John Doe vol. 1 – Il ritorno del Golden boy

John Doe vol. 1 – Il ritorno del Golden boy

La ristampa BAO è un'ottima occasione per recuperare o scoprire per la prima volta le avventure di John Doe, un fumetto di svolta per il mercato italiano.

john-doe-1-baoIl primo numero di John Doe arrivò nelle edicole nel 2003, mentre su internet imperversava la blog generation, al cinema usciva il Daredevil di Johnson, nei negozi la prima Xbox: tutte cose crollate sotto il peso del tempo, mentre John Doe sembra essere invecchiato bene.

Un veloce ripasso

Il piano di questa ristampa Bao prevede per il momento la pubblicazione in sei volumi del primo arco narrativo, composto da 24 numeri. Il lettering è stato totalmente rinnovato, mentre alcuni dialoghi delle storie di Recchioni sono stati rivisti per l’occasione. In questa prima stagione vediamo John Doe, presidente della Trapassati Inc., azienda che si occupa della gestione dei decessi degli esseri umani, scontrarsi con Morte, sua datrice di lavoro. Motivo del contendere, un “falso in bilancio”, ossia un anomalo ammanco di deceduti operato da Morte stessa, in combutta con gli altri tre cavalieri dell’apocalisse. John scappa così con la falce dell’Olocausto, necessaria a Morte per ripianare l’ammanco di cadaveri, scatenando una caccia all’uomo per gli Stati Uniti.

Tra passato e futuro

JOHN_DOE_1_042In quegli anni vacillava per la prima volta il fenomeno Dylan Dog, finito a tirare avanti riproponendo ciclicamente i costrutti narrativi che l’avevano portato al successo, insensibile ai cambiamenti di tematiche e, soprattutto, all’ineluttabile ricambio generazionale.
La creatura di Sclavi lasciava così un vuoto nella letteratura fumettistica, vuoto nel quale, con le dovute proporzioni, si infilava John Doe. Se la portata dei due fenomeni è incomparabile in termini di volumi di vendite, lo è sicuramente dal punto di vista qualitativo.

Non per nulla, Bartoli e Recchioni sono figli artistici (anche) di Sclavi e in John Doe ritroviamo un protagonista dal forte charme, fortunato con le donne, dal mestiere fuori dal comune, oltre a tutta una serie di rimandi, espliciti e non, alla cultura pop.

Ma la cosa più interessante è che, nonostante si parli di un’opera per molti versi derivativa, figlia cioè della rielaborazione da parte dei due sceneggiatori di elementi narrativi preesistenti, si riscontra una tendenza anticipatrice dei tempi non comune.

Le quattro stagioni

Il primo elemento che salta all’occhio è il concept dell’opera.
Una serie a fumetti suddivisa in stagioni non si era ancora vista, anche perché le serie TV avrebbero definitivamente spopolato di lì a poco (Lost nasce nel 2004), cominciando il loro cammino che le avrebbe portate ad insidiare molto da vicino l’industria del cinema. Invece John Doe era già lì, a fare da apripista ad una tendenza che oggi ha preso piede anche nel mondo dei fumetti.

A fare il paio con una così peculiare scansione temporale, troviamo uno stile narrativo interno agli albi che presenta elementi di novità. I primi quattro numeri si caratterizzano per un linguaggio di scrittura asciutto, che rifugge la verbosità e gioca molto sui comportamenti dei personaggi e su un legame più stretto del solito tra racconto e disegno, stile evidente soprattutto nel lavoro di Recchioni, sublimato nell’odierno Orfani.

Questa tendenza si esplicita in scene con pochissimi balloon, nelle quali alle immagini è affidato il compito di creare l’atmosfera o di descrivere emozioni in maniera più marcata del normale, tanto nelle sequenze più serrate quanto nelle inquadrature di più ampio respiro, dal taglio marcatamente cinematografico. A riprova di questo concetto, si consideri che la trama di tutta la prima stagione è riassunta in quelle poche righe riportate ad inizio articolo, dunque è evidente che Recchioni e Bartoli hanno tenuto alto l’interesse dei lettori costruendo una serie con una struttura ricca ed avvincente, caratterizzata da una tempistica narrativa più orientata all’azione.

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Fuori da ogni contesto

Così come Dylan Dog sorprese per la capacità di parlare ai ragazzi degli anni ’90, allo stesso modo oggi, da lettori novizi di John Doe, si rimane colpiti dalla sua freschezza a così tanto tempo dalla sua uscita.
Il direttore della Trapassati Inc. sembra riuscire laddove il detective di Craven Road dimostrò i suoi limiti, nella sua capacità cioè di essere intergenerazionale e risultare così meglio fruibile anche a distanza di anni. John Doe utilizza ancora i rimandi letterari e cinematografici sclaviani, ma li aggiorna e vi unisce quelli imprescindibili tanto per i quarantenni del 2010 quanto per le nuove generazioni, insinuandosi anche nelle nicchie della cultura pop e degli altri medium in espansione (serie TV, videogiochi); basti pensare allo spazio riservato alle automobili guidate da John, la NSX prima e la Mustang poi, che esplicitano la passione degli sceneggiatori per i motori.

Oltre a distinguersi per la progettualità, dunque, la serie può essere decontestualizzata senza perdere la sua valenza narrativa. Al di là del giudizio che ciascuno può dare dell’opera, si tratta di una qualità rara non solo nel mondo dei fumetti, ma nell’arte di raccontare in generale.

Lavoro di squadra

È inoltre da considerare l’importanza che questa serie ha avuto per l’intero movimento fumettistico italiano.
Va dato atto a Recchioni ed al compianto Bartoli di aver formato all’epoca dell’Eura una squadra di tutto rispetto, costituita per la maggior parte da volti allora nuovi, esordienti o quasi, assieme ad alcuni autori più esperti: Andrea Accardi, Massimo Carnevale, Werther Dell’Edera, Emiliano Mammucari, Matteo Cremona, Riccardo Torti, Riccardo Burchielli, Cristiano Cucina, Elisabetta Barletta, Giorgio Pontrelli, Alessio Fortunato, sono tutti autori oggi affermati oppure consacrati proprio da quell’esperienza per i quali John Doe è stato una vera e propria palestra.
La particolarità è che ancora oggi buona parte di questi autori collaborano fra loro, quasi sempre con Recchioni (che ha raccolto l’ideale lascito di Bartoli in questo senso) come anello di congiunzione, un po’ come se lo sceneggiatore romano fosse l’allenatore di una squadra di cui porta con sé gli uomini fidati ad ogni nuova avventura.

Uno sguardo da vicino

La narrazione di Recchioni e Bartoli è indirizzata verso una costruzione delle scene ora evocativa, ora particolareggiata, ben costruiti sono i dialoghi, netti e realistici, a volte sopra le righe, molto ben inframmezzati dall’io narrante di John nelle didascalie.
Numero d’esordio a parte, le storie che compongono il volume si presentano come variazioni dello stesso tema, col protagonista a cercare di far perdere le sue tracce.

JOHN_DOE_1_216È visibile la diversa mano dei due autori nel ritmo: più posato Bartoli, più incisivo Recchioni, mentre entrambi non fanno mancare al personaggio momenti di riflessione, spontanei e naturali considerata la tematica trasversale del viaggio. La quarta ed ultima storia, Il mare dentro, firmata da Bartoli, è quella più intimista e suggestiva e per certi versi la più riuscita, con Legami di Recchioni appena dietro.

I primi quattro numeri vedono alle matite, nell’ordine, Emiliano Mammucari, Walter Venturi, Giuseppe Manunta e il duo Marco Cedric Farinelli e Luca Bertelè. Tra tutte le interpretazioni, spicca il Golden Boy di Manunta in Legami, autore di un disegno molto dettagliato, netto, maturo (anche per questioni anagrafiche) mentre sorprende lo stile altalenante dell’allora nemmeno trentenne Mammucari, ancora lontano dalla pulizia e precisione raggiunte con il tratto odierno. Molto azzeccato lo studio e la caratterizzazione dei personaggi dal copertinista Massimo Carnevale, confermato anche in questa nuova edizione, i cui lavori preparatori sono visibili in appendice al volume.

La scelta di non puntare sull’unità stilistica potrebbe straniare il lettore meno smaliziato, ma risulta interessante per cogliere da subito le differenti sfumature del personaggio, anche perché non si riscontra una costruzione delle tavole così diversa dalla gabbia bonelliana, quasi a voler rassicurare il lettore, alle prese con tematiche piuttosto inusuali, in una sorta di cammino in equilibrio tra innovazione e tradizione, sicuramente centrato in questo primo scorcio della serie.

Alla luce di quanto affermato, la ristampa di una serie come John Doe (a maggior ragione se nell’ottima confezione Bao) non può che essere salutata con favore, perché permette di rivivere un’esperienza unica nella storia fumetto italiano, che per molti versi ha rappresentato una svolta, per quello dell’epoca e, indirettamente, per l’eredità autoriale che è arrivata fino ai giorni nostri.

Abbiamo parlato di:
John Doe – Volume 1
Roberto Recchioni, Lorenzo Bartoli, Emiliano Mammucari, Walter Venturi, Giuseppe Manunta, Marco Cedric Farinelli, Luca Bertelè.
Bao Publishing, aprile 2016
416 pagine, brossurato, bianco e nero –20€
ISBN: 9788865435816

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