I Mutanti sul grande schermo: da X-Men a Days of future past

I Mutanti sul grande schermo: da X-Men a Days of future past

Partendo dal primo X-Men di Bryan Singer, storia e analisi di uno dei franchise cinematografici più di riusciti degli ultimi dieci anni, tra successi, addii e rilanci.

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X-Men (2000)

Dopo un timido riavvio del genere nel 1998, con l’adattamento cinematografico di Blade, il quale ricevette un ottimo successo sia di critica che di pubblico, il genere dei film tratti dai fumetti era pronto a riesplodere sul grande schermo. Dopo la debacle avuta nella metà degli anni ’90 e culminata con i film di Batman diretti dal regista Joel Schumacher, simboli ormai accertati di una decadenza totale sia in termini di casting, sia per quanto riguardava l’approccio delle sceneggiature, ormai sempre più dirette verso un pubblico adoelescenziale, se non infantile.
Nel 2000 toccò alla 20th Century Fox e al regista Bryan Singer,reduce dal folgorante successo de I soliti sospetti, il compito di re-immaginare un nuovo modo di raccontare i fumetti sul grande schermo, attingendo al folto magazzino della Marvel e ai suoi eroi pieni di nevrosi e superproblemi, optando verso coloro che, in quell’universo, erano gli outsider per eccellenza: gli X-Men.
Era dal 1996 che la major guardava con interesse ai mutanti della Marvel, ben consci del potenziale cinematografico e narrativo che le storie degli allievi di Xavier, e il loro messaggio di lotta per una coesistenza pacifica tra umani e mutanti, poteva avere sul pubblico se raccontato nella maniera giusta.

Dopo anni di tentativi, che videro ben 28 bozze di sceneggiature realizzate da nomi quali John Logan, Ed Solomon, Joss Whedon, Michael Chabon e molti altri, fu nel lavoro di David Hayter che gli studios videro finalmente aprirsi le porte per quello che, ancora oggi, è certamente uno dei franchise di maggiore successo per quanto riguarda personaggi tratti dai fumetti.
Singer confeziona così un ottimo prodotto di intrattenimento, non scordandosi però di mettere gli effetti speciali al servizio della storia e sottolineando quelle tematiche già da lui affrontate nei due lavori precedenti (I soliti sospetti e L’allievo) puntando l’attenzione sull’analisi del fascino del male ma anche sulla tolleranza, la paura dell’ignoto e i rapporti tra i diversi. Lo fa attraverso le caratterizzazioni di Charles Xavier e Erik Lehnsher, interpretati rispettivamente da Patrick Stewart e Ian McKellen, i quali, come sottolineato spesso dallo stesso regista in più di una dichiarazione, ricoprono i ruoli di moderni Martin Luther King e Malcolm X, ognuno con le proprie sfumature e convinzioni. La ricerca della pace e della convivenza da una parte e la ossessiva voglia della guerra dall’altra sono infatti le due facce di una stessa medaglia, che il regista utilizza sapientemente nel corso della pellicola, senza scordarsi di fornire al pubblico altri personaggi con i quali identificarsi e sottotrame da cementare per i film a venire.

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Ecco infatti il Wolverine interpretato da Hugh Jackman, all’epoca sconosciuto attore australiano subentrato all’ultimo momento a Dougray Scott (impegnato con Mission Impossible 2). Outsider tra gli outsider, artigliato mutante solitario che all’inizio viene catapultato suo malgrado nella lotta tra gli X-Men e la Confraternita di Magneto, diventa nel corso della pellicola un personaggio che acquista e matura la convinzione di schierarsi con qualcuno, cementando un rapporto paterno e platonico con la giovane Rogue (splendidamente interpretata da Anna Paquin), con cui forma una coppia sullo schermo capace di fornire una profonda emotività alle sensazioni di solitudine e di diversità della comunità mutante. E’ soprattutto in questo lato, più intimista, che il regista sa cogliere e ampliare i temi del fumetto, riuscendo a costruire relazioni interpersonali non banali (come il triangolo Scott/Logan/Jean) e raggiungendo le corde del pubblico, che ne avrebbe decretato il successo aprendo le porte al sequel.

X-Men 2 (2003)

Nel 2003 i mutanti tornano al cinema con X-Men 2. Su una sceneggiatura di Michael Dougherty, Dan Harris e David Hayter basata su una storia di Hayter, Singer e di Zak Penn e a sua volta costruita sulle basi del graphic novel Dio ama L’Uomo uccide, il regista delinea un sequel avvincente, ampliando le sfumature, le tematiche e le caratterizzazioni dei personaggi, aggiungendone anche di nuovi.
Ecco quindi che Singer costruisce una pellicola in cui il tema principale è la sopravvivenza. Con gli X-Men attaccati frontalmente da William Stryker (uno splendido Brian Cox), una parte di loro imprigionati e un altra in fuga, il regista sceglie di portare avanti una pellicola senza un attimo di pausa, a partire dall’ottimo, frenetico inizio alla Casa Bianca con l’attacco di Nightcrawler sulle note del Dies Irae di Mozart, mischiando tensione e drammaticità, ironia e umorismo, senza lesinare nelle scene d’azione (qui decisamente superiori al capitolo precedente), e riuscendo al tempo stesso a tracciare, sulle linee delineate in precedenza, la costruzione ancora più forte dei rapporti interpersonali tra i protagonisti principali.

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Singer ancora una volta non tralascia la contrapposizione tra Magneto e Xavier su guerra e convivenza, ma la fa evolvere inserendo nel film un terzo elemento, l’umanità (o sarebbe meglio dire una sua fazione aggressiva) che nel primo capitolo era rimasta in disparte a guardare il confronto tra i mutanti. Così facendo, il regista spariglia le carte, creando anche lacerazioni interne tra gli stessi studenti della scuola Xavier. Ne è un esempio in questo senso lo spirito ribelle del personaggio di Pyro (Aaron Stanford), attratto e affascinato dalla leadership e dalla superiorità del signore del magnetismo, cui si contrappone l’animo gentile di Bobby Drake e della sua amata Rogue. In questo contesto, il regista continua a mettere insieme i pezzi del puzzle, e così riecco il mistero di Logan sulle sue origini che viene nuovamente affrontato dal regista (con una potentissima sequenza in flashback), oppure la figura di un Kurt Wagner (Alan Cumming) conscio della sua diversità più marcata rispetto agli altri, ma anche l’alleanza controvoglia degli X-Men con la Confraternita di Magneto, i cui comportamenti ambigui e i veri scopi riescono a tenere desta l’attenzione fino a un finale in cui il cliffhanger non delude.

Nel mezzo, il personaggio di Jean Grey, che vive nella pellicola un personale viaggio dentro se stessa (rendendola la vera protagonista del film) che la porterà a un ineluttabile sacrificio ma anche, come rammenta il professor Xavier nel finale, a fare una scelta, e aprendo le porte a una delle storyline preferite dai fan degli Uomini -X.
X-Men 2 è ancora oggi forse una delle più riuscite pellicole di supereroi, per via della forza che ne contraddistingue la trama, ma anche per il sapiente utilizzo di un cast più che mai variegato, in cui ognuno trova, anche per pochi secondi, lo spazio per esprimere le sue personalità, i suoi sentimenti, i suoi dubbi e i suoi problemi. Una forza che non avrà il terzo capitolo.

X-Men: Conflitto Finale (2006)

Con la partenza di Bryan Singer, che approfittò dell’offerta della Warner Bros. di realizzare un nuovo film su Superman, rinunciando al terzo capitolo degli X-Men, proprio in un periodo in cui tra lui e la Fox le cose non andavano molto bene, il franchise dei mutanti si ritrovò improvvisamente senza il proprio padre putativo. Anche tra i fan la scelta del regista di lasciare, fece nascere non poche preoccupazioni sul futuro cinematografico degli X-Men.

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Lo stile e l’approccio che Singer aveva donato alla saga, infatti, era ormai facilmente riconoscibile da parte del pubblico, e i semi che aveva piantato, soprattutto in X-Men 2, richiedevano qualcuno che sapesse farli crescere con la stessa forza, se non di più.
La Fox corse quindi disperatamente alla ricerca di un valido regista che sapesse portare avanti il franchise senza snaturarne lo spirito. Inizialmente, Hugh Jackman propose alla Fox Darren Aronofsky, con cui aveva da poco lavorato, mentre altri nomi che si aggiunsero alla lista furono quelli di Rob Bowman, Alex Proyas, Peter Berg e Zack Snyder, ma alla fine la spuntò Matthew Vaughn, il quale dovette presto lasciare il progetto per questioni familiari e produttive, consapevole del poco tempo a disposizione.
Fu allora che spuntò il nome di Brett Ratner, sulle cui spalle cadde una responsabilità gravosa. Il regista aveva già diretto con professionalità Red Dragon e portato al successo le due pellicole di Rush Hour con Jackie Chan e sembrava quindi la persona giusta sulla quale puntare per chiudere il franchise senza scontentare i fan.

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Riassemblato il vecchio cast con nuove aggiunte tra le fila degli X-Men (Kelsey Grammer nel ruolo di Bestia ma anche Ellen Page come Kitty Pride e Ben Foster come Warren Worthington) e affrontando anche abbandoni nel cast tecnico (come Philippe Rousselot alla fotografia presto sostituito da Dante Spinotti, che però non completò la lavorazione), Ratner gira una pellicola prettamente d’azione, miscelando due storyline tratte dai fumetti, la più recente riguardante la Cura e quella storica inerente Fenice Nera, amalgamate in una sceneggiatura scritta da Zak Penn che però accenna soltanto ai temi filosofici sul potere e il suo controllo, annacquando il tutto con dialoghi banali, che gli attori, forse consci della loro vuotezza di contenuto, amplificano in più sequenze.
Ne esce così, anche per via della eccessiva brevità, una delle impronte della Fox gestita da Tom Rothmann, una pellicola buona dal punto di vista dell’azione, con sequenze spettacolari come quella riguardante il Golden Gate di San Francisco o la morte di Xavier, ma non altrettanto forte narrativamente, un difetto che, ancora oggi, la fa ricordare come l’anello debole di un ottimo franchise.

X-Men: L’inizio (2011)

Dopo la conclusione della trilogia, la 20th Century Fox continuò a sfruttare il franchise dei mutanti con alcuni progetti messi in produzione, ma mai portati a compimento. Gli spin-off di Tempesta e Magneto, di cui solo per il secondo ci fu effettivamente uno script a firma Sheldon Turner, non videro infatti mai la luce, costringendo la major a guardare altrove per fare rivivere la saga dei mutanti di Xavier sul grande schermo.
Nel frattempo, nel 2006 la Marvel lanciò una nuova collana mutante scritta da Jeff Parker dal titolo X-Men: First Class, la quale narrava i primi anni degli studenti di Xavier, ripresentando la formazione originale vista negli anni ’60. Pochi potevano immaginare che proprio quella testata, di lì a poco, sarebbe stata presa come fondamenta per costruire il rilancio cinematografico degli X-Men.
Nel 2008, il creatore di The O.C., Josh Schwartz, venne incaricato dalla Fox di realizzare una prima versione della sceneggiatura, i cui molti elementi vennero in seguito cambiati da Jamie Moss su indicazione di Bryan Singer, che nell’ottobre dello stesso anno venne avvicinato dalla major per dirigere la pellicola, cosa che poi non fece perché orientato verso altri impegni, rimanendo comunque come produttore.

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Dopo parecchie riscritture, che videro coinvolti anche Ashley Miller e Zack Stentz (Thor), la major decise di contattare Matthew Vaughn per dirigere la pellicola. Reduce dal successo di Kick-Ass, ma anche di Stardust, che ne avevano confermato l’indiscutibile talento, Vaughn rientrava così nei giochi riguardanti i mutanti Marvel, dopo la sua rinuncia di qualche anno prima per X-Men: Conflitto Finale.
Con l’ausilio dell’abituale collaboratrice Jane Goldman, Vaughn riscrisse nuovamente parte dello script, lasciando inalterate alcune idee di Singer (come l’inserimento della crisi cubana) e puntando l’attenzione su quello che sarebbe poi stato il fulcro principale del film, ovvero l’incontro e l’evoluzione del rapporto tra due giovani Xavier e Magneto, in un mondo che aveva appena scoperto la mutazione.
In un cast che vedeva coinvolti nomi come l’ormai noto James McAvoy, la stella emergente Michael Fassbender e veterani come Kevin Bacon, il regista inserì anche nuovi volti che nel 2010 erano per molti ancora sconosciuti, primi tra tutti Nicholas Hoult e Jennifer Lawrence, che sarebbero poi esplosi nel firmamento di Hollywood nel giro di un anno, senza lasciare da parte affermate attrici del piccolo schermo, come la January Jones di Mad Men.

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Con meno di un anno a disposizione per realizzare la pellicola, Vaughn riesce nell’intento e costruisce un film denso di azione, veloce e compatto, che vede nella forza degli interpreti e nell’ambientazione vintage degli anni ’60 la sua qualità primaria.
X-Men: L’inizio è stato capace di rilanciare il franchise senza tradirne le tematiche e gli elementi principali, e tornando a quello spirito che aveva contraddistinto i primi due capitoli diretti da Singer, in cui la sofferenza della diversità era al primo posto tra i pensieri dei protagonisti.
È in questo contesto che si pone al centro la figura di Magneto, splendidamente interpretato da Fassbender, combattuto tra l’uso del suo potere come mezzo di vendetta e superiorità nei confronti della razza umana che lo aveva dilaniato nei campi di concentramento, e la sua stima per Charles Xavier, un McAvoy che nel corso del film assume sempre più i connotati del personaggio che tutti amiamo, riflessivo e razionale davanti agli eventi, e le persone, che deve affrontare.
E se il rapporto tra Xavier e Magneto è un pezzo importante del film, lo è anche in maniera non dissimile quello tra Raven/Mystica e Hank/Bestia, in cui è la diversità che li accomuna all’inizio e il loro modo di affrontarla che li dividerà però alla fine del film, la prima diretta verso Magneto e la sua confraternita, il secondo verso Charles e la sua visione di coesione e pace.

Su queste basi è forte l’attesa tra i fan per il prossimo capitolo, X-Men: Days of future past che si annuncia come un vero e proprio evento cinematografico, non solo per il ritorno alla regia di Singer e di gran parte del vecchio cast, ma anche e soprattutto per l’epicità e la straordinaria complessità della trama, basata su una delle saghe più importanti della storia fumettistica dei mutanti Marvel.

In un futuro non troppo lontano…

Con Matthew Vaughn che ha dovuto passare la mano perché impegnato nell’adattamento di Secret Service (ma ancora presente in veste di produttore), il compito per Singer non sarà per niente facile. Il regista che diede il via alla saga è infatti reduce da non esaltanti progetti cinematografici nel corso degli ultimi anni, tra cui il recente Il Cacciatore di Giganti, e dovrà riprendere le fila di un cast tra i più variegati mai visti ultimamente, in cui dovrà contare in primis sulla sua esperienza con il cast della passata trilogia e allo stesso tempo riuscire a costruire e a imprimere la sua impronta sui nuovi interpreti, che abbiamo imparato a conoscere con X-Men: L’inizio.
Oltre a questo, la sfida per quanto riguarda lo script sarà veramente ardua. Basata infatti sul famoso ciclo del 1981 di Chris Claremont e John Byrne, la pellicola dovrà fare i conti con differenti livelli narrativi ambientati nel passato e nel futuro, oltre a riprendere le fila dei precedenti film sapendole legare in una continuity che riesca a non tradire e snaturare quello finora seminato.
Una scommessa molto alta per la Fox e il franchise, quindi, su cui il pubblico esprimerà il proprio verdetto il 18 luglio 2014.

X-OMAGGI

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Magneto e Nightcrawler di Walter Trono. Clicca sull’immagine per vedere tutti gli X-Omaggi.
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