Il mitico Mickey: intervista a Casty e Massimo Bonfatti

Il mitico Mickey: intervista a Casty e Massimo Bonfatti

In occasione dell'uscita su Topolino della storia "Tutto questo accadrà ieri" abbiamo intervistato i due autori, Casty e Massimo Bonfatti.

Dopo i primi passi nel mondo del fumetto come autore per Lupo Alberto e Cattivik, Casty approda nel 2005 sulle pagine di Topolino nelle vesti di sceneggiatore, diventando successivamente anche autore completo. Nel giro di pochi anni si attesta come uno degli autori più apprezzati dagli appassionati, creando diverse storie che ridavano dignità al personaggio di Topolino grazie a intrecci solidi e intriganti, spesso disegnate da lui.
Massimo Bonfatti inizia la sua carriera fumettista a metà anni ’70 con le prime collaborazioni con Silver e Bonvi. Dopo una pausa dovuta ad altri impegni nel campo dell’animazione e come vignettista, nel 1988 torna nella scuderia di Silver realizzando numerose storie di Lupo Alberto e Cattivik, ed è proprio in questo frangente che conosce Casty, realizzando con lui molte avventure dei due personaggi.
Nei primi anni 2000 su testi di Claudio Nizzi è co-creatore di Leo Pulp, serie comica hard-boiled per Sergio Bonelli Editore.

I due autori tornano a lavorare insieme nel 2015, lavorando ad una storia per Topolino pubblicata sul n. 3130 del 18 novembre.
Per l’occasione abbiamo fatto qualche domanda ai due artisti in merito a questa esperienza.

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Ciao Casty, ciao Massimo, e grazie per averci concesso questa intervista.
Quali sono, secondo voi, i punti di contatto tra Topolino e Cattivik?
Massimo Bonfatti: Beh… sono entrambe pubblicazioni che nella struttura attingono alla tradizione del fumetto classico europeo e americano (anche sudamericano). Ma ovviamente si diversificano in vari punti per vari motivi.
Cattivik ha influenze dal fumetto underground e dalla scuola di MAD/EC-Comics, nonché da Spirit di Will Eisner e Wallace Wood ma anche dalla variegata e un po’ dimenticata tradizione del fumetto umoristico italiano: faccio tre (grandi) nomi, Luciano Bottaro, Giorgio Rebuffi e Carlo Peroni. Inoltre Cattivik eredita molto dai cartoni animati della Warner Bros. e perfino da Carosello (ricordiamoci che Bonvi, il creatore di Cattivik, cominciò giovanissimo a lavorare con Guido De Maria e Francesco Guccini per i caroselli dell’Amarena Fabbri).
Ma gli influssi sono tantissimi, da Totò a Fantozzi, il signor Rossi di Bruno Bozzetto e infiniti altri. Così come Topolino, un personaggio di successo è tale per il contributo di tanti autori influenzati ciascuno da altri autori. In un certo senso ogni opera d’arte o idea creativa è un’opera collettiva.

Non è la prima volta che per celebrare il compleanno di Mickey Mouse si torna alle origini del personaggio (Topolino e il fiume del tempo, Topolino in L’ultimo caso): in cosa si differenzia il vostro approccio rispetto alle precedenti celebrazioni?
Casty: Una premessa doverosa: Tutto questo accadrà ieri non nasce propriamente come storia celebrativa. Si tratta, più semplicemente, di un’avventura ambientata nel giorno del compleanno di Mickey, né più né meno come era successo l’anno scorso con Topolino e i 7 Boglins.
L’idea di base era quindi di fare una storia assolutamente indipendente da qualsiasi contesto o da specifici eventi passati, e che fosse perfettamente fruibile anche da chi non conosce nei dettagli il passato di Topolino. Come dice Massimo, la nostra intenzione era solo quella di fare “una bella storia normale con Topolino”.

Da dove nasce la scelta di utilizzare un cast così limitato, parlando del compleanno di Topolino?
C: Mi rifaccio alla premessa di prima: non essendo stata pensata come storia celebrativa, non mi sono mai posto il problema del cast e ho quindi utilizzato i personaggi funzionali alla vicenda. Diversamente da quanto era accaduto, per esempio, in Topolino e il sorprendente 3000 in cui c’era l’esplicita necessità di coinvolgere più comprimari possibile. Qui il fulcro era più che altro la “sorpresa nascosta”, ovvero il fatto che esiste(va) un’avventura “perduta” di cui Topolino non aveva memoria. E, soprattutto, la voglia di raccontare il bellissimo legame d’affetto che c’è tra Mickey, Minni e Pippo.
MB: Giusto! Del resto, se si vuole festeggiare un compleanno non dev’essere obbligatorio invitare tutti i parenti, gli amici del bar, i compagni di scuola e i vicini di casa. Dev’essere una cosa sentita e condivisa dalle persone giuste, che in quel momento senti vicine. Non mi sono mai piaciute le storie corali dove “devono” per forza esserci tutti, come certe storie Marvel o quella carrellata finale in Chi ha incastrato Roger Rabbit? dove si dovevano presentare tutti i personaggi Disney e Warner Bros. Chissà quante riunioni sono state fatte nelle alte sfere per decidere quel casting!
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Osservando alcuni passaggi, sembra che gli amici “meno stretti” di Topolino non conoscano la data del suo compleanno o abbiano atteggiamenti distaccati al riguardo. Come mai questa scelta, in controtendenza con quanto solitamente succede nelle storie di compleanni dove tutti i personaggi festeggiano?
C: Bé, considera che si tratta di un compleanno…”x”, e non si festeggia quindi un numero tondo o chissà che. Credo sia abbastanza normale che gli amici non organizzino per Mickey festini coi botti ogni volta che fa gli anni.
Anche perché, magari, dopo l’esperienza dello scorso anno coi Boglins… ah ah!
MB: Non dimentichiamoci che nel fumetto, come in tutte le forme artistiche ed espressive, esiste un patto tra chi racconta e chi fruisce il racconto. È quello che potremmo chiamare “patto di credulità” senza il quale non esisterebbero le favole, i canti di Omero o la Divina Commedia. Ma nemmeno le barzellette! Una storia non è un cadavere su cui fare un’autopsia per capire se aveva una malattia o un difetto genetico, ma una cosa viva che funziona nel catturare l’attenzione usando gli strumenti del racconto, compresi i trucchi del mestiere.
Come una persona che, mentre ti parla, rivela qualcosa di sé ma nasconde qualcos’altro; a volte ti fa capire più di quello che vorrebbe e altre volte dice bugie. Pensa a Federico Fellini: era un gran contafrottole, ma doveva essere meraviglioso sentirgliele raccontare!

Floyd Gottfredson, insieme alla sua squadra di sceneggiatori, è stato fondamentale nell’evoluzione del Topolino a fumetti: ma cosa hanno rappresentato le strisce quotidiane di Mickey Mouse per il fumetto in generale?
MB: Per me, e credo per molti altri lettori e autori (ma riguarda anche il cinema e molto altro), la produzione Disney ha rappresentato soprattutto un’aspirazione a un livello di qualità alto. Ciò non significa che deve essere visto come un modello unico da imitare a tutti i costi o al quale uniformarsi. Io amo i classici film Disney ma anche La Linea di Osvaldo Cavandoli, Wile E. Coyote, Mr Magoo ecc. che avevano altri modi per raggiungere obiettivi comunque interessanti. Floyd Gottfredson era un autore di grande qualità e le sue strisce erano certamente una delle eccellenze del comicdom americano in quegli anni: sicuramente hanno stimolato molti autori a “fare meglio”.

È stato difficile far agire in modo credibile e fedele il Mickey Mouse anni ’30?
topolino_casty_bonfatti_10C: Sì, abbastanza difficile, nel senso che dovevamo trovare un Mickey “ideale”, che fosse un po’ il riassunto dei vari “Mickey vintage”, che vanno in pratica dal 1928 al 1939. Dopo quella data infatti Topolino “matura”, anche graficamente (acquisisce infatti le pupille), e noi volevamo invece rappresentare un Mickey più ruspante e spericolato. A volte anche un po’… naif, come quando non riconosce Pietro sotto i baffoni: non significa che è un ingenuo, anzi, è solo una gag per sottolineare che non è ancora smaliziato come il suo corrispettivo odierno. Anche se, alla fine, giusto un paio di storie fa (in Topolino e le pipposcarpe mnemoniche), Gamba usa lo stesso trucco dei baffoni proprio al “nostro” Topolino… e lui ci casca come un pero.
Si tratta quindi di gag atte a caratterizzare una “generica gioventù” di Mickey, finalizzate alla coerenza interna di questa specifica storia.
MB: Le difficoltà erano soprattutto per lo sceneggiatore, ma Casty le ha risolte benissimo. Io mi sono concentrato nel cercare un equilibrio di stile che potesse dare alla storia un po’ del fascino di Leo Pulp senza tradire troppo la dimensione ideale in cui si muovono i personaggi Disney.
In Leo Pulp abbondavano atmosfere inquietanti e particolari squallidi della Los Angeles corrotta. Qui ci ho messo invece un’abbondanza di particolari che potessero dare un’idea dell’America anni ‘30, ma senza esagerare. Del resto, conoscendomi, Casty mi ha consigliato di togliere una miriade di sigarette e mozziconi e altre “schifezze” che per abitudine “leopulpiana” e “cattivikiana” mi viene spontaneo disseminare un po’ ovunque.
Per quanto riguarda Topolino & C. mi è stato preziosissimo Casty, che ha trovato un giusto modo di mettere in sintonia il Mickey del passato con quello del presente, anche grazie allo stratagemma geniale di nascondere la parte finale della data ogni volta che si presentava.

Quali sono gli elementi che determinano ancora oggi il fascino di quelle lunghe avventure anni ’30? Per voi cosa rappresentano quelle storie, sentimentalmente e professionalmente?
C: Per me, la cosa più affascinante è il “sense of wonder” di cui sono permeate. È vero che quelle sono in effetti le “prime volte” in cui Topolino affronta misteri, nemici e pericoli, però è anche vero che io, lettore, le ho conosciute quasi tutte da grande, dopo aver già visto e letto un sacco di avventure simili. Il fatto che riescano comunque a stupirmi e a coinvolgermi significa che sono raccontate bene, e in un modo perfettamente fruibile anche a distanza di ottanta e passa anni.
Io sono particolarmente legato a quelle racchiuse nel volumone Le nostre prime leggendarie imprese, dove ci sono, per dire, gioielli come Lo struzzo Oscar, La barriera invisibile e Il mostro bianco: mi fu regalato quand’ero piccolo e l’ho letto e riletto decine di volte.
MB: A me piace in quelle storie il senso artigianale che traspare dalle storie e dai disegni dell’epoca.
Per certi versi un’epoca d’oro, come quella rinascimentale, dove la bottega del grande artista confinava con quella del pollivendolo o del fabbro. Anche nella loro apparente semplicità e ingenuità si capisce che quegli artisti fossero persone autentiche, molto vicine alla strada, alla realtà della gente comune. Per questo, credo, sapevano creare le storie giuste per la gente comune che nell’America degli anni ’20, ’30 e ‘40 significava un immenso crogiolo di genti, razze, lingue e religioni diverse, tutte disposte a trovare un momento di svago tramite i fumetti.
L’America era una nazione giovane fatta dai migranti, la vita era dura ma la voglia di costruire un mondo migliore in cui vivere era fortissima.
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E quali sono stati invece i riferimenti extra-disneyani, sia fumettistici sia cinematografici, che vi hanno influenzato nella costruzione dell’ambientazione?
MB: Immagino che per Casty abbia influito molto anche la sua passione per la fantascienza.
Io ho attinto da molte cose viste e lette per realizzare Leo Pulp, che vanno dal cinema noir alle letture hard-boiled, ma anche dalla fotografia, che è sempre stata una mia passione.
Queste cose uno ce le ha dentro. Poi, per la storia abbiamo fatto delle ricerche iconografiche, ma non più di tanto.

Com’è cambiato lavorare insieme su Topolino rispetto che nelle vostre precedenti collaborazioni?
C: L’approccio è stato sicuramente diversissimo. C’era chi temeva che, visti i nostri trascorsi da “birbanti” sulle pagine di Cattivik, volessimo portare su Topolino un certo umorismo dissacrante, magari prendendoci gioco dei cliché e delle caratteristiche dei personaggi. In realtà l’idea era fin da subito quella di fare una storia “normale”, con il massimo rispetto sia per i canoni stilistici di disegno, sia riguardo il carattere dei personaggi. Io e Massimo abbiamo valutato a lungo il tono da tenere nei disegni, che volevamo essere sì diverso dall’usuale linea pulita e un po’… pacioccona che è lo standard attuale, ma che non doveva assolutamente sconfinare nel grottesco o nel “disturbante”.
MB: Infatti di cose “disturbanti” se ne vedono anche troppe in giro. Io non so se la nostra storia di Topolino possa essere disturbante per alcuni, ma io e Casty apparteniamo a quel genere di vecchia scuola per cui l’esperienza ha un valore, perché i meccanismi per cui un personaggio funziona possono essere sottilissimi e solo lavorandoci sopra si impara a gestirli, magari dopo una certa serie di errori che però portano a un progressivo miglioramento. Se una cosa era bella per i ragazzi di trent’anni fa deve avere qualcosa di valido ancora oggi, ed è bello scoprirlo. Una cosa bella di quando facevamo Cattivik era che non subivamo quasi mai ingerenze da parte dell’editore (che poi era Silver), e io mi permettevo anche di invadere le competenze altrui. Avrei voluto realizzare più storie mie e quando dovevo disegnare storie scritte da altri vincevo la frustrazione modificando (ogni tanto) qualche dialogo o qualche vignetta. Era una cosa che facevo per divertirmi un po’, con il permesso dei colleghi e con la convinzione che questo avrebbe migliorato la storia. Non perché – attenzione – fosse difettosa, ma perché credo che ci debba essere uno scambio, una sovrapposizione o commistione tra chi lavora insieme. Questo spirito traspare dalle tavole e il lettore se ne accorge e apprezza, fregandosene di sapere dove finisce l’apporto dello sceneggiatore e comincia quello del disegnatore.
Per questa storia di Topolino ci siamo parecchio contaminati, e dove c’è contaminazione c’è qualità (a meno che non si tratti di malattie).

Riscoprire Gambadilegno: in questa storia il nemico di Topolino è davvero cattivo, come alle origini e in controtendenza rispetto a molte storie degli ultimi anni. Qual è la “quadratura del cerchio” su questo personaggio, per voi?
C: In realtà questo è il Gambadilegno che io faccio da sempre: per me, Pietro odia a morte Topolino e non vede l’ora di farlo fuori.
I personaggi sono comunque gestiti da diversi autori e, com’è giusto e logico che accada, ognuno di noi li caratterizza nella maniera che meglio crede, sempre ovviamente rispettandone le peculiarità di base.
Io scrivo solitamente avventure con “grossi pericoli” e mi va bene quindi riprendere Pietro nella sua forma più classica di villain. Ma è pur vero che, in caso di avventure più quotidiane, ci sta benissimo anche il Gamba bonaccione. Una caratterizzazione non esclude l’altra, anzi sono entrambe utili a seconda del tono che si vuole dare alla storia.
MB: Il vecchio Gamba può essere un cattivone che a volte si ammorbidisce un po’. A me ricorda un po’ Zampanò nel film La Strada con Giulietta Masina, ma anche L’infernale Quinlan di Orson Welles.

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Moderna e al tempo stesso classica la caratterizzazione grafica degli ambienti e dei personaggi nella porzione ambientata nel passato: come avete lavorato per ottenere una sintesi grafica così eccellente?
C: Mettendola molto in breve: Massimo ha cercato di “castyzzarsi”, mentre io ho provato a “bonfattizzarmi”.
Lo sforzo maggiore ha dovuto sicuramente farlo Massimo, alle prese per la prima volta con un ambiente assolutamente nuovo, per lui.
Per me invece è stato meno difficile, in quanto imparai a disegnare proprio sulle pagine di Cattivik e proprio seguendo lo stile del Bonfa: si trattava quindi di rispolverare metodi appresi vent’anni fa. È stata un’esperienza molto impegnativa, direi anche dispendiosa in termini di tempo, perché ogni vignetta è frutto di un lavoro a quattro mani e tutto è stato realizzato rimpallandoci per posta le varie tavole.
MB: “Castyzzato”, “bonfattizzato”… mi sembra di vedere la caricatura di Roberto Maroni fatta da Maurizio Crozza! Però è vero, ci siamo adattati ognuno allo stile dell’altro. Non è stato difficile per me, visto che mi piace molto lo stile di Casty. In tutta confidenza credo che sarebbe stato presuntuoso, da parte mia, illudermi di poter muovere e far recitare Topolino con la stessa maestria di Casty senza averne esperienza. Molte figure di Topolino e dei comprimari le ha disegnate Casty, su dei fogli a parte e io le ho ridisegnate nel contesto, inchiostrandone alcune e lasciandone altre a lui, riprendendole poi per finiture e ritocchi. Insomma, la stessa procedura che a volte si usava con Bonvi e con Silver quando ero ragazzo; come con Clod quando lavoravo con lui sui fumetti di Pif per la Francia e avevamo Giorgio Cavazzano come supervisore, il quale ci correggeva entrambi, se necessario. È così che funziona il “lavoro di bottega” che mi ha insegnato tanto. Immagino che avvenisse qualcosa di simile quando Giorgio Cavazzano o Rodolfo Cimino erano allievi di Romano Scarpa.
Davvero, è stato fondamentale l’apporto di Casty sui disegni dei personaggi ma, anche se grazie a lui ho potuto lavorare molto serenamente, mi sarei divertito lo stesso facendo i personaggi come mi venivano. Sarebbero venuti più brutti, imperfetti, strani ma probabilmente accettabili. Però io non volevo che fosse così: volevo che fossero PERFETTI, o almeno al livello dell’importanza che il personaggio ha. È anche una questione di rispetto, per Topolino e per Casty. Del resto mi sono accorto che i personaggi Disney sono parte del mio background e forse anche alla base del mio stile e quindi mi sono piuttosto congeniali.

Alcuni lettori sembravano attendersi una spiegazione al problema dello scorrere del tempo, mettendo a confronto il Mickey anni ’30 e quello del 2015, dove quello attuale chiaramente non dimostra un’età avanzata. Qual è la vostra filosofia alla base della questione, e quindi l’approccio inteso per questa storia?
MB: Perché Topolino si è evoluto senza invecchiare? Forse perché è un personaggio di invenzione, e come tale esiste in un presente convenzionale e il tempo è solo una funzione narrativa. Mi sembra abbastanza ovvio. Se volessimo essere “coerenti” in tutto, come se si trattasse di persone o fatti reali, crollerebbe tutto l’immaginario. La coerenza è necessaria solo all’interno del racconto stesso o al limite circoscritta al contesto della serie o del periodo in cui lo si realizza, e anche dei riferimenti a cui si vuole essere fedeli ma, per il resto, libertà totale

intervista_casty_bonfatti_4Come mai la data del 6 giugno? E perché non si vede mai l’anno esatto, fermandosi alle prime tre cifre?
C: Il 6 giugno non ricordo, credo fosse il giorno di una partita famosa o qualcosa di simile. Me lo sono ritrovato nelle bozze che avevo da anni nel cassetto e, visto che la data non era di particolare importanza, è rimasto anche nella sceneggiatura definitiva. La scelta di non far mai vedere l’anno esatto (e di non citarlo mai in alcun dialogo) è invece proprio dovuta alla volontà di ”svicolare con disinvoltura” una questione che tutti i personaggi di fiction che hanno decenni di vita alle spalle si portano dietro. E trovo bizzarro che molti commenti sui forum si siano focalizzati su questa “incongruenza” al punto di ritenere inattendibile la storia, quando abbiamo settimanalmente Zio Paperone che rimembra, oggi, nel 2015, le proprie avventure nel Klondike. Sono personaggi che vivono nei fumetti e credo che, in quanto tali, sia loro concesso di vivere una vita “diversa” da noi persone reali, no?
MB: Diciamo pure che sono pippe mentali! Certe incongruenze o inesattezze possono essere dannose in un certo tipo di storie, ad esempio di Martin Mystère, ma dipende dal tipo di storia e di personaggio. È molto più grave che Topolino pronunci una frase “non da Topolino” piuttosto che la coerenza dell’anno in cui si muove. Ma la conoscenza profonda del personaggio, che è la vera cifra dell’Autore, non è misurabile ma solo percepibile con le emozioni che si hanno dalla lettura, mentre le cifre del calendario, i bottoni sul panciotto o altri elementi esterni sono indizi oggettivi ma non sempre importanti. Quello che conta è sentire l’anima del personaggio e quando lo si anima si fa come l’attore che si immedesima nel personaggio. Casty riesce a farlo con Topolino. Questa è la dote principale di Casty ma non l’unica; è molto abile anche a far quadrare tutto in modo che funzioni come un orologio svizzero e soprattutto è una persona autentica, consapevole del proprio talento ma non presuntuosa.

Massimo, com’è stato muovere per la prima volta i personaggi Disney?
Sei accreditato solo per i disegni: hai anche aiutato nella stesura di soggetto e sceneggiatura?
MB: No, la sceneggiatura c’era già ed era perfetta. Anche se avessi voluto non avrei potuto modificare nulla. Però è servito molto parlarne, spiegare tra di noi se certe cose erano state comprese bene per poi essere realizzate al meglio. Questo parlare tra di noi anche di singole scene, frasi, dettagli è servito anche a risparmiare tempo perché lavorare frettolosamente ti obbliga poi a dei rifacimenti in dirittura d’arrivo e noi non potevamo permettercelo. Come ha ben sintetizzato mio figlio in un commento online, per me è stata una sfida interessante. Abbiamo concentrato il lavoro su 71 tavole in due mesi e mezzo e non potevamo sforare.
Una bella mole di lavoro che però è filato via liscio, nonostante il caldo atroce dell’estate scorsa. Approfitto per ringraziare alcune persone che mi hanno dato una mano: Otello, che mi ha aiutato con le campiture, come anche mio figlio Francesco e Luca Raimondi che ha inchiostrato alcune parti, dopo aver collaborato per tante storie di Cattivik in passato.

Massimo, che rapporto hai con il fumetto Disney? Ci sono storie Disney che porti nel cuore, per motivi puramente personali?
MB: Le mie letture disneyane sono state discontinue, come tutto, del resto è discontinuo nei miei interessi. Resta il fatto che ho divorato quintali di fumetti di Topi e Paperi e qualcosa dentro di me è inevitabilmente rimasto. I titoli mi vengono in mente ripensandoci ma sono troppi. Cito solo la prima, mitica storia di Paperinik che mi divertì e mi affascinò tantissimo.

Massimo, che differenze riscontri tra il fumetto comico nel complesso e Topolino, che in definitiva rientra nella medesima categoria?
Hai un ricordo particolare del periodo di lavorazione della storia? Qualche momento di difficoltà o di soddisfazione per qualche passaggio particolarmente riuscito?
topolino_casty_bonfatti_14MB: Il fumetto di Topolino ha le sue peculiarità ovviamente, come le ha ogni personaggio. Quello che contraddistingue i fumetti Disney è piuttosto un certo livello di professionalità richiesta. Mentre in certi casi si sorvola su tante cose affidandosi alle capacità degli autori, alla Disney c’è maggiore controllo e attenzione. A volte è un bene essere fuori controllo, come lo è stato con Cattivik, altre volte è utile essere monitorati, come nel caso di Topolino. In entrambi i casi ci vuole equilibrio altrimenti certi eccessi possono essere disastrosi. A questo proposito bisogna rendere merito al caporedattore di Topolino Davide Catenacci, che ha reso possibile questo bell’esperimento. Nel dare fiducia a Casty, ha dato fiducia anche a me, nonostante non ci fosse nessuna certezza del risultato finale. È stato importante per noi e soprattutto per me, visto che dovevo tenere a bada il senso di responsabilità di dover fare tanto lavoro in poco tempo e in condizioni difficili. Ecco, io credo che sia giusto e proficuo fidarsi degli autori che hanno dimostrato di avere talento, dando loro carta bianca, entro certi limiti. È giusto anche cercare sempre nuove strade, nuovi autori e fermenti che mantengano vivo un certo spirito, ma è utilissimo quando quello spirito si unisce all’esperienza. È quello che cercano i lettori, il nuovo nella tradizione, ma non bisogna confondere il “nuovo” con lo “strano”. Il patrimonio della tradizione è un serbatoio infinito di idee spesso ancora moderne ed efficaci e il modo di recepirle da parte del lettore è sempre lo stesso, anche se l’autore le metabolizza riproponendole in modo imprevedibile.

Casty, Non è certo questa la prima storia di ampio respiro e di ambizioni epiche che hai realizzato: ci sono state difficoltà in più nel realizzarla, rispetto ad altre avventure di questo tipo?
C: Eh, direi di sì: al di là della “solita” questione tecnica (ovvero far tornare tutto, alla fine di un mistero ingarbugliatissimo), stavolta c’era anche da rendere plausibile un così particolare viaggio nel passato e, soprattutto, risolvere con garbo e leggiadria alcuni passaggi piuttosto borderline per un fumetto di Topolino. Uno su tutti Topolino e Minni che, seppur per una sola vignetta, “muoiono” sotto gli sguardi atterriti e increduli di Zapotec e Marlin! È una sequenza che in soggetto appariva realmente drammatica e adulta, e sono grato alla redazione che ha avuto fiducia nella mia capacità di saper gestire una così delicata situazione. In altri tempi un soggetto con una scena del genere non sarebbe stato approvato.
Altra difficoltà è stata conciliare i due “toni” distinti usati per le diverse parti della storia: la parte ambientata nel presente ha un tono molto serio, i personaggi non scherzano. È un tono che uso raramente, forse qua è la prima volta che per un’intera sequenza non si ride, ma volevo proprio dare l’idea di “resa dei conti finale”.
Differente è invece il tono usato nella parte del passato, dove ritroviamo la tipica alternanza di momenti drammatici e di gag… e il solito (mio) Pietro cattivissimo ma anche un po’ arruffone.

Casty, come hai convinto Massimo Bonfatti ad unirsi in questa storia così particolare?
C: Iniziai a parlargliene già parecchi anni fa e lui fu subito entusiasta dell’idea: Massimo è un estimatore del Mickey vintage. Si trattava solo di trovare un periodo (abbastanza consistente) di tempo in cui entrambi fossimo liberi e potessimo lavorare in sincronia al progetto. Credo che a convincerlo in modo definitivo sia stata la sceneggiatura, ambientata negli anni ’30, che si prestava più che mai alla tipologia di disegno che applica nella sua serie noir Leo Pulp.

Casty, cosa hanno in comune, secondo te, il Mickey dei cortometraggi animati classici, quello delle strisce anni ’30 e quello dei fumetti attuali?
C: Direi il fatto che Mickey era ed è un grande, grandissimo attore: capace, a seconda degli anni e dei contesti, di divertire nei ruoli comici e di intrigare nei ruoli drammatici. In grado addirittura di fare da maestro per i bambini, come lo vediamo nella serie La casa di Topolino, che magari qualcuno biasima ma che a me continua a far ridere per la sua… puccettosità (gli strumentopoli, ah ah!).
Un attore che, comunque, ha costante bisogno di buoni copioni da interpretare e sta quindi a noi autori dargli modo di mostrare le proprie qualità.

Topolino-Copertina-2Casty, collaborare con Massimo Bonfatti su Topolino ha quasi il senso di chiusura di un cerchio iniziato molto tempo fa: che sensazioni ti ha regalato questa esperienza
C: Mi ha fatto un’enorme piacere tornare a lavorare con uno degli autori che stimo di più: di Massimo ho sempre adorato l’umorismo sfrenato, che andava dallo sbracato all’acutissimo, che utilizzava su Cattivik. Ogni sua pagina era uno spettacolo pirotecnico di disegni incredibili e di risate. E il suo modo di disegnare, poi, così particolare e unico. Perfino il lettering di Massimo è peculiare, tant’è che dovrebbero secondo me farne un font. Un giorno Massimo verrà riscoperto e gli faranno un paio di monumenti!
Ci siamo ritrovati dopo vent’anni, meno “ragazzoni” e un po’ più stanchi, ma con la stessa immutata voglia di divertire la gente che ci legge. Che, se ci pensi, è un po’ la stessa cosa che succede a Mickey e i suoi amici alla fine della storia… Emozionante parallelo, no?
Lavorando sulle tavole in comune ho anche avuto modo di carpirgli qualche altro “segreto del mestiere” per cui, chissà, magari potrei utilizzare queste nuove capacità nelle storie che disegnerò in futuro.

Casty, una delle prime cose che colpisce durante la lettura della storia è la caratterizzazione, fedele al tempo che passa, dei due Topolini, quello del passato e quello del futuro. Quale dei molti periodi preferisci? E quali storie, oltre i classici di Floyd Gottfredson e Romano Scarpa, hanno secondo te meglio identificato nel corso degli anni il personaggio?
C: Non ho un periodo preferito in assoluto: a me piacciono le belle storie, a prescindere dagli autori e dagli anni. Ho invece una predilezione per una certa tipologia di storia, ovvero quella classica in cui Topolino sta bellamente a farsi i fatti suoi quando d’improvviso attorno a lui iniziano ad accadere fatti strani e lui ne viene coinvolto. Di storie così ne abbiamo avute da parte di diversi autori, e in tutte le epoche, anche se ovviamente la maggioranza sono appunto opera di Scarpa o di Gottfredson (& friends).
Ce n’è una, per esempio, in cui c’è uno stupendo e meravigliosamente caratterizzato trio Topolino-Pippo-Pietro: è Topolino e il fantasma del monte Cannibale, disegnata se non sbaglio da Bill Wright, che per me è una delle più belle storie in assoluto con Topolino.
Mi piace poi che il protagonista della storia sia effettivamente Topolino-Topolino e non un suo contraltare di epoche passate o di realtà parallele.

Casty, nonostante la tua passione per storie con garbugli e paradossi temporali è solo la seconda volta che utilizzi Zapotec, Marlin e la loro macchina del tempo. Conti di riproporli più assiduamente in futuro? O pensi ci possano essere delle limitazioni nel tipo di storie che si possono raccontare con questi personaggi?
C: A essere sincero, al momento non apprezzo particolarmente il ciclo della macchina del tempo. Mi spiego: ritengo che sia una bellissima trovata, e che abbia dato luogo anche ad avventure epiche (una su tutte: L’Atlantide continente perduto di Giorgio Pezzin)… penso però che negli anni se ne sia abusato, con storie dal canovaccio troppo ripetitivo. Adoro le storie con i viaggi temporali, ma preferisco che questi avvengano per qualche motivo estemporaneo, in modo da poter variare le dinamiche e non essere vincolati al classico binomio Topolino-Pippo + Zapotec-Marlin.
Approfitto della domanda per rispondere anche a coloro che mal han digerito il fatto che in Tutto questo accadrà ieri il ritorno di Mickey nel presente avvenga pochi secondi dopo la partenza (invece che dopo le canoniche dodici ore).
Ero (e sono) perfettamente consapevole di aver piegato alle esigenze della storia il funzionamento “classico” della macchina.
Però, guardiamola dal lato tecnico: mi serve che nella storia ci sia una macchina del tempo… Che si fa? La invento ex novo, solo per questa storia? Oppure, anticipo le sue nuove caratteristiche magari con un buffo dialogo tra i prof? Oppure ancora, spiego che i due non hanno settato l’orario del rientro? (mi riferisco al commento di Paolo Castagno sul forum del Papersera).
Le soluzioni per ovviare all’incongruenza ci sono. Però non mi piacciono.
Perché, alla fin dei conti, ciò che realmente a me serve è la coerenza interna della storia: a nessuno (o meglio, a pochissimi) interesserà mai che questa storia non sia in perfetta sintonia con le altre della macchina del tempo. Questa non è una storia della serie della macchina del tempo, è una storia in cui, toh!, c’è anche la macchina del tempo. Nella prossima avventura, che qualcun altro scriverà, la macchina tornerà ad avere le sue canoniche caratteristiche. Oppure, ci potrà essere qualcuno (io? ah ah!) che scriverà una storia ambientata nell’ottobre 2015 in cui Zapotec e Marlin spiegano a Topolino che d’ora in poi la macchina ha questo nuovo optional.
Chiudo ricordando che la continuity serrata non esiste e non può, per logica, esistere in un fumetto che ha quasi un secolo di vita e più di 30.000 storie di centinaia di autori diversi all’attivo.
Sto per esempio lavorando alla nuova storia di Eurasia (personaggio, ricordo, creato da me) che cerca Atlantide, ma mi informano che la Euri l’Atlantide l’ha già trovata assieme a Minni ed Eta Beta per mano di autori francesi nel 2008… Che faccio, mando a monte il mio ciclo per onorare la continuity? Ocio che lo faccio, eh!
Era solo per ricordare che alla fine stiamo discutendo di fumetti con topolini e cagnolini che parlano, e quindi è assurdo mettersi a litigare su cose per cui non vale la pena: incanaliamo le nostre energie in cose buone!
Ciao a tutti!

Ringraziamo ancora Casty e Massimo Bonfatti per averci concesso questa intervista.

Intervista condotta via mail il 25 novembre 2015

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