Ricordi di Adriano Carnevali

Ricordi di Adriano Carnevali

Le avventure dei Ronfi, cariche di un'ironia mai buonista o banale, nascono dai continui guai che queste disastrose bestiole combinano. L’idea di dedicare una mostra ai Ronfi nasce dalla convinzione che le loro storie, che hanno appassionato diverse generazioni di giovani lettori, abbiano un potenziale narrativo e pedagogico estremamente attuale.

Il mio primo incontro con Adriano Carnevali è stato sulle pagine del “Corriere dei ragazzi” con le storie de “Il drago e il cavaliere”, seguite poi da quelle della “Contea di Colbrino” e poi dell’”Astuto Ulisse”.
È vero che nelle stesse pagine c’erano autori oggi più noti e acclamati: Mino Milani, sopra tutti, scrittore eccelso non solo a fumetti; Aldo Di Gennaro, che disegnava “Il Maestro”, perfetto cocktail di thriller e fantastico; la straordinaria Grazia Nidasio con “Valentina Mela Verde”; “Gli Aristocratici” di Alfredo Castelli e Ferdinando Tacconi, lo “Zoo pazzo” di Mario Gomboli e Massimo Mattioli, e la rubrica “Sottosopra” di Tiziano Sclavi le cui battute avrei ritrovato prima sulla rivista “Pilot” e poi nei balloon di Groucho in “Dylan Dog”.
La serie che però mi faceva più ridere e della quale io e mio fratello (più grande e destinatario dell’abbonamento del CdR) citavamo le battute a memoria erano la “Contea di Colbrino”: ne inseguivamo le storie anche sul “Diario del Corriere dei Ragazzi 1975-1976” – cito solo dalla copertina “Le donne, i cavalier, l’arme, i fumetti”: un manifesto programmatico – o negli interstizi delle rubriche della pagine del periodico dove comunque potevamo “accontentarci” di una striscia di Ulisse o dei Romani di “SPQR”, altra serie di Carnevali, o dei due topini che agivano in secondo piano rispetto ai personaggi principali in un controcanto narrativo che oggi definiremmo “metafumettistico”, ma che ieri era semplicemente “normale”, in anticipo su altri autori geniali oggi un po’ dimenticati come Daniele Panebarco e il francese Regis Franc.

Tra i tanti ricordi di lettore, uno è legato proprio alla lettura di quelle storie in cui si mescolavano i generi, le battute sgorgavano copiose e generose, quasi che l’autore si preoccupasse che non ce ne fossero mai abbastanza per rendere ancora più divertente ogni striscia. Carnevali non si preoccupava nemmeno di spaventare i lettori con le tante citazioni “colte” che disseminava nelle sue storie, le quali non erano ovviamente percepite dai lettori dell’epoca e che avrebbero svelato il “trucco” anche anni dopo, quando quelle frasi e quelle citazioni sarebbero state rivelate dagli studi o da letture successive: a quel punto riesplodeva il ricordo delle storie e delle battute dei personaggi di Colbrino o di Ulisse, e insieme anche le risate.
È questa una caratteristica degli autori popolari italiani ben descritta da Antonio Faeti in un articolo su “Ken Parker” nella rivista “Orient Express”:

“solo un atteggiamento colto può far nascere un fumetto popolare”

Tutte le storie di Carnevali – al pari di quelle di Romano Scarpa, G.B carpi, Luciano Bottaro, Guido Martina, Gino D’Antonio, G. L. e Sergio Bonelli e tanti altri grandi del fumetto che non citiamo per motivi di spazio ­– nascono da questo atteggiamento autoriale nell’impostazione e umile nella realizzazione, perché rispettoso del lettore nella consapevolezza di intrattenerlo con intelligenza e ironia.

Chiuso il CdR, Carnevali non si perde d’animo: collabora a varie testate del settore, ne apre e ne gestisce altre, collabora anche a trasmissioni radiotelevisive. Non dimentica il fumetto, e nel 1981 pubblica “i Ronfi” sul “Corriere dei Piccoli”, una specie di animali parlanti a metà tra uno scoiattolo e un castoro che vivono avventure divertenti in un bosco un po’ magico. Abbassi la mano chi sta per dire la parola “Puffi”: i personaggi di Peyo sono nati nel 1958, e di autori nel mondo ne hanno influenzati parecchi anche prima di Carnevali.
Rispetto agli Omini blu, i Ronfi hanno un carattere più saccente, pigro e presuntuoso: per dirla con le parole dello stesso Carnevali, sono dei “disadattati della Natura”.
Rispetto alle strisce del CdR, manca però quella base narrativa data dalla Storia (il Rinascimento ne “La contea di Colbrino”, la storia romana in “SPQR”) e dall’epica (“L’astuto Ulisse”) che faceva da amplificatore delle acrobazie narrative dell’autore e rendeva queste storie divertenti anche da un pubblico più adulto.
Ultimo, ma non minore, i Ronfi non hanno avuto quella fortuna editoriale che avrebbero meritato grazie a una presunta industria editoriale che privilegia l’emulazione e non la proposizione, e quindi i Ronfi, di là delle riviste di Fiesta edizioni (l’ultima è “Giocolandia”) e due libri (per Mursia nel 1985 e per Struwwelpeter nel 2010), non sono oggi recuperabili in libreria.
Al solito resta il rimpianto che queste storie non abbiano mai trovato un’adeguata dimora editoriale in libreria e oggi siano reperibili solo grazie a dei benemeriti che scansionano e condividono le pagine del CdR in rete, ma chissà: teniamo d’occhio gli scaffali, magari i Ronfi sono già lì.

 

1 Commento

1 Commento

  1. Adriano Carnevali

    25 Febbraio 2012 a 10:33

    Caro Sergio (possiamo darci del tu?),la tua appassionata analisi delle mie produzioni fumettistiche mi ha molto colpito (e lusingato all’inverosimile!). Tu hai colto e spiegato con ammirevole chiarezza proprio quello che con le mie storielle ho sempre cercato (e sperato) di comunicare. Adesso l’unico rischio che corro, dopo tante lodi, è di cominciare a tirarmela troppo… Mi piacerebbe scambiare qualche opinione con te, per mail o, meglio ancora, se possibile, di persona. Superfluo dire che se sarai a Bologna un incontro e un abbraccio saranno d’obbligo. Grazie e un caro saluto corale anche da tutto il popolo di Colbrino e del bosco dei Ronfi! Adriano

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *