparì per sempre. Tu avresti potuto fare lo stesso.
Sogno: “No, io non potevo.
Death: “No, tu non potevi, vero?4

Sogno sfrutta quella che Lucifero, parlando con Delirio, chiama “la libertà estrema, la libertà di lasciare”: sceglie di ritirarsi dal gioco, ma seguendo il proprio stile.

 

“You can be me when I’m gone”

Da quando uccisi mio figlio… il Sogno non è più stato lo stesso… o forse io non sono più lo stesso.”

Suona così strano. Così eccessivo. Nessuna resipiscenza traspariva in lui, quando decise di incontrare il figlio, per averne notizie di Distruzione5. Orfeo sembrava francamente un pensiero mantenuto ai limiti della consapevolezza. Da quando Orfeo è divenuto così importante? Soprattutto: è questo che intendono le parole di Sogno?

Per cercare indizi, dobbiamo ripensare a tutta la saga, e nel far questo ci rendiamo conto, innanzitutto, che di Sogno sappiamo veramente poco. E gran parte di quel che sappiamo lo sappiamo per accenni, allusioni e intuizioni. In decine e decine di appuntamenti mensili, abbiamo incontrato personaggi particolarissimi, fantastici, ricchi, ben caratterizzati; eppure il protagonista è ancora sfuggente. Sappiamo che aveva abbandonato Orfeo al suo destino su una piccola spiaggia greca, lo aveva trattato con disprezzo e lo aveva lasciato lì, senza rispondere alle sue grida che imploravano pietà, senza voltarsi indietro6. Lo aveva recuperato nella Francia rivoluzionaria, con l’aiuto di Lady Constantine7. Si era in qualche modo rappacificato con Calliope (“Ho imparato molto negli ultimi tempi8. E finalmente aveva concesso al figlio il riposo della morte. Proprio con questo atto di pietà aveva creato le condizioni per la propria fine. E Sogno, lui così legato alle regole, certo era consapevole delle conseguenze. E, nonostante questo, dona la morte al figlio. Mette cioè a rischio la propria vita per amore del figlio.

Ma siamo sicuri che sia questo (da solo) il punto critico? Più probabilmente, il vero punto critico è che Morfeo ha fatto una cosa giusta (aiutare il figlio a morire) che viola una Norma (non uccidere un consanguineo). È questa dissonanza che sconvolge Morfeo: il Sogno non può più essere lo stesso, perché Morfeo ha appena dimostrato falso il principio fondamentale del proprio agire, il principio su cui si fonda il Regno del Sogno: la coincidenza fra Norma e Giustizia. Orfeo aveva gridato questa dissonanza nella sua disperazione: la morte di Euridice rientrava nella Norma, ma non poteva essere giusta. Perché loro si amavano e sentivano di aver diritto ad una vita insieme. Per questo si era messo in gioco: per avere giustizia a dispetto della Norma. E si era procurato una possibilità.
Se Orfeo era mosso dal proprio amore (quindi, come sostenne Sogno, dal proprio egocentrismo), Morfeo è stato mosso dalla pietà e il suo atto d’amore è certo tutto meno che egocentrico. Nel suo caso non c’è spazio di mediazione: o è sbagliata la Norma o è sbagliato il senso di Giustizia in cui crede. L’armonia è rotta in maniera irreversibile: è per questo che il Sogno non può più essere lo stesso. E che cosa può fare Sogno? Deve rinunciare a cambiare uno dei due termini, o il suo rispetto della Norma o la sua idea di Giustizia. E, per sua natura, non si tratta di un cambiamento di facciata, un cambio della politica amministrativa del Regno. Deve modificare il proprio spirito. Tuttavia, cambiare il proprio rapporto con la Norma implica tentare di cambiarla (le Eumenidi sono un meccanismo automatico e ottuso della Norma: dovrebbe intanto lottare contro di loro); cambiare il suo senso di Giustizia significa rinnegare tutti i cambiamenti vissuti, perché è in forza di quelli che Sogno ha promosso la compassione fra i principi fondanti del suo Regno. Ora, infatti, il Regno si regge proprio sulla tensione dinamica fra questi due principi.

Ebbene: Sogno non esce dall’impasse. Rileggiamo ancora quanto Calliope aveva detto al figlio: “Ho pensato di poterlo cambiare. Ma lui non cambia. Non cambierà. Forse non può9. E questa è la sua sconfitta10.

Dal punto di vista, per così dire, tattico, Sogno potrebbe sconfiggere le Eumenidi, semplicemente non vuole combattere. Questo intende Death, quando dice al fratello: “In passato, ti sei trovato in situazioni ben peggiori di questa, e sei tornato indietro11.” E questo intende Sogno quando dice, citando (involontariamente?) Lucifero: “Sono stanco, sorella mia. Sono molto stanco12.
Morfeo ha ridefinito i princìpi del suo Regno ma non ha la forza di combattere per essi. Resta parte del vecchio mondo, un mondo dove però non ha più un posto che senta suo. Qualcun altro dovrà farsi carico di risolvere la tensione fra Norma, Giustizia e Pietà. Quel qualcuno sarà Sogno, quando Morfeo se ne sarà andato. Questo è il compito che attende Daniel. Per questo Daniel è Bianco: perché è figlio del nuovo mondo che Morfeo ha definito (vale la pena ricordare che nella tragedia omonima di Eschilo viene invece raggiunto un accordo, quindi un nuovo equilibrio; le Eumenidi rinunciano a uccidere Oreste, il quale ha ucciso la madre Clitennestra, e in cambio ottengono la possibilità di avere un culto pubblico).

 

Progetti a lunga scadenza?

Un’altra osservazione di Death pone invece alcuni problemi: “Hai fatto [preparativi] per un’eternità. Semplicemente facevi in modo da ignorare che cosa stavi facendo.” La replica di Sogno è decisa: “Non ho pianificato questo, sorella mia13.
Lo sbotto di Death sembra dettato più da una comprensibile esasperazione che da una qualche evidenza rintracciabile nel testo. Eppure c’è effettivamente un episodio al quale possiamo appendere il sospetto di Death. Torniamo indietro, a Casa di Bambola. Quando Morfeo distrugge la cupola del Sogno creata da Blob e Brute, riporta Hector e Hippolyta Hall nel normale flusso temporale. Le dirette conseguenze sono la sparizione di Hector, in effetti morto da due anni e tenuto in uno stato aberrante di vita/non vita, e la possibilità per Lyta di portare a termine la propria gravidanza. Mentre lei è ancora sommersa dallo shock emotivo della perdita del marito, Sogno la avverte (e il tono è tutt’altro che capace di recar conforto): “Abbi cura del bambino. Un giorno verrò per esso.”14. Che cosa intendeva Morfeo? Aveva già allora un piano per il quale gli serviva un erede al trono? Oppure l’evoluzione effettivamente eccezionale della gestazione di Daniel faceva sì che il ragazzo avesse un legame intrinseco con il Sogno, che quindi lo rendeva oggetto di particolare (necessaria? doverosa?) attenzione e cura da parte di Morfeo? In questo senso, è possibile che l’esistenza di Daniel abbia semplicemente reso più semplice la decisione di Sogno di abbandonare il Regno? Avrebbe aspettato per l’eternità (“for ages”, dice Death) una simile occasione? Ma quali sarebbero le sue motivazioni antiche? Non abbiamo indizi al riguardo. E la spiegazione più semplice rimane quella esposta: Sogno, spinto dalla pietà, ha accettato di far morire Orfeo. Questo atto lo ha messo contro la Norma. E non ha trovato la forza di volontà per affrontare la lotta.

Dal punto di vista della costruzione della vicenda, si può tutt’al più segnalare una certa forzatura nella catena degli eventi, almeno per ciò che riguarda Daniel. Potremmo allora fare l’esercizio mentale di immaginare che cosa sarebbe potuto succedere, se Daniel non ci fosse stato. Ma non ci servirebbe a capire meglio trama e personaggi. Non più di quanto ci servirebbe immaginare Lear che non disereda Cornelia.

 

Un racconto di luce e ombra

Le Eumenidi ha una cadenza lenta, il passo ineluttabile di una marcia funebre. Ed è un perfetto esempio del gusto di Gaiman per l’anticlimax. Nei tredici capitoli di quest’arco accadono sconvolgimenti e catastrofi, tragedie, stragi e drammi psicologici. La vicenda procede senza strappi, senza repentine accelerazioni. Ci sono molti colpi di scena, molte rivelazioni, ma ciò che permea queste pagine è il senso di ineluttabilità. Ciò che sostiene la lettura, alla fine sembra essere proprio l’ansia della conferma di ciò che temiamo accada. E che in genere accade.

Progettato per la sua pubblicazione in volume, suscitò fra i fan più di una perplessità15 proprio per il ritmo della vicenda.
Scontando anche il prologo16, i primi tre capitoli sono una sorta di allestimento, dislocazione di tutti gli elementi di un motore che, una volta messo in moto con il rapimento di Daniel, avanzerà irresistibilmente. Con un’accelerazione lenta, seguendo il peregrinare sbilenco e stordito di Lyta Hall fra i piani di esistenza, e quello di Morfeo fuori e dentro il Regno, che porterà alla resa di Sogno.
E in questo peregrinare ci imbattiamo in frammenti che vengono da tutta la saga: ritroviamo personaggi e scene che instaurano una intensa tensione narrativa che, vedendo l’opera nel suo insieme, si rivela costituirne le nervature portanti. Ritroviamo innanzitutto Lucifero, che spiega a Delirio ciò che non era riuscito a far comprendere a Sogno: chiunque ha sempre la libertà di ritirarsi dal gioco. Sogno ascoltò forse senza capire, quando Stella del Mattino gli spiegò la propria decisione di abbandonare l’Inferno.
Ma ora sappiamo che quelle parole, certo rafforzate da quelle di Distruzione, hanno scavato in profondità nel suo spirito e hanno raggiunto il suo cuore, perché sono le stesse che dice a Death. E troviamo il nuovo Corinzio, ritroviamo il gentile Gilbert: è un finale a cui veramente partecipa tutto il mondo di Sandman. E rivediamo quella stessa immagine di Sogno che, bardato delle insegne del suo potere, esce dal castello: ne La Stagione delle Nebbie si recava all’Inferno; adesso va ai confini del Regno, incontro alle Eumenidi. E recita quella che è senza dubbio una sintesi perfetta della sua visione del mondo:

Regole e responsabilità: questi sono i legami che ci vincolano. Facciamo ciò che facciamo a causa di chi siamo. Se facessimo altrimenti, non saremmo noi stessi. Farò ciò che è da farsi. Farò ciò che devo.”17.

Ad illustrare questo, che è il più lungo degli archi narrativi della saga, fu chiamato Marc Hempel18 e il suo stile fatto di corpi quasi disincarnati, contrasti violenti di luce ed ombra, dona alla storia il fascino inquietante di una narrazione su vetrate gotiche. Teddy Kristiansen è inoltre efficacissimo nel suo episodio di fill-in (Le Eumenidi #8); per contrasto, le pagine illustrate da Shawn McManus mettono ulteriormente in risalto lo stile degli altri disegnatori, contribuendo a realizzare quello che è sicuramente il più particolare degli archi narrativi (dal punto di vista della resa grafica, il mio preferito).

 

Retrogusti

L’atmosfera dominante de Le Eumenidi è certo cupa, eppure in questo arco trovano posto scene dal singolare gusto grottesco, definite da un contenuto tragico e una costruzione tipica del comico. Si veda ad esempio la morte di Mervyn, al termine di una disperata e velleitaria resistenza contro le Eumenidi.
La perfezione con cui queste strane scene si incastonano nella trama dimostra certamente il particolare talento di Gaiman nel fornire un punto di vista inaspettato su personaggi e azione, che riesce a valorizzare ogni singolo momento della narrazione e ogni singolo personaggio. Non si tratta di una semplice (per quanto fondamentale) ricerca di equilibrio o insinuazione di un qualche distacco non compromissorio (ironico, autoironico, pseudo postmoderno/decostruzionista) rispetto al racconto, simile a quello di un dottor Cottard qualsiasi che accompagni ogni frase con un ammiccamento che indichi a tutti che lui per primo non crede fino in fondo alla serietà di quanto sta dicendo.
È piuttosto l’ambizione di riprodurre la ricchezza emotiva della realtà, di quei momenti particolari dove tragico e comico convivono e ci lasciano interdetti, come di fronte ad una dissonanza, che non siamo in grado di spiegare e che alla fine è tuttavia lo spiraglio attraverso il quale scorgiamo l’assurdità o il senso di quello che accade. Come nel caso di Mervyn. Lui agisce in piena coerenza con il proprio stile: un gradasso dal cuore d’oro che non esita a mettere in gioco la propria vita. È la versione speculare della famosa scena di Indiana Jones che fredda l’esperto di arti marziali con un secco colpo di pistola (in effetti è una scena tipica anche di molti film con Bud Spencer e Terence Hill; è insomma un topos comico a tutti gli effetti). Ma la cosa notevole è che qui non si ride. Si scopre la verità. L’animo è spiazzato, sbilanciato, e nel suo movimento per recuperare l’equilibrio, strappa il velo della Norma e ne rivela tutta la contingenza (qui intesa come opposto di necessità: la Norma, cioè, è solo una delle Norme possibili), sul cui sfondo si agita e affanna la profonda e irrimediabile ottusità delle Eumenidi.

Abbiamo parlato di:
Le Eumenidi
Neil Gaiman, Mark Hempel, Teddy Kristiansen, D’Israeli, Glyn Dillon, Charles Vess, Dean Ormston, Kevin Nowland, Daniel Vozzo, Dave McKean
Traduzione di Alessandra Di Luzio
Magic Press, 1996
352 pagine, colori, brossurato


  1. Dopo varie letture della saga, io consiglio di seguire l’ordine di pubblicazione, chiedendo pazienza per Preludi e Notturni. Si potrebbe partire da Casa di Bambola e leggere Preludi e Notturni dopo, ma così facendo si perderebbe molto del fascino e della forza de Il suono delle sue ali. Be’, vale la pena avere un po’ di pazienza per gustarselo 

  2. Cfr. Casa di Bambola #4: Men of Good Fortune

  3. Cfr. Preludi e Notturni #8: Il Suono delle Sue Ali. 

  4. Cfr. Le Eumenidi #13, p. 6. 

  5. Cfr. Brevi Vite. 

  6. Cfr. Favole e Riflessi: La Canzone di Orfeo. 

  7. Cfr. Favole e Riflessi: Termidoro. 

  8. Cfr. Dream Country #1: Calliope. 

  9. Cfr. Favole e Riflessi: La Canzone di Orfeo, p. 41. 

  10. Nel suo saggio sulle Eumenidi, K.A. Laity utilizza un approccio totalmente diverso: il suo obiettivo è dimostrare la presenza dominante in Sandman di varie tematiche maschiliste, tipiche della letteratura scritta da autori maschi per un mercato a dominante componente maschile. L’idea centrale è che Morfeo vuole morire e manipola tutti (in particolare i personaggi femminili) per conseguire il suo scopo. Il saggio è scritto con abilità, ma sostanzialmente non si cura delle motivazioni del personaggio e in generale del contenuto dell’opera. Fra l’altro, propone forse più citazioni dal suo testo critico di riferimento (Hélène Cixous, Three Steps on the Ladder of Writing) che da Sandman. 

  11. L’originale usa l’espressione “yoùve been down”, che potrebbe leggersi anche come “sei stato depresso”, con evidente allusione all’equilibrio spirituale di Sogno, più importante di qualsiasi altro elemento. 

  12. Le Eumenidi, #13, p. 2. 

  13. Cfr. Le Eumenidi #13, p. 6. 

  14. L’originale recita: “One day I will come for it.” Si noti “it” e non “him”, a dimostrazione di quanto cammino Sogno dovesse ancora intraprendere per raggiungere una ragionevole empatia con i viventi (cfr. Casa di Bambola #3, p. 23). 

  15. Lo sostiene lo stesso Gaiman in Hy Bender: Sandman Companion, p. 190, Vertigo, 1999. 

  16. Apparso fuori dalla testata regolare in Vertigo Jam #1. 

  17. Sogno dichiara esplicitamente di seguire vincoli oggettivi (nell’originale, “what I have to do”) e soggettivi (nell’originale, “what I must do”). Cfr. Le Eumenidi #11, pp. 23-24. 

  18. Pare che la prima scelta fosse in effetti Mike Mignola, al tempo indisponibile; cfr. Joseph McCabe: Hanging Out with the Dream King, p. 151, Fantagraphics Books, 2004. 

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