Elettra Stamboulis e Komikazen, la dedizione al fumetto

Elettra Stamboulis e Komikazen, la dedizione al fumetto

SPECIALE KOMIKAZEN - In occasione del festival del fumetto di Komikazen a Ravenna abbiamo intervistato Elettra Stamboulis, una delle organizzatrici dell'evento, nonché autrice, critica e Assessore all'Istruzione del Comune di Ravenna.

Perché organizzare un festival di fumetto? E perché un festival su quello che definite fumetto di realtà?
La motivazione reale è che ci piace proporre agli altri quello che piace a noi, e visto che spesso e volentieri questo non accade, Komikazen è il luogo dei nostri desideri. Poi anche per una vocazione al lavoro non retribuito… La definizione fumetto di realtà ce la siamo inventata per far capire che non ospitiamo tutto, per la tuttologia ci sono altri luoghi. Ma ci interessa quanto il fumetto fa per narrare il mondo.

Il nome che avete scelto, Komikazen, offre un chiaro riferimento da un lato alla militanza, ma dall’altro anche alla disperazione? O è totale dedizione?
In realtà il nome proviene da un fumetto di satira turco. Poi abbiamo scoperto che c’è anche un collettivo croato che si chiama più o meno così. Gioca con la parola comics e i kamikaze. E prevale la dedizione, senza disperazione.

Perché un festival e non una mostra mercato? Quali ritorni economici produce un evento di questo genere? O quali obiettivi si pone in senso generale, sul territorio?
Ritorni economici zero. Non siamo fatti per il commercio, ognuno ha i propri limiti. Noi siamo dei cercatori di orizzonti. Sul territorio l’effetto principale è dato dal premio Komikazen, ovvero la selezione dei disegnatori della nostra Regione e la realizzazione ogni anno di un libro: quest’anno produciamo il quarto, che secondo me è un libro di grande valore. Poi non ci sono molte situazioni così intime, dove si può dialogare con calma con gli autori, mescolare i piccoli con i grandi e creare incontri veri. Le fiere fanno rumore, non c’è ascolto.

La formula è in qualche modo cambiata nelle diverse edizioni, o no?
Sì, la formula si è sedimentata nel tempo sulla base degli errori fatti…

Peter Kuper per l'edizione 2009

Puoi ricordarci alcuni dei momenti più significativi delle passate edizioni, dal tuo punto di vista privilegiato?
Sicuramente le conferenze di Felipe Cava e Phoebe Gloeckner, poi i seminari di Zezelj e Peter Kuper con i giovani autori e curiosi. Il momento più divertente è stato però l’arrivo dei disegnatori turchi: leggevano la città sulla base della geografia di Istanbul. “Questa è Taksim, qui c’è Beyoglu…” E all’inaugurazione sono arrivati un folto gruppo di studenti turchi di Bologna, sbigottiti dal fatto di avere i loro beniamini in carne ed ossa così vicini.

Ci puoi presentare l’edizione di quest’anno? L’evento principale è senza dubbio il nuovo libro di Igort. Ce ne parli?
Il libro di Igort è sicuramente un incontro importante e la mostra è pensata per raccontare un viaggio e non un libro, per cui è diversa dalla quadreria seicentesca di alcune mostre di fumetto. Devo dire che però a mio avviso la chicca è avere Apostolos Doxiadis, scrittore e matematico di fama, e Alecos Papadatos, disegnatore per Logicomix, un libro straordinario che all’estero ha avuto un enorme riscontro. Doxiadis non viaggia in aereo e quindi è sempre un po’ restio a muoversi, il fatto che venga a Ravenna ci rende molto orgogliosi: tra l’altro proprio oggi ha saputo che Logicomix ha vinto il premio miglior fumetto straniero a Treviso.
Questo libro segna un’ulteriore svolta nella possibilità di raccontare del fumetto. Finora gli esperimenti tra scrittori famosi e disegnatori non avevano dato risultati così compiuti; inoltre il fatto di affrontare un tema come “le sfide della logica nella matematica…”, beh! Direi che è un bella sfida…

Come sono pensate le mostre? Credo che non sia mai facile presentare adeguatamente le esposizioni di tavole originali.
Hai proprio ragione. Sin dalla mostra di Joe Sacco nel 2002 ci siamo sempre posti il problema di come esporre. Tra i soci c’è un tecnico e scenografo teatrale, poi Gianluca Costantini che è un po’ il visionario della situazione e ora anche Riccardo Clementi, che viene anche lui dalla scenotecnica teatrale. Questo approccio ci ha sempre aiutato nel rendere le esposizioni qualcosa in più del libro appeso al muro. Diciamo che abbiamo un approccio emotivo all’allestimento.

Al festival è associata una premiazione. Come è pensata, organizzata e quali scopi si propone?
La selezione è uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista qualitativo: in giro ci sono un sacco di concorsi di fumetto e illustrazione. Komikazen è l’unico che premia con la realizzazione di un libro. È rivolto ovviamente ai giovani e devo dire che tutti i libri finora realizzati sono stati di qualità alta e hanno permesso agli autori di crescere. Come ha detto un premiato, “Komikazen non dà, chiede…”. Lo scopo del progetto è proprio quello di favorire la pubblicazione non solo dei giovani (non è questione anagrafica…), ma soprattutto di aprire nuove strade al fumetto, esplorare territori anche paludosi. Gli editori senza un sostegno non si avventurano in queste lande.

Che risposta del pubblico c’è stata in questi anni? Che riscontri avete avuto dalle persone? Quali interessi avete messo in circolazione?
Il pubblico è sempre stato in crescita: l’anno scorso con l’arrivo di Dave McKean si sono mossi da molte parti d’Italia, e devo dire che c’è sempre della transumanza da altre città. C’è poi un pubblico non di addetti e di appassionati, proprio di curiosi o di interessati ai temi affrontati e che non sanno nulla del fumetto come medium. Lavoriamo poi con le scuole, in particolare con il Liceo Artistico. Credo tuttavia che l’apporto maggiore sia stato per i disegnatori, i curatori, gli addetti ai lavori diciamo. Komikazen è un luogo che serve a scoprire il nuovo, crea relazioni, fa nascere progetti, anche all’estero.

Cos’è il  fumetto di realtà? Come lo connoteresti? E perché dargli rilevanza rispetto alle altre forme di fumetto?
La definizione ce la siamo inventata, prendendo spunto dal cinema e dalle letteratura di realtà. È semplicemente un’etichetta e come tutte le etichette mente sempre un po’.

Pensi che ci sia difficoltà in Italia nel rappresentare la nostra realtà, nell’ambito fumettistico?
Bella domanda. Direi proprio di sì. Forse siamo in un Paese non presentabile… Ci sono dei lavori anche discreti, che però hanno spesso un tratto eccessivamente intimistico oppure didascalico. O denunciano dalla prima tavola la propria tesi, oppure si guardano con grande piacere l’ombelico. Questi sono i difetti che noto più spesso quando si parla di Italia…

Il fumetto di genere (umoristico o avventuroso) che è quello senza dubbio più letto in Italia è solo fumetto di evasione? Non ha la capacità di rappresentare la nostra realtà?
Il fumetto di genere spesso rappresenta in modo mediato e particolarmente interessante la realtà del momento: vedi i supereroi, ad esempio. In Italia il fumetto avventuroso è impermeabile ai cambiamenti sociali. Quello umoristico invece ovviamente saccheggia dalla critica sociale a quella politica. Quindi è calato nella realtà, la deforma, cerca a volte di cambiarla.

Credi che il recupero della realtà, dei fatti, della quotidianità, possa essere un modo per creare una diversa attenzione al fumetto? Per trovare nuovi lettori?
L’importante sarebbe trovare nuovi canali distributivi. Il problema è tutto lì nell’editoria italiana. Forse esagero dicendo tutto, però in gran parte. Serve domani una legge sul libro, non solo di fumetti. Il fumetto è un medium. Può raccontare qualsiasi cosa, quello dei lettori è un altro tema. È vero però che l’attenzione per il fumetto grazie a questa nuova corrente è notevolmente aumentata.

Quali caratteristiche permettono secondo te al fumetto di essere efficace nel parlare della realtà? Il fumetto è vivo?
È un infante che deve ancora mettere i denti.

In fondo, credo che il fumetto debba ancora trovare uno spazio culturale riconosciuto. Sei d’accordo? A che punto siamo, secondo te? E come un festival come Komikazen può aiutare in questo senso?
Mi fai domande molto difficili… I festival sono occasioni culturali, commerciali, promozionali… dipende da come li intendi, da come li organizzi, dal cosa ci metti dentro. Il fumetto sta vivendo una stagione straordinaria di riconoscimenti. Tuttavia la crisi culturale e creativa che investe gran parte della produzione culturale (ed è produzione nel senso industriale del termine) mostra che il problema è nel DNA del sistema. Non basta avere riconoscimenti e stelline, bisogna avere anche il contenuto. E il pubblico. Il cambio culturale vero cui stiamo assistendo è il passaggio dalla forma libro ad una nuova fruizione del testo. Questo cambierà non solo il modo di fruire appunto il testo, ma anche di produrlo. È chiaro che il fumetto, come il romanzo, potrebbero scomparire, per lasciare il campo a nuovi modelli. Sarà molto interessante poter assistere a questa trasformazione che si porta dietro la tradizione finta: quando si passò dai codici ai libri a stampa, i libri a stampa mimavano i caratteri manoscritti dei codici. La tradizione deve essere invece tradita perché emerga il nuovo. Ecco, credo che siamo davanti a una cambiamento epocale.

Riferimenti:
Komikazen, festival del fumetto di realtà: www.komikazenfestival.org
Elettra Stamboulis, il blog: elettrastamboulis.wordpress.com

1 Commento

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  1. Michele Ginevra

    6 Ottobre 2010 a 23:07

    bella la frase dei cercatori di orizzonti e bella la foto di elettra!

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