Tra reportage e autobiografia: “Ritorno in Kosovo” di González e Jakupi

Tra reportage e autobiografia: “Ritorno in Kosovo” di González e Jakupi

Jorge González illustra le memorie di Gani Jakupi, fumettista e compositore kosovaro, in un’opera di graphic journalism intensa e toccante: un reportage di guerra e allo stesso tempo un ritorno a casa.

Cover_lowIl primo impatto con questo fumetto è cupo e possente: pagine corpose, nelle tonalità del nero e del rosso. Con queste tavole Jorge González afferra e trascina il lettore nelle notti di chi, lontano da casa, sente la propria patria e la propria famiglia agonizzare.

È solo un incubo quello del protagonista e voce narrante Gani Jakupi, che alla fine del breve prologo riemerge dal sogno accompagnando il lettore nel primo capitolo dal titolo eloquente, Guerra a distanza, attraverso un’alba dai colori pastello e dalle tonalità fredde.

La guerra del titolo, che riempie gli incubi e di cui si raccontano i postumi, è la guerra del Kosovo, l’ultima delle guerre dei Balcani, un conflitto protrattosi dal 1996 al 1999 e nato dalla dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia.

 rossoIntroduzione, autori e topic

Con Ritorno in Kosovo il fumettista argentino Jorge González torna a pubblicare con 001 Edizioni dopo il successo di Fueye (Premio internazionale per il romanzo grafico FNAC-Sinsentido e Premio Junceda Iberia) e Cara Patagonia, stavolta lontano dal Sud America, nel cuore della Penisola balcanica, lavorando sulle memorie di Gani Jakupi.

Jakupi è un compositore, un fumettista e un giornalista kosovaro di etnia albanese e, all’epoca dei conflitti che sconvolsero la Penisola balcanica, si trovava lontano già da molti anni, in un esilio volontario che l’aveva portato prima in Francia e poi Spagna. All’indomani della “conclusione” della guerra, Jakupi ebbe la possibilità di tornare in Kosovo in qualità di giornalista, per realizzare un reportage assieme ad un fotografo. Ritorno in Kosovo è dunque la storia del suo ritorno a casa.
A distanza di 15 anni da quei fatti, Jakupi ha realizzato nel 2012 il graphic novel La dernière image, nominato per il premio di Medici senza Frontiere assegnato ai migliori reportage.

Ritorno in Kosovo del 2014 è invece un’opera grafica di González, il cui contributo (un lavoro principalmente illustrativo) dona nuova linfa e nuove chiavi di lettura alle parole dell’autore kosovaro.

Ma come raccontare per immagini le terribili contraddizioni di una guerra? E se si pensa che, ad oggi, le ambiguità e i dubbi relativi a questa guerra, sono lungi dall’essere chiarificati, la scelta di González risulta particolarmente impegnativa, e profondamente coraggiosa.
L’artista argentino non è nuovo alla complessità di un racconto che è allo stesso tempo corale e personale, egli infatti predilige narrazioni in cui più livelli di lettura si accavallano, in cui la Storia di un popolo si intreccia al vissuto privato e intimo degli uomini, ma stavolta gli elementi in gioco sono molteplici e volutamente sfuggenti.

 

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Composizione

Come abbiamo già detto, il volume si apre con gli incubi di Jakupi, lontano dal Kosovo e inquieto. Del prologo, poche righe riassumono ciò che bisogna sapere e ricordare per entrare in queste memorie:

Chi avrà condiviso la sua agonia così generosamente come questa Jugoslavia che non cessa di morire? Un tempo fonte di fierezza, oggi ogni speranza giace nel suo dissolvimento.
Questa Jugoslavia che non sa di essere morta nell’assedio di Sarajevo, nel massacro di Srebrenica, nella barbarie di Vukovar! Tutto ciò in cui ho creduto nella mia intera esistenza se n’è andato in sangue e in fumo.

Il mito di una Jugoslavia unita è affogato nel “sangue” e nel “fumo” e ora non nuove e radicalizzate rivendicazioni indipendentiste hanno portato allo scoppio della guerra anche in Kosovo, provincia autonoma della Serbia a maggioranza etnica albanese.

La situazione geopolitica della zona balcanica al momento dello scioglimento definitivo dell’ex Jugoslavia è introdotta in maniera molto sintetica nel primo capitolo, ma viene più che altro filtrata dall’amara ironia verso l’atteggiamento ambiguo dell’Occidente e, soprattutto, verso il potere deformante dei media. La simpatia dell’Europa per i separatisti albanesi dell’UÇK, ad esempio, è mostrata in tutta la sua superficialità dall’immagine dei giornalisti scossi dalla nascente Resistenza albanese kosovara, che a loro ricorda quella dei repubblicani spagnoli.

Ma anche i talk show, le interviste, le telecamere puntate – in un continuo cambio di prospettiva (chi le vittime, chi i carnefici?) ancora una volta superficiale, e seguendo un’onda di sensazionalismo – mostrano chiaramente al lettore la ragione per cui la guerra del Kosovo sia stata anche considerata la prima “guerra mediatica” della storia, quella in cui una foltissima schiera di intellettuali ha prestato la sua opinione infondata e retorica alle ragioni belliche1.

ritornoalkosovo2Con il secondo capitolo e con l’arrivo in Kosovo si entra nel cuore della narrazione: la strada, d’ora in poi, non è che in salita. Un nostos al rovescio, in cui resoconto di guerra, reportage giornalistico e racconto autobiografico si susseguono senza soluzione di continuità.

Questo nucleo centrale è costituito dal percorso sul territorio del Kosovo di Jakupi, il quale, da giornalista, si muove nel tentativo di effettuare una ricostruzione storica. Si tratta di uno scavo che mira a trovare la verità e l’umanità in quello che rimane di una guerra, un insieme a volte troppo denso di avvenimenti, informazioni (che presuppongono e invitano a un ulteriore e continuo approfondimento) ed emozioni di prima mano.
Attraverso la cronaca, le interviste ai personaggi incontrati nel cammino e le conseguenti osservazioni personali, l’autore evidenzia de facto come la storia raccontata dai media, a confronto con la storia degli uomini, diviene ambigua, contorta, vuota.
All’indomani dell’intervento delle Nazioni Unite e del cessate il fuoco, infatti, la risoluzione definitiva del conflitto si rivela solo apparente e lascia più ombre che luci. Tra queste, le ombre più cupe si proiettano sulle relazioni tra albanesi e serbi.

Sopravvissuti alla guerra, Jakupi e González lavorano insieme evidenziando le diverse sfaccettature del conflitto interetnico, nato dalla tensione che lo aveva preceduto.

Principalmente, i due autori ritraggono lo spaesamento e la paura dei rifugiati di etnia albanese che ritornano e l’ambivalenza dell’atteggiamento di chi, rimasto, ora con violenza e aggressività, ora con forza d’animo e inventiva, ricostruisce una vita dalle maceria. E ancora, raccontano dei cittadini di etnia non albanese (soprattutto serbi, ma anche montenegrini e gitani), prima “oppressori” e adesso costretti a vivere o a fuggire nella paura di rappresaglie, e dicono di una militarizzazione NATO ovunque diffusa, ma paradossalmente rassicurante dopo anni in cui “polizia” era stato sinonimo di terrore.

Il tema della catarsi, ragione primaria della realizzazione di queste memorie, grazie alle quali Jakupi intende riconquistare il proprio diritto a mettere da parte il dolore e riscattarsi, è un’importate chiave di lettura dell’opera, sia in quanto racconto che in quanto reportage. Sul finale infatti, ritroviamo un Kosovo ricco di speranza e di cui finalmente riusciamo ad assaporare una reale rinascita, simboleggiata dal volto sereno del figlio di Jakupi, ritratto nella sua prima volta a “casa” e questa possibilità, ci viene suggerito, si è concretizzata grazie lavoro dei singoli uomini e della loro voglia di ricostruire.

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Stile e narrazione

La scrittura risulta sempre tesa tra il tentativo di raccontare gli avvenimenti passati e presenti in maniera oggettiva e puntuale, e il desiderio viscerale di dare sfogo al sé, alle proprie memorie, in un flusso di coscienza intimo e personale. Ne risulta un’opera non verbosa, ma di difficile lettura: brevi riassunti degli avvenimenti succedutisi durante la guerra costringono un lettore non accuratamente informato a tornare più volte sul testo e sugli spunti disseminati nel racconto.
Caratteristica importante della narrazione è una certa nebulosità, la presenza di numerosi “vuoti” nella ricostruzione degli avvenimenti bellici.  Una possibile interpretazione di questa scelta si basa su ragioni concrete così come anche stilistiche.

I dubbi sulla reale origine del conflitto e le modalità della sua risoluzione aleggiano per tutto il corso della narrazione: oltre all’evidente questione interetnica, non va ignorato che la guerra del Kosovo è stata anche intesa come un conflitto volto a creare una nazione cuscinetto, un possibile avamposto NATO e USA in un luogo di indubbia importanza strategica e geopolitica.

ritornoalkosovo2Sulle vicende storiche e sulle loro chiavi di lettura politica si preferisce non aggiungere troppo: in luogo di un’analisi del fumetto si va incontro agli autori, ai testi di Jakupi e alle immagini di González, e lasciare che sia la lettura a far venire voglia di approfondimenti personali.

Soffermandosi sulle soluzioni visive di González, si può osservare come egli abbia operato in primis una consapevole scelta di rallentare il ritmo narrativo, dando sfogo ad un virtuosismo cromatico folgorante.
Complesse tavole riempiono quasi tutta la pagina, la suddivisione delle vignette è regolare, lo spazio bianco tra queste è estremamente ridotto. La scrittura è relegata a uno spazio limitato, non vi sono vignette, ma solo didascalie: anche per questo il format del volume è più grande, così facendo l’editore ha reso giustizia anche al testo e alle immagini.

Continuando a considerare la parte visuale, si nota che essa è preponderante, poiché spesso il racconto si riduce a poche righe, icastiche ed efficaci.  Mentre siamo fermi a riflettere sugli avvenimenti e le atrocità narrate, ci perdiamo nelle vaste campiture di colore, nelle tavole in cui un’attenzione estrema viene dedicata agli esseri umani come ai paesaggi, ai volti come ai ruderi.

La violenza e l’orrore sono quasi mai espliciti, ma l’accenno ad essi e alle loro conseguenze è costante, comunicato spesso più dalle esplosioni grafiche che dalle parole.  Il tratto è sintetico, talvolta abbozzato, raramente mimetico. Le tecniche utilizzate sono varie, dalla cera, al pastello, all’acquerello, ma è nei cromatismi che González compie le scelte più interessanti: la tavolozza è spesso in accordo con la narrazione, più cupa, nel dramma, nei ricordi della povertà, della fame e della distruzione, e più viva alla luce del giorno, nella rinascita e nella ricostruzione. Altre volte gli accostamenti cromatici irrompono in contrasti che riescono più efficacemente ad evidenziare alcuni punti della narrazione.

Conclusioni

Oltre alla difficoltà di lettura dovuta alla complessità dei temi trattati, tipica del graphic journalism, vi è una mancanza di coesione tra i capitoli e in taluni passaggi del racconto, dei vuoti creati per volontà di sintesi che rallentano ed interrompono brutalmente il naturale flusso della narrazione. Il lettore, se predisposto, può riempire questi vuoti con la dovuta riflessione, civile, umana ed anche estetica, aiutato dal supporto visivo di González, ma è facile che preferisca allontanarsi dal testo e prenderne le distanze per un po’.

Il lavoro illustrativo di Jorge González sui testi di Gani Jakupi è, in ultima analisi, efficace, mai superfluo od ornamentale, esteticamente ed emotivamente impeccabile.

Abbiamo parlato di:
Ritorno in Kosovo
Gani Jakupi, Jorge González
Traduzione di Pier Luigi Gaspa
001 Edizioni, 2015
112 pagine, cartonato, colore – € 19,90
ISBN: 978-88-99086-00-8


  1. cfr. Vittorio Giacopini, Una guerra di carta:  Il Kosovo e gli intellettuali, Milano, Eleuthera, 2000. 

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