Con Gabriele Munafò scopriamo la visione di Eris Edizioni

Con Gabriele Munafò scopriamo la visione di Eris Edizioni

Eris Edizioni vara la collana Kina, dove propone Fumetti di importazione e opere di esordienti italiani: che cosa ha spinto la casa editrice nel mondo del fumetto? Ne parliamo con Gabriele Munafò, responsabile editoriale.

eris_logo_rossoGabriele Munafò è direttore editoriale di Eris Edizioni, casa editrice di Torino che, dopo la pubblicazione del volume Filastin sulla produzione dell’autore palestinese Naji Al-Ali (qui la nostra recensione) nel 2013, nel 2014 ha varato Kina, una collana dedicata al fumetto, dove proporre, accanto a opere straniere affermate, lavori di esordienti italiani.
Abbiamo intervistato Munafò sulla visione e le scelte che hanno spinto Eris a varare Kina e sul lavoro che accompagna produzione e promozione delle opere.

Che cosa ha spinto Eris a produrre fumetto? Il mercato è povero, i lettori pochi in un paese dove si legge sempre meno.
Tutto nasce semplicemente dalla passione per il fumetto e soprattutto per il mondo dei fumettisti. Sin dall’inizio del nostro progetto sognavamo di dare il via a una collana di fumetto. Abbiamo iniziato con l’organizzare la Comics Battle qui a Torino, e a pubblicare delle storie brevi dei primi quattro classificati alla gara, che sono uscite appunto in due antologie.

eris_nocomicsNocomics, giusto?
Esatto. Ma naturalmente aspiravamo a pubblicare opere più complete e complesse come un graphic novel. Nel caso di autori italiani, accompagnandoli passo dopo passo alla realizzazione dell’opera.

Il che significa investire su e curare l’editing.
Sì assolutamente, e in una dimensione laboratoriale con l’autore, senza cioè imporre tagli o modifiche dettati da appetibilità commerciali. Con Matteo Manera e Alessandro Caligaris abbiamo solo cercato di unire le forze affinché uscisse il meglio che potevano tirare fuori, contando il fatto che sono entrambi esordienti. Come per le altre nostre collane, quando lavoriamo all’editing cerchiamo sempre di capire dove l’autore vuole arrivare e in questo lo aiutiamo, quindi sempre solo nell’ottica di rendere al meglio la sua idea iniziale e non di stravolgerla o appiattirla attraverso gusti o modi estranei ai sentimenti e agli intenti del progetto.

eris_ManeraMatteo Manera e Alessandro Caligaris propongono due lavori fra loro molto distanti, sia per tematiche sia per approccio grafico: che cosa le rende parte della visione di Eris (che, considerando i lavori di Kriek e Vassaf, direi indica uno spazio tematico vastissimo)?
Verissimo. Diciamo che i parametri che utilizziamo quando scegliamo di pubblicare un’opera sono tendenzialmente due: che abbia un’affinità con la realtà in cui viviamo, e che dietro al lavoro dell’autore ci sia un reale percorso di ricerca personale, oltre alla validità e funzionalità della storia. Nel caso di Alessandro e Matteo tutto questo c’è. Inoltre sono stati dei vincitori della Comics Battle e come premio abbiamo loro proposto di presentarci dei progetti, ed ecco i due libri.

Caso Manera: Fino all’ultima mezz’ora. Il racconto scorre con grande naturalezza, è cadenzato in maniera efficace, evita il bozzettistico, ha una dose di malinconia che è certo tipica del genere, ma che rimane sottile, mentre in primo piano resta sempre il confronto col ricordo. Come avete valutato la scelta di uno stile che richiama quello di Gipi? Non avete temuto il rischio di un eccessivo richiamo a quel tratto identificato con un autore?
Questo rischio ci era palese. Ma anzitutto deve essere chiaro che in realtà Matteo si ispira anche al gusto grafico di Alfred e, generalizzando sempre di più, al graphic novel francese. Inoltre, se tu vai a vedere i racconti che ha pubblicato nei due Nocomics, troverai uno stile totalmente differente. Queeris_ultima_mezzora_30_minista improvvisa virata ci ha molto stupito e abbiamo pensato che potesse essere l’inizio di una sua ricerca personale, che per forza di cose vive e si nutre d’influenze.
Sotto un profilo prettamente editoriale, ci ha convinto però il tono della storia, il suo stile, la sottile magia nel descrivere gli attimi, quasi con tenerezza. Insomma uno stile che nei lavori di Gipi non è presente in questi termini.

 In effetti, anche pensando a Questa è la stanza, le atmosfere sono assai diverse.
Matteo è d’altra parte consapevole del dover continuare il suo percorso di ricerca e arrivare a un qualcosa di unicamente suo. Ne abbiamo molto discusso insieme. E, d’altra parte, questa è anche la nostra piccola sfida come editore. Attuare una sorta di “politica degli autori” che in poche parole così si spiega: se gli emergenti non hanno modo di iniziare a lavorare su progetti propri e complessi come un graphic novel, confrontandosi un minimo con il mondo editoriale e non nel buio dei loro studi, come possono giungere a una maturità artistica? Matteo ha una capacità narrativa che è sua e che è giusto che sviluppi sempre più.

Hoarders di Caligaris si situa a un ideale polo opposto rispetto all’opera di Manera.
Sì, sono distantissimi.

eris_caligarisQui enfasi dove là c’è delicatezza di toni; densità e voglia di comunicare pensieri complessi che emerge al primo livello di lettura, laddove in M” abbiamo un primo livello di puro godimento, che porta alla complessità, ma senza forzare il lettore.
Sì soprattutto se si pensa al finale scelto da Matteo, in cui il protagonista si scontra con una realtà molto cruda, dopo tutta la malinconia e la magia.

Graficamente: un tratto che vuole essere disturbante, contro un approccio che vuole avvicinarsi al poetico. Dal punto di vista del prodotto direi che Hoarders sia assai più difficile da promuovere.
Hoarders è molto difficile da promuovere: propone una ricerca personale ancora più accentuata, difficile da collocare nella gabbia dei generi fumettistici riconosciuti. Passa dal graphic novel d’autore americano, a un certo fumetto italiano (penso ai vari Pazienza, Tamburini, eccetera) al manga, senza essere nulla di tutto ciò. È riuscito a elaborare una visione fantascientifica e sarcastica di un mondo in decadimento e dominato da un potere inquietante, conciliando satira e azione. Lo stile grafico come dici anche tu, non è facile: è nervoso, pieno (teniamo conto che Alessandro Caligaris viene dalla pittura e dalla street art). Però in questi mesi di anteprime e piccole presentazioni, ci ha stupito per il calore che ha ricevuto.

eris_hoarders_tavolaLo stile e l’approccio di Caligaris risultano in un tempo di lettura lungo: testo denso e immagini da decodificare. Certamente esprime (almeno: è facile leggervi) il senso di claustrofobia di una generazione che si vede chiusa in un mondo senza uscita.
Sì, lo stile di Alessandro, anche se come dici tu comporta tempi di lettura non rapidi, si sposa perfettamente con l’idea di rappresentare il senso di claustrofobia in un mondo che a malapena riesce a sopravvivere a se stesso. Io penso però che lui intendesse riferirsi a uno scenario più vasto rispetto a quello di una sola generazione, anche se in molti passaggi sono palesi gli ammiccamenti dal tono satirico e grottesco alla generazione dei trentenni, o dei quasi trentenni di oggi.
Sapevamo di pubblicare un lavoro non facile e per certi diversi distante dalle proposte più attuali. Però proprio questo miscuglio di generi “fumettistici” sposato a una storia dai toni oscuri e inquietanti, che tenta di fare delle riflessioni sulla nostra realtà attraverso il meccanismo narrativo del genere, ci è piaciuto e ci ha convinto a dar vita a questo graphic novel. Seppur attraversato da una così intensa ricerca da parte di Alessandro. E probabilmente il lettore che è alla ricerca di qualcosa di diverso, in Hoarders potrebbe trovare una buona alternativa.

E, in questo senso, il didascalismo che qua e là affiora è probabilmente passione che tracima dal controllo tecnico.
Sicuramente Alessandro si è trovato, come ogni autore, a cercare un equilibrio tra la sua voglia e passione di raccontare qualcosa che gli sta molto a cuore e la necessità di creare un racconto appassionante e funzionale. Ogni tavola è densa, e ricca e leggibile su diversi piani. Forse questo chiede uno sforzo in più al lettore, ma gli restituisce una complessità del mondo rappresentato che per certi versi è molto più interessante e “viva” di una ricerca di sintesi a tutti i costi. E questo mi sembra un aspetto positivo. Credo che abbia raggiunto comunque un buon equilibrio per essere un’opera prima (e tenendo conto che si tratta di un racconto di ben 210 tavole!), dimostrando una naturalezza nel narrare che Alessandro non può che affinare continuando il suo percorso.

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Parli di “mesi di anteprime e piccole presentazioni“: quanto pesa l’opera di promozione nella produzione di un’opera? In particolare, nel caso di opere di esordienti, si deve riuscire a dar loro un’identità che spinga i potenziali lettori ad avvicinarle.
Sì è una difficoltà con cui conviviamo quotidianamente. Con il tempo abbiamo imparato ad usare due pesi due misure, del tipo: inutile sentirci frustrati se i nostri libri non compaiono recensiti sui grandi giornali. La nostra è una piccola realtà e di conseguenza deve adeguarsi cercando di sfruttare al massimo tutte le possibilità che ha. Uno dei metodi è un’attiva partecipazione dell’autore a questa parte del lavoro. Questo significa che il loro lavoro non finisce mai con la stampa del libro. È lì invece che inizia tutto: promuoverlo, portarlo in giro è parte del loro lavoro. Anche perché, in casi come questi, il libro è strettamente legato all’autore, a come si pone con il mondo fumettistico, a quanto può sentire sua l’opera. Non che noi nel frattempo ci giriamo i pollici: anche in questa fase si tratta di lavorare in squadra. Supportare con l’ufficio stampa, con gli spazi per le presentazioni, con la distribuzione e le spedizioni etc. Ecco: pure senza avere scalato le vette dell’editoria italiana, con questo meccanismo Eris si regge in piedi da quattro anni. E in più ti posso dire che non c’è niente di più costruttivo, tanto per l’autore quanto per il nostro progetto, del poter girare, conoscere, farsi conoscere, e confrontarsi con altre persone, che magari operano nello stesso campo. A volte può valere molto più di una recensione.

eris_lovecraftQuesto non indica forse che il lettore preferisce il rapporto con l’autore, la ricerca di un’empatia personale, rispetto all’analisi dell’opera?
Soprattutto nel mondo del fumetto abbiamo sperimentato che c’è questa esigenza da parte del lettore di incontrare l’autore non solo per il rito di farsi autografare la copia del libro, ma anche per fare due parole e avvicinarsi nel fantastico mondo di chi crea. A Lucca per esempio, Alessandro e Matteo nonostante giovani ed esordienti rispetto all’affermato Erik Kriek, sono stati letteralmente tartassati e assediati dal pubblico al nostro stand che voleva sapere di tutto da loro, dalle tecniche utilizzate al capire attraverso quale percorso un autore giovane riesca a completare e pubblicare il suo primo libro. E poi ancora discussioni sul fumetto in genere, sugli stili, le influenze!
Diciamolo questa è una cosa che avviene quasi solo nel fumetto. Noi che abbiamo altre collane, sappiamo che per esempio nella narrativa, una cosa del genere è difficilmente possibile. E questo perché il pubblico del fumetto è innanzitutto molto più preparato, ma soprattutto perché come genere editoriale, il fumetto, è rimasto alla portata di tutti in quanto “genere basso” (aspetto che di solito crea non pochi problemi alla nona arte, in primis lo svincolarsi dalla convinzione comune che sia un prodotto per bambini/ragazzi) rispetto alla narrativa, genere alto, che tende però a tenere distanti i suoi lettori.

In questo senso, come avete vissuto l’esperienza di Lucca Comics 2013?
Lucca è stata una piacevole sorpresa, anche se inizialmente ci ha procurato non poche ansie per i preparativi. Puoi immaginare: un editore sconosciuto che esordisce nella più grande fiera del fumetto in Italia, in mezzo a colossi e artisti di prima categoria…

…Nel tendone in Piazza Napoleone!
Già, io non ci ho creduto sino a quando ho visto lo stand. Comunque siamo rimasti molto soddisfatti, perché il nostro metodo di lavoro, la nostra cura editoriale (anche nell’allestimento dello stand) ci ha premiato! Abbiamo ricevuto approvazioni sia dagli addetti ai lavori che dal pubblico. Un risultato molto importante sia per Eris che per gli autori esordienti a cui siamo riusciti a dare il giusto valore e la dovuta visibilità. Il rischio era quello di confondersi nella massa, o ancora peggio di dare un’immagine troppo amatoriale, come spesso può capitare quando hai a che fare con un pubblico molto informato e consapevole come quello del fumetto. C’è anche da dire che siamo riusciti a portare opere come H.P. Lovecraft – Da altrove e altri racconti, Nel paese dei Mullah e Filastin che, nonostante siano di innegabile valore, appartengono ad autori che non sono mai stati pubblicati in Italia, scelta di cui ci è stato riconosciuto il merito.

eris_lovecraft_tavola_miniLovecraft sembra aver raggiunto lo status di classico, che ha portato anche a molti adattamenti in fumetto: pensi che questi adattamenti contribuiscano a mantenere viva la sua opera o che gli adattamenti si giovino della fama degli originali?
Dipende dall’adattamento, chiaramente. È l’approccio dell’autore che fa la differenza, anche se è naturale che l’adattamento di un classico trovi forza e attenzione dalla fama dell’originale.
Kriek è un cultore del genere horror, oltre che un autore, (basta farsi un giro su internet e vedere i suoi lavori o il suo studio…) e, come ci ha raccontato a Lucca, per lui Lovecraft è una delle letture giovanili che l’hanno avvicinato al genere. Quello che più l’ha affascinato dello scrittore di Providence, sono quegli universi in cui l’uomo è schiacciato da forze oscure e invisibili contro cui non può fare nulla, solo rassegnarsi con terrore alla loro esistenza. Questo concetto lo ha preso e lo ha trasmigrato a fumetti, secondo il suo stile. Infatti, la sua intenzione era di fare un Lovecraft visto da Kriek, che mi sembra l’approccio più onesto che un autore può avere di fronte a un lavoro di adattamento. Emulare l’originale non ha senso (esiste già), per cui lo rifaccio mettendoci dentro del mio, la mia impronta autoriale, cercando di dare nuova vita ai concetti base dell’opera, che è l’unico principio di “fedeltà” che si può perseguire a mio parere. E per questo, penso che quello di Kriek sia uno dei migliori adattamenti lovecraftiani a fumetti degli ultimi anni. E voglio precisare che, senza tutte queste premesse, non avremmo mai pubblicato un libro simile solo per il suo forte richiamo.
Tornando alla domanda, più che mantenere in vita l’opera facendola incontrare a un pubblico diverso, io direi che adattamenti simili rinnovano i concetti base che l’hanno resa un classico e che riescono a dire ancora molto ai lettori di oggi. Quando invece si cavalca il “mood” dell’opera, ricalcando la sua “immagine” esteriore per strizzare l’occhio a fan ed appassionati, senza approfondirne e farne propri i concetti essenziali, è chiaro che si cerca solo di sfruttare il mito.
E questa è una tendenza che, al di là del caso singolo di Lovecraft, l’industria culturale sta facendo propria in maniera ormai sistematica. Sia per una questione di “incassi certi”, che per un’incapacità/difficoltà di colmare un vuoto culturale. Un vuoto a cui si potrebbe rimediare solo se, tra un blockbuster/bestseller e l’altro, produttori e editori comprendessero l’importanza di ricreare degli spazi in cui gli altri autori possano sviluppare un loro percorso artistico personale.

eris_vassafNel paese dei Mullah, di Vassaf, è invece la denuncia feroce di una situazione del mondo reale che sembra ancora più parossistica delle invenzioni di Lovecraft, al punto che l’autore spesso sfiora la caricatura nel raffigurare i personaggi dell’establishment iraniano.
È vero, e oltre tutto hai colto un aspetto importante della nostra linea editoriale, cioè la continuità tra un titolo e l’altro, al di là dei generi e dei temi.
Nel suo graphic novel, Vassaf ripercorre alcuni fatti a partire dalla rivoluzione iraniana del 1979, attraverso l’incontro casuale tra un militare dell’esercito iraniano, nazionalista e credente, e un’intellettuale moderato. Tra i due s’innesca un confronto che spazzerà via ogni loro certezza, e che offre al lettore una splendida riflessione sulla complessità della società iraniana. Soprattutto perché a partire da piccole vicende reali, intense e molto crude, Vassaf riesce a spiegare con semplicità i meccanismi di potere nella Repubblica Islamica dell’Iran, dimostrando come ai funzionari del regime interessi solo conservare la propria fetta di potere.
Il fatto che tu ci abbia visto del parossismo, mi fa pensare che Vassaf intendesse dimostrare la discrepanza tra la realtà e l’immagine che il regime e l’establishment propina di sé. Immagine creata anche attraverso l’utilizzo dei media. L’autore infatti, prima di essere costretto a lasciare l’Iran a causa delle sue opere, è stato professore di comunicazione visiva all’Università Teheran, grafico e esperto della cultura persiana. La tematica quindi gli sta molto a cuore e credo che nel libro si concentri molto su questo aspetto. La descrizione grafica e psicologica dei personaggi del graphic novel, è spesso al di sopra delle righe, ma per assurdo questa rappresentazione è perfettamente aderente alla realtà di queste figure, affannate a mantenere l’immagine pulita di guide morali e religiose, tipiche di un regime. Non a caso, dopo la pubblicazione del libro, avvenuta in Francia dove Vassaf si trova tuttora, il regime ha proibito in Iran tutte le sue pubblicazioni. La maggior parte di queste sono appunto libri sulla grafica, sulla comunicazione e sulla libertà di espressione, utilizzati dai professionisti e dagli universitari.

Eris distribuisce secondo licenza Creative Commons: questo indica che per Eris la pirateria (che il formato digitale favorisce oggettivamente) non è un problema?
Il problema non si pone perché non si tratta di pirateria. È una precisa scelta dell’autore, che la sua opera possa essere riprodotta, naturalmente secondo certi limiti e obblighi, che sono: il riconoscimento della paternità dell’opera, il divieto di riprodurre l’opera per sfruttarla commercialmente, e il divieto di trarre opere derivate dall’originale.
È pirateria quando l’autore nega queste possibilità. L’utilizzo delle Creative Commons non simboleggia una nostra presa di posizione sul fenomeno pirateria, ma sulla valorizzazione di un’idea di cultura libera di circolare, senza quei divieti inutili e paradossali del canonico diritto d’autore che appartengono a un modo di pensare e vivere la cultura sorpassato, ma soprattutto lontano dalla funzione che la produzione culturale svolge in una società.

Ma non entra in contrasto in qualche modo con la sostenibilità economica sia della vostra attività editoriale, sia dell’attività professionale degli autori?
Anche quello dell’utile è un conflitto apparente. Quanti libri ci capita di prestare? So che non è la stessa cosa, ma per quanto ci riguarda, la possibilità che qualcuno possa riprodurre un nostro libro non ci ha sino a oggi danneggiato. Anzi, forse è vero il contrario. Quando si parla di riprodurre un’opera non bisogna solo pensare alla tipica “fotocopia”, ma anche alla possibilità, per esempio, di leggere un passaggio di un libro ad un pubblico senza dover pagare tributi o rischiare di incorrere in sanzioni. Che un’opera sia condivisa, in tutti i modi, significa che qualcuno sente la necessità di farlo e che l’opera sta diventando un piccolo patrimonio per molti. Per l’editore e l’autore questo magari non è un ritorno economico immediato, (anche qui, vero ma sino ad un certo punto), ma vogliamo mettere i benefici che il passaparola può apportare ad un progetto come il nostro? La realtà è che poi nulla è bianco o nero, non è che tutti fotocopiano i nostri i libri anziché comprarli. Mi rendo conto che è un concetto diverso di pensare la cultura, molto ostico e, che divide sempre in fazioni opposte. Infatti, per ora in Italia siamo solo tre editori, almeno per quanto ne sappia, che utilizzano le Creative Commons per la quasi totalità del catalogo.

Grazie e a presto.

Intervista raccolta per chat e mail fra il 13 e il 26 gennaio 2014.

 
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