Parole dalla “Ferriera”: intervista a Pia Valentinis

Parole dalla “Ferriera”: intervista a Pia Valentinis

Abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Pia Valentinis, circa il suo bel fumetto d’esordio Ferriera da noi recensito qualche settimana fa. 2014-03-30-CoconinoDa anni attiva come illustratrice, si cimenta per la prima volta con il fumetto raccontando, attraverso gli occhi e le storie del padre Mario, la situazione degli operai a lavoro nelle Ferriere. È stata quindi l’occasione anche di parlare della condizione degli operai e come questa venisse percepita in quegli anni.

Famosa illustratrice per bambini questo è il tuo primo approccio al fumetto. Cosa cambia nel realizzare illustrazioni per i libri per bambini rispetto al fumetto? Cosa si perde e cosa si guadagna nel passare tra l’uno e l’altro?
Lavoro per i libri per bambini e ragazzi da 23 anni. Non ho seguito scuole specifiche: ho imparato a illustrare lavorando, sbagliando e seguendo consigli e direttive degli editor (e dei grafici) che lavorano nelle case editrici. Quello che ho sempre cercato è il rispetto nei confronti del testo: in questo senso non ho mai pensato ai bambini in modo particolare. Per me è importante sapere in che punto del testo devo stare “in sottofondo” (in quel caso l’illustrazione diventa scenografia, o decorazione), quando essere didascalica, quando “rispondere”, o quando è possibile dire altro da quello che è scritto (perché nel testo è sufficientemente chiaro o poetico o intenso), pur rimanendo fedeli al senso generale. Lavorando a certi libri è stato possibile parlarne con gli editor o gli stessi scrittori e prendere decisioni assieme. Il senso del racconto è dato da queste sfumature, rimandi e sussurri che, nel caso di un albo illustrato, sono la somma di parole e immagini che assieme formano un nuovo linguaggio. I libri che preferisco sono quelli in cui né le parole né le immagini avrebbero senso, prese singolarmente.A un certo punto del mio percorso ho sentito l’urgenza di mettermi in gioco e di raccontare usando anche le parole.
Ferriera nasce anche da questa necessità.ferriera1

Quanto di quello che avevi fatto è stato utile e quanto hai dovuto imparare approcciandoti a questo nuovo mezzo?
Ho trovato difficoltà nello spezzare le azioni in diversi riquadri, mentre è stata una liberazione poter utilizzare anche i dialoghi (anche se non ce ne sono molti). In effetti, ho dovuto andare in qualche modo contro quello che mi veniva spontaneo fare (per mestiere: non disegnare qualcosa perché non la so disegnare; scegliere una scena piuttosto che un’altra perché so che mi viene meglio; ecc.), era come se non potessi più aggirare gli ostacoli scoprendo che mi sentivo più “scoperta” e più libera.

Addentrandoci un po’ più tecnicamente, puoi parlarci della tua tecnica di disegno e quali sono i tuoi strumenti preferiti?
Preferisco lavorare in bianco e nero. Il colore mi distrae, è un problema in più. Mi interessa maggiormente concentrarmi sul disegno e sul segno. Sono diventata abbastanza veloce con il tratteggio.
Per Ferriera ho usato penne nere pilot g-tec 0.4: le punte sottili sono più sensibili ai tremolii della mano.

È abbastanza comune nel fumetto d’autore partire della biografia di persone comuni per analizzare spaccati del quotidiano con ampi risvolti sociali. Penso ad autori come Gipi o Reviati, per rimanere in casa Coconino. Da cosa è nata l’esigenza di raccontare oggi questa storia?
La spinta è stata la curiosità. Era come se mi dicessi: cosa scoprirò oggi?Poi considera che, questa storia, non sapevo se l’avrei mai finita.Ero curiosa anche di sapere “come” sarebbe finita: ho lavorato senza sceneggiatura, con una vaga scaletta mentale che si è modificata nel tempo.È stato un percorso pieno di sorprese di ogni tipo, lungo la strada ho trovato molte cose interessanti che non cercavo (ma forse questo succede sempre quando si cerca qualcosa). Si potrebbe dire che ho cercato la mia storia, più che ricordarla.

eleQuanto è stato doloroso o terapeutico elaborare una storia così profondamente autobiografica? E cosa ti ha spinta invece a pensare che questa storia potesse avere un carattere universale?
La verità è che non so se è stato terapeutico. Mentre disegnavo e scrivevo ero concentrata su altro, soprattutto cercavo di essere onesta con me stessa.

Quanto da allora è cambiato nella vita di fabbrica o nella vita da operai nella tua percezione? Il sentimento di profonda fierezza di questo lavoro è forse oggi decisamente scemato?
Credo sia importante ricordare la solidarietà, la condivisione che c’era allora. Gli operai continuavano sulla strada segnata dai loro padri e dai loro nonni, vivevano le conquiste del passato e si impegnavano a migliorare la loro condizione, guardavano lontano. Era dura, ma combattevano per costruire il loro futuro e quello dei loro figli. Ora la posizione dei lavoratori si è molto indebolita a favore di quella dei datori di lavoro. Il presente precario cambia la prospettiva, la sposta sul presente.

Programmi futuri? Pensi ancora di utilizzare il fumetto per raccontare una delle tante storie “che non puoi fare a meno” di raccontare?
Spero proprio di sì!

pia-valentinis

Intervista effettuata via mail – Maggio 2014

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