Quattro interviste per scoprire Graphic News

Quattro interviste per scoprire Graphic News

Ritorna Nella Rete del Fumetto: Graphic News è tra i progetti digitali più interessanti dell'anno, per conoscerlo meglio abbiamo realizzato quattro interviste.

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Abbiamo avuto il piacere di approfondire la conoscenza di uno dei più interessanti progetti digitali dell’anno, Graphic News. L’abbiamo fatto attraverso le quattro interviste che vi proponiamo. Nell’ordine: Michele Barbolini, editor del portale; Francesca Zoni, autrice della storia Povere Veneri; Emanuele Racca, autore de Gli ultimi manicomi, e Eliana Albertini, autrice di Salvati dai ragazzini.

Intervista a Michele Barbolini

michele barbolniCiao Michele, puoi raccontarci com’è nato Graphic News?       
Il progetto è nato circa un anno fa, grazie all’interesse comune di alcune persone per il fumetto e per il mondo dell’informazione più in generale. Ci siamo tutti incontrati attorno all’associazione Mirada, un’associazione di Ravenna che da anni ragiona e lavora sul fumetto di realtà, organizzando un festival che si chiama Komikazen. Così è nata l’idea che si è concretizzata attraverso un bando del 2014, anno in cui abbiamo dato il via all’attività e al lavoro per la costruzione del sito.

Mi sembra che l’idea di fondo di questo progetto sia dare un’informazione diversa, che non ceda al sensazionalismo ma al contrario approfondisca i problemi, osservandoli anche da un’ottica diversa, dal basso ma senza scadere nel populismo.
Hai detto benissimo. A noi interessava lavorare col fumetto e con le possibilità che offre il digitale per realizzare dei contenuti informativi diversi e innovativi, dei quali crediamo e pensiamo ci sia bisogno. Quindi, un’informazione non schiacciata e appiattita sulla cronaca quotidiana o sulla ricerca dello scoop, ma un’informazione che ha il taglio dell’approfondimento e dell’inchiesta, che si dà il tempo per approfondire un argomento e interpretarlo attraverso il tratto autoriale di un fumettista.

Cosa può dare il fumetto più della parola quando si racconta una notizia?
È una forma espressiva personale che può restituire la realtà attraverso una lente particolare, per cogliere e restituire dei significati ulteriori. Il fumetto, ormai è chiaro da tempo, ha rotto quelle barriere che lo confinavano all’intrattenimento o comunque al mondo dei fan o di una certa nicchia. Sta dimostrando di poter raccontare qualunque cosa, qualunque tema. Da qui l’idea di strutturare il nostro sito secondo le categorie classiche del giornalismo, la nostra idea è di poter parlare di tutto: di economia, di scienza, di cultura, di politica, di sport attraverso questo linguaggio.

elena guidolin
“Ville tristi” di Elena Guidolin

Come dicevi, è possibile affermare che vi sia un interesse crescente verso il fumetto anche da parte di chi non è un lettore abituale. Questa categoria del graphic journalism ha avuto particolare successo, anche di recente con la collana in allegato al Corriere della Sera. Da cosa dipende tale successo?
Intanto diciamo che il mondo del fumetto anche in Italia vive una stagione felice, sia per quanto riguarda il fumetto più classico che nella forma del graphic journalism. Ciò si deve anche alle testate nazionali che da tempo stanno cercando di portare in Italia questa modalità di fare informazione, basti pensare all’operazione di Zerocalcare su una testata come l’Internazionale. Un lavoro, quindi, da parte di autori, riviste lungimiranti e intelligenti e di una spinta proveniente anche dall’estero, da testate come ad esempio The Guardian che da tempo pubblica contenuti di questo tipo, e al lavoro di molti fumettisti nel mondo.  

GraphicNews si è fino ad oggi occupato di argomenti anche molto diversi tra loro e raccontati attraverso varie forme. Come selezionate le storie, le tematiche, gli autori?
GraphicNews è per ora in una fase ancora embrionale. Abbiamo in mente le linee del progetto: graphicnews ambisce ad avere una dimensione internazionale, sia per quanto riguarda le tipologie di temi trattati che per quanto riguarda i collaboratori; a breve, infatti, sarà online anche la versione inglese, in quanto il progetto è stato da sempre concepito quanto meno bilingue. Per ora le storie nascono in vario modo: da un lato c’è la redazione che riflette su dei temi e quindi dà lo stimolo ad alcuni disegnatori, dall’altro arrivano gli stimoli alla redazione da disegnatori ma anche da chi non disegna. Ogni storia ha quindi dietro una produzione differente. A oggi non escludiamo alcuna possibilità che possa portare a una storia, anche perché non è ancora così diffusa la figura del giornalista-disegnatore. Quindi c’è un forte lavoro di redazione dietro ogni storia, altra cosa che ci sembra venir sempre meno nell’informazione tradizionale.

pietro scarnera

Tra le tante storie sono rimasto particolarmente impressionato in particolare da  Mediterraneo di Pietro Scarnera che, attraverso un’idea semplice ma allo stesso tempo molto forte, racconta la tragedia dell’immigrazione dal continente africano. Le vostre storie anche visivamente sono molto forti e colpiscono l’immaginazione del lettore, molto più di quanto potrebbero fare le semplici parole. Quanto ricercate questa forza visiva?
Sicuramente per noi è importante. Tra l’altro Pietro Scarnera è tra i realizzatori del nostro progetto. Ciò che fa Pietro con la sua storia è molto significativo: fondamentalmente è una sorta di infografica che non fa altro che mostrare dei dati, volendo a tutti noti e presenti su molti giornali, ma allo stesso tempo sfruttando le potenzialità del mezzo, riuscendo dunque in pochi istanti e rapide immagini a rendere la complessità e la drammaticità degli eventi. Questa storia in particolare sta circolando molto, perché trova nella semplicità la sua forza.

Ci puoi anticipare qualcosa sulle prossime storie che verranno pubblicate?
Oggi uscirà una nuova storia che si intitola Genuino clandestino. È uscito da poco un libro dallo stesso titolo che racconta questa rete nazionale che riflette e ragiona su questo modo diverso di avvicinarsi al cibo, di produrlo e di consumarlo. La storia è dunque una riflessione etica e sostenibile su un tema così importante, in un senso diametralmente opposto a ciò che si dice di voler fare all’EXPO.

Intervista rilasciata telefonicamente il 17 aprile 2015

 Intervista a Francesca Zoni

francesca zoni2Francesca Zoni nasce a Bologna nel 1989. Diplomata all’Accademia di Belle arti di Bologna nel corso di Fumetto e illustrazione, le sue storie sono state ospitate da varie riviste come Lok e Lo Straniero. Nel 2011, in occasione del Lucca Comics&Games, ha autoprodotto il fumetto Temaunico. Nell’edizione 2014 del Napoli Comicon era tra i quattro artisti selezionati per la tredicesima edizione di Futuro Anteriore. Per Graphic News ha realizzato la storia Povere Veneri . Questo è il suo blog.

Com’è nata la storia Povere Veneri e cosa ti ha portato a scegliere di trattare il tema della prostituzione?
Come sempre, è nata un po’ per caso. Gianluca Costantini (fondatore dell’associazione Mirada, ndr) mi aveva messo in contatto con Pietro Scarnera per partecipare a questo progetto. Per caso avevo conosciuto una ragazza che aveva fatto volontariato con l’associazione Via Libera e parlando con lei mi incuriosì molto la sua esperienza, essendo un tipo di volontariato particolare. Quindi, mi ha messo in contatto con i ragazzi dell’associazione. Sono stati molto disponibili ed io non avrei mai pensato che mi avrebbero portato con loro durante un’uscita. Quando una delle fondatrici, Barbara, me l’ha proposto io ho immediatamente accettato: mi sembrava un’esperienza forte da raccontare e viverla in prima persona mi sembrava utile, sia da un punto di vista personale che ai fini del reportage.

Dunque, l’esperienza sul campo è una delle peculiarità della tua storia. Come ha influenzato il tuo lavoro come fumettista?
Vivere quell’esperienza, alla guida del furgoncino, è stato fondamentale. Mi ha consentito di entrare nella storia, permettendomi di sapere bene ciò che volevo raccontare. Anche da donna, entrare in contatto con altre donne e ragazze, anche più giovani di me, è stata una vera e propria scossa.

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Dalla tua storia emerge chiaramente non solo una questione di genere, ma anche il peso delle differenze culturali, delle tradizioni (il voodoo per le donne africane, ad esempio), della complessità dei rapporti all’interno delle famiglie.
Sì, anche io sono rimasta molto colpita da questi aspetti. In primis, dal tipo di rapporti. Avevo sempre pensato che il rapporto si esaurisse in magnaccia-puta, fine. Invece dietro c’è una maggiore complessità, ad esempio quando lo sfruttatore è un fidanzato o una Maman. A quel punto mi sono detta: “Aspetta, qui ce n’è da raccontare!” Parlando con le ragazze, io stessa sono rimasta stupita e raccontare è diventato sempre più importante. Il reportage doveva avere anche una determinata lunghezza, quindi ho tagliato molto, ma ci sarebbe stato molto altro da raccontare su questa situazione.

Avendo maggiore spazio, cos’altro avresti raccontato di questa serata particolare che hai trascorso?
Mi sarebbe piaciuto raccontare le storie di altre ragazze che qui non ho messo, avendo dovuto fare una selezione e scegliere le più rappresentative. Mi sarebbe piaciuto parlare un po’ di più delle ragazze nigeriane, anche se con loro è stato un po’ più difficile parlare. Inoltre, era una serata un po’ particolare essendo agosto e c’era un numero minore di ragazze, dunque mi sarebbe piaciuto fare un altro giro. Mi sarebbe piaciuto approfondire anche la situazione delle ragazze italiane, che erano poche e avevano meno voglia di parlare rispetto alle ragazze straniere, per comprenderne appieno le condizioni e le motivazioni.

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Su questo argomento, credo che il dibattito pubblico sia un po’ appiattito e tende a soluzioni semplicistiche. Nel tuo reportage hai fatto riferimento anche alle case chiuse, che talvolta vengono indicate come una delle possibili soluzioni.
Detta brutalmente, la strada è appunto strada. Le ragazze che sono lì si vedono, mentre in casa diverrebbe tutto più complicato, anche per associazioni come Via Libera. Certo si potrebbe immaginare una “casa chiusa ideale” dove tutto è registrato e controllato, ma sinceramente ci credo poco a una soluzione così trasparente.

A tuo parere, c’è qualcosa in particolare che sterilizza il dibattito pubblico su questo tema?
Penso che uno dei problemi sia che si dà oramai per scontato la loro presenza, quasi come se fossero diventate un po’ parte della scenografia urbana, senza rendersi conto che tra il nostro mondo e il loro c’è un abisso, un’enorme differenza. Del resto se ci sono loro, è perché ci sono clienti.

Cosa ti ha dato il disegno in più rispetto alla parola nel raccontare questa storia?
Per alcune parti, come quella dell’aborto, sarebbe stato impossibile per me raccontare con le parole quella violenza allo stesso modo di quanto ho potuto fare attraverso il disegno, andando a tagliare direttamente la carta. I gesti che ho potuto raccontare attraverso il disegno o la rappresentazione delle ragazze senza volto: ecco, con le parole non sarei riuscita a inserirci la mia sensibilità. Non potevo dirlo in altro modo se non con il disegno.   

Intervista rilasciata telefonicamente il 23 aprile 2015

 Intervista a Emanuele Racca

emanuele raccaEmanuele Racca è nato nel 1988 in Piemonte, ha studiato fumetto all’Accademia di Belle arti di Bologna. Ha pubblicato il volume La caduta (ProGlo 2014) e ha contribuito al volume antologico Dieci Lune, edito da Bae Edizioni. Per Graphic News ha realizzato la storia Gli ultimi manicomi. Questo è il suo Tumblr.

Com’è nato Gli ultimi manicomi?
Sono arrivato a Graphic News in un modo un po’ particolare, potremmo dire dalla porta di servizio. Conosco molto bene Pietro (Scarnera, ndr) e Federico (Mazzoleni, ndr) e da due anni sono volontario fisso al Komikazen di Gianluca Costantini e Elettra Stamboulis. Costantini è stato anche mio insegnate all’Accademia di Bologna. Ho deciso di fare il tirocinio diviso fra l’associazione Mirada che organizza Komikazen, e Graphic News, che all’epoca era agli inizi. Così ci siamo trovati io e altri tre ragazzi a confrontarci con Pietro Scarnera, che di fatto ha lavorato come editor, ci ha proposto diversi spunti e ho trovato da subito interessante la storia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ci son tante cose che non funzionano in Italia, ma quando è la sanità ad avere dei problemi, delle ombre, allora è davvero il caso di raccontarlo e di farlo in fretta. Così la scelta è caduta sugli Opg e sul continuo rimando della chiusura di qualcosa che avrebbe dovuto cessare di esistere già nel 1978.

Qual è stato dunque il ruolo della redazione di graphic news nella nascita della tua storia?
Ci siamo confrontati sulla scelta della tematica, sul come raccontare questa storia che alla fine è diventata un’infografica, un’introduzione al tema degli Opg. Ci siamo anche confrontati molto sul “mezzo”: pensare un fumetto per la visualizzazione web è molto diverso dal farlo per il cartaceo e per me era la prima volta. Raccontare una storia che parte da Cesare Lombroso e arriva ai giorni nostri rischia di essere un po’ noioso, ma al tempo stesso c’è la necessita di essere esaustivi, di voler raccontare bene una storia. Così è stato necessario un grande lavoro sui testi, sulla sintesi, in cui mi ha aiutato molto Pietro. Ugualmente anche per la documentazione, abbiamo cercato insieme il maggior numero possibile di fonti, di articoli e di documentari, per poi costruire un puzzle di quella che è la storia dall’origine dei Manicomi Criminali, fino ad arrivare agli esempi concreti della commissione d’inchiesta del senato, che è riuscita ad entrare in alcune strutture senza preavviso e a vedere quindi le reali condizioni in cui vivono/vivevano gli internati.

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Il mezzo fumetto e in particolare la sua declinazione digitale ti hanno dato qualcosa in più nel raccontare questa storia, che in altro modo sarebbe andato perso?
Il tema che ho trattato per me è molto duro: ho visto i documentari con i volti, le voci, a volte le storie delle persone recluse negli Opg, e devo dire che queste immagini mi hanno scosso parecchio. Sono dei video molto importanti ed è eccezionale che siano stati girati, così da smuovere l’opinione pubblica a fare qualcosa. Tuttavia,  quando racconto una storia, una storia così forte che riguarda delle persone che esistono davvero, ho sempre un po’ paura di cadere nella morbosità. Raccontare questa storia attraverso il fumetto, che è filtro della realtà, mi ha permesso di distaccarmi quel tanto che bastava per poterne parlare con lucidità. Per raccontare con tatto la storia di quanti sono o sono stati lì dentro. Le persone nei video sono fortemente sedate e in condizioni igieniche spaventose, quello che intendo è che non è colpa loro ma del sistema, e mi sarei sentito in colpa a ritrarli in maniera troppo realistica.

Quali sono state dunque le fonti che hai utilizzato per raccontare la tua storia?
Abbiamo cercato tutte le informazioni reperibili sul web, ad esempio il portale www.stopopg.it che da anni si impegna per scongiurare il rinvio della chiusura degli Opg, e il sito www.associazioneantigone.it che si occupa dei diritti nel sistema penale e che ha redatto dei rapporti molto dettagliati sulle sei strutture di internamento. Inoltre sono facilmente reperibili su youtube i video della commissione d’inchiesta del Senato e trasmessi nel programma tv PresaDiretta che forniscono un quadro molto esaustivo delle condizioni di questi “Ospedali”.

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Hai altre storie in cantiere per Graphic News?
Stiamo discutendo su due diverse storie, una di tematica sociale/sanitaria, l’altra più d’attualità. Entrambe hanno in comune l’idea di sfruttare la mia attuale trasferta francese, così da poter andare a parlare di persona con associazioni, fonti e persone.
In generale spero di lavorare ancora con i ragazzi di GraphicNews perché oltre ad essere amici, oltre ad essere un progetto che ho visto nascere, quello che stanno facendo è davvero qualcosa in cui credo. Penso che il Graphic Journalism possa essere un’alternativa potente al classico giornalismo. L’informazione fatta in questo modo guarda a un approfondimento che è molto diverso da quanto si legge sui giornali, dove ci si piega a spazi e tempistiche di realizzazione molto limitati, fornendo troppo spesso quadri incompleti.

Intervista realizzata via chat l’8 maggio 2015

 Intervista a Eliana Albertini

eliana albertiniEliana Albertini è nata ad Adria (Rovigo) nel 1992, ha frequentato il liceo artistico e frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2014 è co-fondatrice del collettivo Blanca. Nel 2015 è stata selezionata alla mostra degli illustratori della Children’s Book Fair di Bologna. Per Graphic News ha realizzato la storia Salvati dai ragazzini. Questo è il suo tumblr.

Com’è nata la storia Salvati dai ragazzini?
È nata dalla proposta di Pietro Scarnera, fondatore di Graphic News, di creare una storia che facesse della mia selezione alla Children’s Book Fair di Bologna un pretesto per discutere della situazione generale dell’editoria per ragazzi oggi in Italia e nel mondo. Inizialmente ho creato una storia che parlava più della mia esperienza personale, ma grazie ad accorgimenti successivi è diventata una vera e propria indagine sul tema, un qualcosa che, oltre a parlare di come funziona la fiera del libro, tratta il tema dell’editoria per ragazzi e spiega a tutti qual è la sua rilevanza nell’universo del libro.

Qual è stato il tuo ruolo al Bologna Children’s Book Fair?
Quest’anno sono stata selezionata per la prima volta alla mostra degli illustratori. Inaspettatamente, perché era anche la prima volta che partecipavo! Sono stata alla fiera per qualche incontro (tra cui “The Reasons of a choice” al cafè degli illustratori, dove i selezionati incontravano la giuria), ma per il resto mi sono goduta la mostra e ho gironzolato per gli stand degli editori. Nonostante la mia selezione sto ancora studiando e voglio essere pronta prima di propormi come autrice.

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Nel tuo reportage hai messo in evidenza la crescente rilevanza , in alcuni dei mercati editoriali più importanti al mondo, di quel genere letterario definito Young Adults. Qual è lo stato di salute nel nostro paese di tale genere letterario, anche nel mondo del fumetto?
Nel nostro paese credo ci sia una situazione contrastante riguardo il genere. Di sicuro rispetto la crisi generale che ha colpito tutti i settori negli ultimi anni, gode di una posizione privilegiata. Prendendo in considerazione la Children’s Book Fair, è inevitabile notare un grande fermento, un grande circuito che si muove, lavora e produce, che crea opportunità per tantissime persone. E questo vale anche per il fumetto ovviamente, basta prendere in considerazione tutti i bellissimi festival che si svolgono nel corso dell’anno, e non parlo solo di Lucca Comics ma anche di realtà più piccole dove il rapporto con gli autori e il genere si fa più intimo e profondo. È un grande e bellissimo parco, che però sembra autoalimentarsi. Penso sia questo il fatto principale, chi lo sovvenziona è chi ci sta dentro. I dati di crescita risultano elevati proprio perché si contestualizzano all’interno di un genere che, in Italia, resta di nicchia. Esistono pareri divergenti riguardo ciò, io credo non sia un vero problema per il momento anche se, per quanto mi riguarda, cerco sempre di educare chi mi sta attorno (parlo di chi non disegna o abitualmente non si interessa all’arte) non solo al genere fumetto/illustrazione, ma alla vera e profonda importanza delle immagini nella nostra quotidianità. E quando il riscontro è positivo, beh, è bello!

Interessante il dato per cui circa l’ottanta per cento di tali libri sono acquistati da adulti. Ha realmente, dunque, tale genere letterario la capacità di avvicinare nuovi lettori o è solo un “gioco di prestigio”?
È un genere letterario che attira gli adulti ma per motivi che vanno aldilà di essere genitori che semplicemente comprano libri ai figli. Oltre alle rivistine patinate da edicola, il genere comprende anche libri che sono oggetti curati in ogni minimo dettaglio, dalla forma al contenuto. Spesso quando si pensa all’editoria per ragazzi, è facile cadere in stereotipi e immagini standard, sempre uguali e un po’ leziose. Invece ciò di cui hanno bisogno i lettori più giovani è esattamente l’opposto, senza sottovalutare la loro grandissima capacità di comprensione. Perciò quando un libro (a volte catalogato come “per l’infanzia” semplicemente per convenzione) si spinge oltre, diventa automaticamente qualcosa che può essere fruibile anche da un adulto. Da adulti che ovviamente sono già lettori e che quindi hanno una sviluppata sensibilità nei confronti di certi mondi. Perciò si, può avvicinare nuovi lettori ma sempre considerando alcuni limiti.

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Per il tuo reportage hai scelto lo strumento del webcomic, consideri il fumetto digitale un mezzo in grado di allargare la platea dei lettori?
Lo considero un mezzo davvero molto potente nella nostra epoca. Se costruito in maniera intelligente come è stato fatto sul portale Graphic News, si eleva a strumento di informazione rapida, efficace e mirata. Perché per far funzionare bene l’abbinamento fumetto/web, le storie devono essere studiate ad hoc, con uno scorrimento delle immagini e del testo che le rendano fresche, facilmente fruibili e avvincenti. Solo così ci si assicura la loro efficacia, ed ecco che allora il webcomic può diventare anche un mezzo in grado di allargare la platea di lettori.

Intervista realizzata via mail il 2 maggio 2015

 

 Si ringraziano gli intervistati per la loro disponibilità

 

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