Dai fornelli al “NiNo”: intervista a Mirko Perniola

Dai fornelli al “NiNo”: intervista a Mirko Perniola

Prima di approdare in Bonelli, Mirko Perniola ha svolto i lavori più disparati, per arrivare in breve tempo a riscrivere la storia di uno dei personaggi di punta della casa milanese come Nathan Never. Vi presentiamo una lunga chiacchierata con l'autore milanese, partendo dai suoi singolari esordi per arrivare ai...

Mirko Perniola, classe ’74, ha debuttato in Bonelli nel 2008 con un Maxi di Zagor. Ingaggiato nel lontano 2005, dopo poco più di tre anni è arrivato a scrivere anche Nathan Never e fra poco Martin Mystére. Nel frattempo, con l’abbandono di Stefano Vietti che passa definitivamente a Dragonero, diventerà praticamente il principale sceneggiatore di Nathan Never assieme a Davide Rigamonti.

Insomma, Mirko: a quando la conquista del mondo?
Fosse per me avrei già in mano anche Marte e Venere… ma ho dovuto accompagnare mia moglie all’Ikea, e così il piano è andato a monte…

Parlaci dei tuoi albori: quando hai deciso di dedicarti al mondo del fumetto? E cosa facevi prima?
Mi sono reso conto che fare fumetti poteva essere un lavoro nel 1988, leggendo il numero 18 di Dylan Dog “Cagliostro”, che fu una folgorazione! Leggevo fumetti sin da bambino (Braccio di Ferro, Geppo, Topolino ecc…) ma non mi ero mai interessato a quel che ci sta dietro. Quell’albo di Dylan, per la prima volta, mi fece accorgere di parole come “sceneggiatura e disegni” con tanto di nomi e cognomi accanto, perciò… esistevano gli autori di fumetti!
Sembrava comunque un mondo lontano e inaccessibile, osteggiato da insegnanti e benpensanti, perciò le mie idee erano chiare: per vivere, avrei fatto il cuoco! E misi piede in una cucina vera per la prima volta all’età di 13 anni…Però, qualche soldo per Zagor, Dylan, Spidey, Batman e compagni riuscivo sempre a trovarlo… e nel 1991 uscì Nathan Never, con una sventagliata di nuovi autori.
Nuovi autori, capisci?!… Allora una porta, seppur piccola, ogni tanto si apriva!
Continuai a fare il cuoco, ma il mio obiettivo, a quel punto, era un altro…

Quali sono stati i tuoi primi lavori nel mondo del fumetto?
Dobbiamo proprio parlarne? Devo imbarazzarmi raccontando di Euretto la Monetina? Va beh…Cominciai come era abitudine di molti nella prima metà degli anni Novanta, con fanzine, autoproduzioni, interviste agli autori, recensioni ecc… Non c’era internet, perciò ci si impegnava tantissimo, investendo energie e soldi propri per stampare riviste e albetti che venivano venduti principalmente nelle fiere, in stand condivisi perché costavano troppo… insomma, una grande e faticosa palestra che aiutava davvero a crescere!
Poi ci fu il passaggio al lavoro vero, cioè quello pagato per le agenzie di pubblicità. House organ per i quali realizzavo fumetti utili a dare informazioni su un prodotto, spiegare cose relative ad aziende, didattica per bambini, comunque principalmente pubblicità; il tutto condito in chiave avventurosa.
I buffi interpreti del west, l’agente spaziale 586, e il suddetto Euretto (una monetina con le braccine e le gambine che spiegava ai bambini il prossimo passaggio dalla Lira all’Euro) ne sono qualche esempio.
Poi la svolta con Anno Domini. Una serie storico/umoristica ambientata nel medioevo. Diversi disegnatori, grandi ricerche storiche, tanta avventura e gag e battute a ruota libera! La mia creatura, quella a cui sono più affezionato in assoluto; pubblicata prima da un editore torinese, poi dalla Scuola del Fumetto di Milano. Con quest’ultima, pubblicai anche il primo volume di una seconda serie, Star & McCoy, stavolta di fantascienza, co-firmata con il disegnatore Francesco Frosi. Oggi, dati gli impegni bonelliani, ho dovuto mettere a riposo queste mie creature, ma spero, prima o poi, di farle rivivere ancora!

E poi l’ingresso nella Sergio Bonelli Editore…..
Nel 2005 il suddetto editore torinese scappò in Sudamerica con la cassa della società e la sua giovane amante, e io mi ritrovai di colpo da avere libero tutto il tempo che dedicavo alla scrittura (cioè quello nel quale non mi guadagnavo da vivere con i lavori più disparati, come il portiere di notte, il barista ecc…).
Insomma, era il momento buono per tentare quel passo che, per pudore e rispetto nei confronti di personaggi e autori che per me erano sempre stati un riferimento, non avevo tentato fino a quel momento. Forte di 15 anni di gavetta, misi a frutto i consigli di Lola Airaghi, Gianmauro Cozzi e Luca del Savio, preparando il mio primo soggetto per Zagor che, con mia grande sorpresa, venne immediatamente accettato dal duo Boselli/Burattini, che mi commissionò anche la relativa sceneggiatura in due albi! Insomma, passavo dalle 48 tavole di Anno Domini, alle 188 di uno dei miei miti! Un’ansia da prestazione pari a quella della prima avventura amorosa!

Come fu il primo approccio con Boselli e Burattini? La revisione della tua prima sceneggiatura è andata tutto sommato liscia, o hai dovuto penare?
Fu un delirio! Scrivevo in modo istintivo, dando per scontato che il disegnatore capisse immediatamente quello che volevo. Fino ad allora avevo fatto così, perché avevo sempre lavorato con disegnatori amici, gente con cui si discuteva di come realizzare ogni vignetta faccia a faccia, scambiandosi consigli, opinioni, facendo bozzetti preparatori, discutendo delle modifiche ecc… qui era tutta un’altra storia! Non mi rendevo conto che il disegnatore non lo avrei mai visto in faccia! Boselli (mi supervisionò lui per la prima storia) giustamente pretendeva la massima precisione nella descrizione delle vignette… il risultato fu che all’inizio non riuscii a consegnare più di 20 tavole al mese! Ogni tanto lo sconforto arrivava, ma stavo facendo quello che avevo sempre sognato, stavo imparando moltissimo, e sentivo di un mucchio di gente che provava e mollava… perciò andava bene così!
Dalla seconda storia in poi, discuto le sceneggiature con Burattini, con il quale c’è grande rispetto e collaborazione; tecnicamente non ci sono più grossi problemi, ma il confronto è fondamentale, perché nessuno conosce Zagor meglio di lui! La sua supervisione evita che sequenze, o intere storie, assomiglino a qualcosa di già pubblicato; così, cercando un’alternativa, i suoi suggerimenti, arricchiscono sempre!

Zagor, Nathan Never e Martin Mystére. Come riesci a districarti fra tre personaggi così diversi fra di loro? E quale fra le tre serie ti stimola più  l’inventiva?
Alla prima parte della domanda non so rispondere. Li leggo… anzi, no, li conosco da sempre! Ho in testa la loro voce, il loro modo di muoversi, in qualunque situazione so come reagirebbero, perciò scrivere per l’uno o per l’altro mi risulta istintivo. È un po’ come dire ad un amico: “guarda che, secondo me, dovresti fare così…” perché so che lui farà così, ha sempre fatto così. E questo modo di approcciarsi al personaggio è la cosa che mi riesce più facile.

Altro discorso è legato all’inventiva, perché inventare qualcosa di (apparentemente) nuovo per personaggi che hanno vissuto centinaia di avventure, è davvero estenuante, stressante. Per questo aspetto, non ho mai fatto così tanta fatica in un lavoro! Perché per la stanchezza fisica mangi, dormi e recuperi le forze; mentre cercare nuove idee, nuovi spunti, nuovi modi per svilupparli, e scoprire poi che sono già stati trattati mille volte, è logorante! Una parte del tuo cervello “lavora” alle storie 24 ore su 24, ininterrottamente, e c’è sempre una vocina che ti ripete ”Sei sicuro che ciò che fai non sia banale, o già, visto? Figurati se Nolitta non ha già trattato questo argomento! Figurati se i tre sardi non ci hanno già fatto un’infinitologia! Figurati se…”. E la maggior parte delle volte ha ragione lei!
A parte questo, però, non è un personaggio a stimolarmi l’idea, ma il contrario. Cioè, posso ritrovarmi in vacanza e sentire un dialogo mysterioso tra due sconosciuti, oppure chiacchierare con mio cugino che lavora al CNR e scoprire una novità fantascientifica… a quel punto la parte del cervello sempre al lavoro, di cui parlavo prima, fa il suo mestiere e, a seconda di come si sviluppa l’idea, c’è solo da decidere chi tra Zagor Nathan o Martin ci si troverà coinvolto. È ovvio che, più lavoro su una serie, più risulto sensibile agli stimoli relativamente utili.

Tre diversi personaggi con un importante passato alle spalle. Qual è il tuo livello di considerazione di questo passato? Come coniughi la tua personale visione del personaggio a tutto ciò? Cerchi di plasmarlo secondo le tue preferenze (ovviamente nei limiti del possibile) o sei invece molto rispettoso?
Direi che la mia risposta di poco sopra può fare intuire anche questa. Io non plasmo proprio un bel niente!… Zagor, Nathan, Martin, sono personaggi Larger Than Life! Tu sei lì solo per causargli problemi, tanto poi loro ne usciranno, in un modo o nell’altro!
Una cosa buffa sulla quale rifletto spesso, è che in passato ho fatto lavori in cui dovevo risolvere dei problemi (ad esempio come receptionist dovevo ritrovare bagagli smarriti, come cuoco dovevo cucinare sostituendo ingredienti esauriti, come taxista dovevo far finta di non essermi perso ecc…) oggi invece faccio l’esatto contrario… perché i problemi li devo causare ai miei personaggi!
È ovvio che, per poter avere un approccio simile, bisogna conoscere bene personaggi e comprimari, e per conoscerli bene bisogna aver vissuto la maggior parte delle loro avventure passate, se non proprio tutte!

Descrivici una tua sceneggiatura tipo (quanto ti documenti, se realizzi degli storyboard per il disegnatore, che livello di dettaglio hanno).
Dipende da chi disegnerà la storia. Ci sono disegnatori coi quali sono molto in sintonia, e allora do un suggerimento e completo con un “comunque fai tu” altre volte che, avendo a che fare con un disegnatore con cui non ho mai lavorato, oppure poco esperto, tendo ad essere logorroico (anche più di quando mi intervistano!). Comunque, per scrivere con serenità, devo sapere tutto il possibile riguardo alla mia storia, dal passato dei comprimari, alle caratteristiche geografiche e culturali delle ambientazioni in cui si muoveranno i personaggi. Pensa che per “Non Umano” ho passato giorni e giorni a documentarmi sulla lingua Riverense Portuñol, mentre per “Alligator Bayou” ho addirittura contattato una ragazza cajun che vive in Louisiana!
Poi non è detto che tutto questo materiale di ricerca emerga nelle storie, ma sono sicuro che il lettore più attento e sensibile possa notare che, sotto sotto, c’è qualcosa in più!… e, male che vada, chi non se ne accorge può riscoprire tutti questi ingredienti in più, avanzati dalla storia, nel mio blog (artigianidellenuvole.blogspot.com).

E coi disegnatori che rapporto instauri? Hai qualche preferenza fra quelli con cui hai lavorato, e perché?
Il rapporto sceneggiatore-disegnatore è da sempre un rapporto di amore-odio; il tutto dipende da come viene inteso il lavoro. Ci sono sceneggiatori e disegnatori che credono di essere star di Hollywood, e con i quali difficilmente si riesce a lavorare in sintonia, perché l’egocentrismo va a scapito della collaborazione. Poi ci sono altri autori che hanno come unico scopo quello di raccontare al meglio ciò che insieme al collega stanno raccontando; lì si crea una sinergia, in quel caso il personaggio, la serie, la storia, è più importante delle individualità. Perché essere un eccezionale illustratore o un meraviglioso poeta non serve a nulla, se non sai raccontare per immagini!
Perciò, se devo farti dei nomi, posso dire di trovarmi a mio agio con Andrea Cascioli, Sergio Giardo, Patrizia Mandanici, Gianni Sedioli… e poi sicuramente altri che al momento mi sfuggono, e coi quali mi scuso. Comunque tutti disegnatori interessati, partecipi e propositivi.
Permettimi però di spendere una parola su due artisti che, anche se non fanno parte dello staff Bonelli, meritano di essere menzionati perché tra i migliori con cui ho avuto l’onore di lavorare: Fabio Mori e Cristian Baldi. Purtroppo hanno uno stile prettamente umoristico e vivono in Italia, e come dice Alfredo Castelli, “Se il fumetto è il figlio povero della cultura, il fumetto umoristico è il figlio povero del figlio povero!

Alfredo Castelli, un altro tuo curatore. Di Boselli/Burattini abbiamo già detto, ma con Castelli e Serra come ti trovi?
Allora, per quanto riguarda Alfredo, credo che sia presto per parlarne. Il primo soggetto che ho presentato è stato sceneggiato da lui, perciò se lo ha modificato lo saprò solo leggendo la storia quando verrà pubblicata. Mentre per la sceneggiatura che ho scritto, non mi ha chiesto alcuna modifica e ora è in mano al disegnatore, ma sviste, refusi ed errori possono saltare fuori anche in fasi successive di revisione, perciò incrocio le dita e non mi sbottono. Diciamo che, per ora, la sua cura è stata assolutamente indolore!
Discorso a parte per Serra. La sua cura è più o meno invasiva, a seconda dell’obiettivo che ci prefiggiamo. A volte mi chiede di realizzare un fill-in, una storia “libera” in cui posso sbizzarrirmi ed ho carta bianca. “La Metamorfosi” ne è un esempio, lì non mi è stato chiesto di cambiare una virgola. Discorso diverso invece per quanto riguarda il NiNo (Nuovo Inizio Neveriano) il ciclo di quattro… anzi, vi do un’anteprima, il ciclo di cinque storie (il quinto episodio sarà scritto da me e Serra per i disegni di Valentina Romeo e Guido Masala)… che farà da vero e proprio starting point dopo la Guerra dei Mondi. Lì abbiamo davvero lavorato a 4 mani e le modifiche realizzate da entrambi sono talmente tante, da rendere quasi impossibile riconoscere una paternità univoca anche per una sola vignetta.

A livello grafico, cosa pensi della “famigerata” griglia bonelliana? Ti adegui, la esalti, la aggiri in fase di sceneggiatura?
Riguardo a questo ho avuto recentemente un amichevole contrasto dialettico con Giancarlo Berardi, il quale affermava che per raccontare a fumetti non è necessario stravolgere la gabbia bonelliana. Su questo gli do ragione, ma davvero non capisco perché nei primi anni su Nathan Never si potevano vedere degli utilizzi più disinvolti, mentre oggi è impossibile trovare anche solo le quattro strisce. Non pretendo di arrivare agli eccessi illeggibili che a volte si trovano su americani e giapponesi, la classicità anche nella composizione della pagina, è una caratteristica distintiva della Bonelli, ma forse un minimo di elasticità in più almeno sulle serie un po’ più orientate alla modernità, secondo me non guasterebbe. In ogni caso è una polemica sterile perché, gabbia o non gabbia, la bontà di una storia dipende da quello che sta dentro alle vignette, non dalla loro forma.

Hai qualche autore di narrativa in particolare a cui ti ispiri?
Ispirarmi no, leggo molto e di tutto… posso dire che invidio molto il talento di Stefano Benni.

E con i fumetti come sei messo? Indicaci gli sceneggiatori e i disegnatori contemporanei che più ammiri.
Ecco, questa domanda c’è in tutte le interviste… e adesso mi faccio odiare!
Una volta ho sentito qualcuno che diceva: “non si può fare l’autore di fumetti senza leggere i fumetti!… voi vi fareste curare da un medico che non si tiene aggiornato?!
Bella frase… se non fosse una solenne cazzata!
Come dicevo poco sopra, il mio cervello ha una partizione dedicata al mio lavoro che spesso prende il controllo di tutta la materia grigia funzionante, facendomi perdere nei parcheggi, facendomi dimenticare appuntamenti, promesse, impegni… capita spesso di vedermi con lo sguardo perso nel vuoto, anche nei momenti meno opportuni, come una cena con gli amici o alla guida in macchina! Questo perché succede? Perché sto pensando ai fumetti, alle mie storie, ai miei personaggi.
Secondo te di che cosa ho voglia per staccare la spina? Di mettermi a leggere fumetti?… suvvia, non scherziamo!
Perciò sì, leggo fumetti per diletto, ma ne leggo pochissimi e di genere completamente diverso rispetto a quello su cui sto lavorando.
Quando scrivevo Anno Domini, fumetto umoristico, leggevo Batman, Blacksad, i lavori di Eisner o di Miller… mentre ora che scrivo principalmente Bonelli leggo Ratman, Bone, i Peanuts, Asterix, le cose di Trondheim e, sopra a tutti, il meraviglioso Petit Spirou di Tome e Janry. Comunque ripeto: fumetti molto pochi, preferisco le serie televisive.

Discorso interessante, che faceva in altra sede anche Tito Faraci, in risposta ad un post su HarryDice (http://harrydice.blogspot.com/2011/07/autori-che-non-leggono-fumetti.html). Per quel che ti riguarda, secondo te leggere troppi fumetti facendo il tuo lavoro potrebbe in qualche modo influenzare la tua stessa produzione? Ti è mai capitato di leggere un fumetto che ti è piaciuto tantissimo, e involontariamente ti sei ritrovato a scriverne uno pericolosamente simile?
Ricordo quella discussione, ma se non sbaglio in quel caso si verteva più sullo snobismo di molti autori o sedicenti tali, che dicono di non leggere fumetti perché si ritengono superiori alle opere degli altri, facendo passare il fumetto come un prodotto di serie B… tranne il proprio, ovviamente!
Per quanto mi riguarda, il mio “pochissimi” di poco sopra è da intendersi “meno di prima” che sono comunque tantissimi rispetto alla media nazionale. Posso correggere l’affermazione dicendo “pochissimi scelti per puro diletto!”. La maggior parte dei fumetti che seguo, li leggo per necessità lavorativa; tra serie regolare, speciali, maxi, giganti e spin-off il solo Nathan Never pubblica più di 3000 pagine all’anno!… aggiungici quelle di Zagor e Martin e puoi farti un’idea di quanto leggo “per dovere” anche se è un piacere! Poi mettiamoci anche tutto ciò che, della produzione bonelliana, seguo per voglia e speranza di potermi togliere lo sfizio di scriverlo, prima o poi, come Tex e Dylan Dog, aggiungiamo poi tutto ciò che è fatto dagli amici anche per altre testate o case editrici… insomma, fumetti ne leggo, e parecchi, ma non sono molto aggiornato sulle novità o su ciò che esula dalla mia sfera lavorativa, come ad esempio su americani e giapponesi, sui quali ho dei buoni ricordi, ma relegati al passato.
Per quanto riguarda il discorso dell’influenza, è un po’ una cretinata. Mi è capitato di andare al cinema, e di vedere sullo schermo una storia identica a quella che stavo scrivendo, mi è capitato di sentirmi respingere un soggetto perché identico a quello presentato il giorno prima da un collega che non conosco. Insomma, scrivendo un fumetto non ci si fa influenzare da altri fumetti… ma ci si fa influenzare da qualunque cosa!

Passiamo a Nathan Never. Hai debuttato sulle pagine dell’Agente Speciale del Futuro nell’Aprile del 2009, e dopo poco più di due anni ti ritrovi a gestire tutto il post Guerra dei Mondi, inaugurando uno starting point della serie che può esser anche identificato come il primo reboot di un personaggio bonelliano. Come mai la redazione ha optato per questa scelta?
Hai detto una cosa giusta e una sbagliata: si tratta di uno starting point, ma non di un reboot.
Starting point perché Nathan Never 250 sarà il primo numero di quello che abbiamo battezzato NiNo, che nulla c’entra con il D’Angelo capostipite dei neomelodici partenopei, ma è l’acronimo di Nuovo Inizio NeverianO; cioè l’albo idealmente adatto ai nuovi lettori. Da quel momento in poi tutte le storyline che oggi sono ancora aperte saranno chiuse, o verranno trattate in modo da permettere al nuovo lettore di godersi le avventure senza l’impressione di essersi perso qualcosa precedentemente. Un reboot ci costringerebbe a raccontare nuovamente le origini di Nathan e dell’Alfa eliminando i 249 albi precedenti. Questo NON succederà, non è bonellianamente concepibile e non sarebbe mai accettato dai nostri lettori (né da noi autori…). Insomma, con un reboot, si sa, si perde la maggior parte del vecchio pubblico, per cercare di agganciarne di nuovo. Non è il nostro caso! Noi siamo affezionati ai nostri lettori, vogliamo tenerceli stetti perché… i primi lettori di Nathan siamo noi autori! E a me dispiacerebbe perdermi come lettore!
Insomma, storie nuove, che non negano quelle precedenti, ma che ripresentano personaggi e ambientazioni come se fossero nuove e mai viste. Per farlo stiamo sperimentando delle tecniche narrative diverse rispetto a  quelle che abbiamo usato fino ad oggi, di cui però non posso parlare per non rovinare le sorprese.
E che sorprese! Considerando che la prima, la più grande e sconvolgente, si troverà nell’ultima pagina della guerra dei mondi e darà il via all’arrivo di un nuovo, terribile, arcinemico!
I motivi di queste scelte nascono dalla necessità di riuscire a raccontare qualcosa che resti in linea con il personaggio, ma che sia credibile e appassionante; cosa molto difficile in Nathan perché, se Zagor potrebbe vivere per altri cinquant’anni a Darkwood, senza grandi modifiche, oggi la fantascienza di Nathan, legata all’idea di fantascienza di vent’anni fa, potrebbe rischiare di risultare anacronistica perché il progresso moderno in vent’anni ha avuto sviluppi sconvolgenti (basti pensare che Nathan, nei primi numeri, si fermava nelle cabine telefoniche per chiamare l’Agenzia Alfa!).

Sul discorso ambientazioni e tecnologia, come vi comporterete? Ormai è quasi impossibile prevedere dove la tecnologia potrà arrivare, anche solo fra 5 anni. State utilizzando alcuni riferimenti precisi? Chi sta studiando il tutto, graficamente?
Sul fatto che ormai è quasi impossibile prevedere dove la tecnologia potrà arrivare, posso solo rispondere “e chi se ne frega!”. Mi spiego. Quando devi scrivere un romanzo o un film di fantascienza ti documenti, ti informi, e decidi in che direzione andrà la tua fiction. Ci saranno i viaggi spaziali? E nel tempo? Sarà un credibile futuro prossimo? O una Space Opera ricca di alieni? Insomma prendi una decisione, e quella rimane la caratteristica peculiare del tuo libro o film.
Nathan Never, dagli inizi ad oggi, è stato un calderone dove amalgamare l’immaginario comune relativa a tutta la fantascienza! Perché è un prodotto seriale, mensile, non termina all’uscita del cinema o dopo un solo volume. Una decisione di massima (la veste cyberpunk) è stata presa all’inizio,e quella si è consolidata nell’immaginario del lettore di Nathan, che non va tradito!
Però pensiamoci, i robot alla Terminator sono meno realistici rispetto ad un telepate che comanda un computer con il pensiero… la scienza, oggi, è più vicina a realizzare una lettura del pensiero che possa comandare una macchina, piuttosto che un robot che abbia una vera a propria intelligenza artificiale. Ma, per il nostro lettore, i robot C3 sono affascinanti e nostalgici, mentre i tecnopati sono vissuti più come una forzatura moderna, perché non c’erano sin dall’inizio!
Ad esempio, avremo un restyling ma non sarà invasivo. Avremo un nuovo Alfa Building, una potentissima base mobile, un nuovo logo Alfa, nuovi agenti… ma questo non intaccherà l’immaginario originario della serie. Insomma, anche se “incredibili” avremo ancora i robot umanoidi.
Lo studio grafico del tutto sarà di Sergio Giardo che, come già sapete, disegnerà anche il numero 250.

Insomma, è un periodo di grandi cambiamenti per il poliziotto del futuro. Vietti e Olivares passano definitivamente a Dragonero. Roberto De Angelis, dopo la bellezza di 189 copertine, sembra che lascerà il compito di illustrare le cover ad un altro disegnatore, dal 250esimo albo in poi. Questo cambio di copertinista è confermato? Sappiamo che il nome è top secret, ma puoi dirci almeno le caratteristiche che dovrà rispettare?
In questo momento non c’è ancora nessuna conferma, perciò non mi sbottono. Diciamo però che avremo delle copertine più classiche, nella linea dei prodotti più rappresentativi della Sergio Bonelli Editore, quali Tex e Zagor

Quindi, in base all’impostazione delle nuove copertine, dobbiamo forse aspettarci un Nathan Never più “action” e meno “musone”? Scelta coraggiosa, potreste trovarvi sotto la redazione migliaia di fans del musone che griderebbero “Al rogo”!
Nathan è sempre stato action e musone insieme. E, in ogni caso, cambiare il copertinista non vuol dire cambiare i contenuti. Al massimo, e questo speriamo di riuscire a farlo, di rivisitarli riproponendoli tali e quali ma in modo più vicino ai potenziali lettori di oggi (sono passati vent’anni, dopotutto). Sperém!

Stefano Vietti per Nathan Never ha creato molteplici storyarcs che si sono dipanati per qualcosa come dieci anni e più. Hai già in mente delle nuove sottotrame da proporre ai lettori?
Sì, ho già proposto alcune di idee accettate dal Serra, delle quali una riguarderà una lunga trasferta di Nathan e company su Marte e altre riguarderanno i robot C3 e i Tecnodroidi. Prima però dovrò chiudere alcune storyline rimaste ancora oggi in sospeso.

In tutto la questione dello starting point Antonio Serra che ruolo ha rivestito?
Beh, Nathan Never è figlio suo. L’idea sulla quale gira tutto il NiNo è sua, come suo è lo spunto per il nuovo arcinemico di cui parlavo prima. Le cinque storie che comporranno questo starting point saranno firmate tutte a quattro mani. Sia io che Rigamonti ci siamo messi nell’ottica di sceneggiare quello che Serra aveva in testa, arricchendolo, mettendoci del nostro, ma con l’accordo che la sceneggiatura finale avrebbe dovuto piacergli al 100%. Questo ha portato a notti insonni, innumerevoli riscritture, ettolitri di birra e decine panini con le sardine, ma alla fine ci siamo riusciti. Stesso dicasi per i disegnatori: Giardo, Mandanici, Calcaterra, Denna-Corbetta. Insomma, abbiamo lavorato tutti (Serra compreso) al servizio dell’eroe!

E del tuo rapporto con Davide Rigamonti cosa ci dici? Come ti trovi a lavorare in coppia con lui su questo starting point? Vi siete già organizzati il post-Nino? Vi dividerete, oltre il lavoro, anche le tematiche? Ad esempio le prove di Rigamonti sono state piuttosto cupe e riflessive, le tue sono state più action e movimentate, in alcuni casi hai anche sperimentato un approccio abbastanza ironico. Ci dobbiamo aspettare queste due “strade” per il futuro di Nathan?
Per il momento abbiamo compiti ben definiti, e ciascuno sta portando avanti i propri, ma la coordinazione è sempre, e resterà sempre, in mano a Serra! Si faranno riunioni, necessarie, ma il regista di Nathan rimane lui, perciò sarà lui il nostro referente; anche se è compito nostro proporre e sviluppare le idee sia per la continuity che per i vari fill-in di serie regolare e spin-off.

Ci sarà qualche new entry nello staff, assieme al reboot?
Forse sì, ma essendo ancora in una fase “di prova” è inutile parlarne.

A livello grafico cosa ne pensi dello staff Nathan Never? Non voglio certo farti sparlare dei tuoi colleghi, più che altro ti vorrei chiedere se hai visto qualche disegnatore bonelliano che ritieni perfetto per Nathan Never, ma che non lavora alla testata.
Domanda difficile, soprattutto perché riconoscere che un disegnatore è bravissimo su Zagor, non significa che automaticamente possa realizzare cose meravigliose anche si Nathan… e viceversa, ovviamente. Senza pensarci troppo mi vengono in mente Lola Airaghi, Alessandro Bignamini, Luca Rossi, Michele Rubini…

E su Zagor e Martin Mystere cosa ci dici? Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua penna? Il tuo crescente impegno su Nathan Never si ripercuoterà in maniera negativa sulla tua produzione zagoriana e mysteriana?
Per Martin non ci sono problemi, per il momento ho scritto solo un soggetto sceneggiato da Castelli e una sceneggiatura mia che è al disegno e dovrebbe uscire nel 2013. Perciò si può dire che le mie storie siano un mio atto d’amore nei confronti del personaggio, ma non sono assolutamente necessarie allo sviluppo della serie!
Per quanto riguarda Zagor, ho rallentato la mia produzione, ma di poco, perché fino ad oggi non mi sono mai trovato nella condizione di dover scegliere se fare l’uno o l’altro, e se ho conciliato il tutto fino ad oggi, non vedo ostacoli per continuare a farlo in futuro.

E’ in edicola dal qualche mese “Alligator Bayou”, il tuo debutto sulla serie regolare dello Spirito con la Scure. Sei emozionato? Illustraci in poche parole questo lavoro, magari utilizzando anche qualche aneddoto e retroscena per noi lettori pettegoli!
Emozionato per la serie regolare no. Quando scrivo non mi importa quale sarà la collocazione. Infatti questa storia era stata pensata (e scritta) per un maxi, avrebbe dovuto essere un balenottero di 286 pagine. Il travaso sulla serie regolare non è stato indolore, perché le aggiunte di raccordo con la storia precedente e i tagli alla fine degli albi che la conterranno non sono opera mia, ma ho piena fiducia in Burattini, perciò non importa. L’emozione, se vuoi, posso averla provata quando mi è stato proposto di sceneggiarla. Perché il soggetto è stato scritto da Diego Paolucci, ed è il seguito di una storia di Nolitta del 1973, una storia importante, una di quelle che hanno “lasciato il segno” nel cuore di molti lettori. Il sequel di questa storia è stato approvato da Sergio Bonelli in persona e, non essendo stata affidata la sceneggiatura al soggettista, la cosa più logica da pensare era che sarebbe stata sceneggiata dal curatore della serie. Figurarsi il mio stupore quando mi venne proposto di sceneggiarla! Era un grande rischio, certo (perché Bonelli non amava molto che si riutilizzassero suoi personaggi scomparsi da molto), ma è stata una soddisfazione immensa!

Mentre su Nathan Never la continuity è serrata e molto presente, in Zagor è invece molto labile, per non dire quasi inesistente. Come ti rapporti a queste differenti concezioni di narrare un personaggio seriale? Credi che la continuity sia un vantaggio o uno svantaggio per lo sceneggiatore?
Con la continuity i rischi “di farla fuori dal vasino” sono direttamente proporzionali al numero di sceneggiatori che ci lavorano. Nonostante la cura redazionale, coordinare una continuity tra più autori è molto complicato; si può aspirare ad averla perfetta se a scrivere è una testa sola. In Bonelli una continuity come quella che abbiamo in Nathan non c’è stata mai, o quasi, ma la creatività e la capacità organizzativa di Antonio Serra sono davvero incredibili!

Nel frattempo la Bonelli ha reso semestrale i Romanzi a Fumetti, e varerà a breve una collana contenitore, Le Storie, che possiamo considerare una figlia minore dei Romanzi a Fumetti. Sono due collane che stanno stimolando molto la fantasia dei lettori bonelliani. Ti vedremo all’opera anche su questo formato, con storie e personaggi di tua completa invenzione?
Storie e personaggi di mia completa invenzione traboccano da tutti i cassetti del mio studio!… ma ogni tanto dormo!

Domanda obbligatoria: ti piacerebbe scrivere qualche altro personaggio della Bonelli?
Spero, prima o poi, di avere l’onore di poter mettere nei guai Dylan Dog, o Tex Willer! Mi sarebbero piaciuti anche Mister No e Nick Raider, ma sono arrivato un po’ tardi!
Una cosa che, però, spero di poter fare presto è un Dylan Dog Color Fest Humor per i pennelli di Giorgio Cavazzano. Lavorare con Giorgio, che mi ha sempre sostenuto sin da tempi non sospetti quando ero un ragazzotto che sognava di poter fare questo mestiere è, tra i miei sogni nel cassetto, uno dei primi della lista!

Hai partecipato, in qualità di sceneggiatore, alla realizzazione di “Battiti di Legalità-Una Storia di Mafia”, per i disegni di Lola Airaghi, promosso dall’assessorato alle attività culturali della Provincia di Perugia. Come è nata questa iniziativa?
Il volume è nato all’interno dell’iniziativa Lo Stato Siamo Noi, con il patrocinio dell’Unione province Italiane e del Ministero della Gioventù, e sviluppato dall’associazione Amici del Fumetto di Città di Castello. La graphic novel è finalizzata a sensibilizzare il lettore sull’argomento mafia e legalità. Per quanto il fumetto sia un mass medium abbastanza diretto, è stato un lavoro duro e complesso sia per quanto riguarda la scrittura che la sua illustrazione.
Perché parlare di argomenti così complessi, per i quali molte persone hanno rischiato, e ancora oggi continuano a rischiare e perdere la vita, ci ha messo nella condizione di cercare un modo che portasse il massimo rispetto sia a loro che ai familiari delle vittime. Ma sarebbe stato impossibile parlarne in modo circostanziato ed esaustivo in un solo volume; mentre facendo pura fiction avremmo potuto avere meno efficacia.
Perciò abbiamo adottato una via di mezzo, creando personaggi di fantasia, ma ispirati a fatti e persone vere facilmente riconoscibili, parliamo di Falcone, Borsellino, Chinnici, Impastato, Brusca e molti altri… La speranza è che, leggendo la storia, il lettore capisca che l’illegalità, sotto tutti i punti di vista e a tutti i livelli, ci riguarda sempre e comunque, nessuno ne è estraneo e il suo dilagare o la sua eliminazione dipende da tutti, tutti i giorni, in tutti gli ambiti. Insomma, io e Lola ci eravamo prefissati di veicolare un messaggio complesso nella maniera più diretta e comprensibile possibile, e ci sono stati momenti in cui abbiamo pensato di non farcela… alla fine, però, riuscirci è stata una soddisfazione enorme!

Credi che il medium fumetto debba impegnarsi di più in queste campagne di sensibilizzazione, ritornando anche a quel ruolo quasi pedagogico che il fumetto aveva ormai tanti anni fa?
Sì, ma anche no. Progetti del genere dovrebbero proliferare, ma non per recuperare un ruolo didattico. Quello, è inutile finché l’immaginario comune relativo al fumetto persevera nell’identificarlo “un mezzo di comunicazione per bambini”! Ho notato un grande interesse relativo a Battiti di Legalità, soprattutto da gente che non si interessa di fumetti. Insomma, persone che non avevano mai letto una mia storia Bonelli, si sono prodigate di complimenti per la bella iniziativa, dando automaticamente al mio lavoro e al fumetto stesso un’importanza maggiore. È un atteggiamento stupido, ma se serve a sdoganare il fumetto migliorandone la percezione che la massa ne ha, ben venga. In sostanza, se operazioni del genere servono a far credere alla gente che il fumetto può essere culturalmente elevato rispetto al fumetto popolare, ben vengano le graphic novel, i volumi artistici, cartonati, patinati e chi più ne ha più ne metta. Forse così l’interesse relativo al medium aumenterà, e qualcun altro, oltre ad Umberto Eco e a Gianni Rodari, prima o poi si accorgerà che ciò che importa è il contenuto e non il contenitore! A quel punto il passo, per un utilizzo degno in ambito pedagogico e non solo d’intrattenimento, sarà breve.

Vuoi parlarci del tuo progetto ArtNu, ovvero Artigiani delle Nuvole?
Era il 1999 e, per avere più possibilità lavorative, pensavo che creare uno studio, un gruppo di lavoro in cui diversi autori collaborano per proporre offerte diverse, fosse un’idea vincente. Così è nato il mio gruppo di “artigiani che fanno fumetti” attivo ancora oggi anche se, con il passare degli anni, molti se ne sono andati, e molti altri si sono uniti a noi. Abbiamo e abbiamo avuto in gruppo sceneggiatori, disegnatori, attori, ma anche sviluppatori informatici, psicologi e pedagogisti! Oggi però direi che lo zoccolo duro, oltre al sottoscritto, è formato da Claudio Baratti bravissimo sceneggiatore e letterista al fulmicotone, dai già citati disegnatori Cristian Baldi e Fabio Mori, a cui si è aggiunta abbastanza recentemente Alessandra Lupo che, oltre ad essere una brava disegnatrice e colorista, si diletta nel realizzare gli eccezionali booktrailer delle mie storie. Insomma un bel gruppo, con un enorme potenziale!

E del tuo lavoro di insegnate di sceneggiatura? Come ti trovi nel dover insegnare questa difficile arte? Hai qualche impostazione particolare per le tue lezioni?
Non si può insegnare l’arte, ma solo il mestiere. Infatti, per questo, gli studenti che arrivano in classe convinti di essere dei grandi artisti, con me non hanno vita facile. Con gli “sgobboni” però, quelli che ce la mettono tutta a tutti i costi, riesco a passare l’ABC del lavoro. Poi, che ci riescano o meno (se un po’ di talento ce l’hanno), sta tutto nella loro cocciutaggine. Sono questi ultimi che, di solito, diventano veri artisti in quello che fanno!

Per finire, un ricordo di Sergio Bonelli. Qual era il tuo rapporto con lui? Hai qualche aneddoto da raccontarci del tuo rapporto con l’editore?
Ho dei buoni ricordi ma purtroppo pochi perché, come la maggior parte dei miei colleghi, lavoro nel mio studio, e non in redazione. Perciò i nostri incontri si limitavano a fugaci saluti in redazione, o qualche chiacchiera durante le fiere o nelle cene; per questo non mi dilungherò a descrivere che persona fosse, il web trabocca di ricordi, commenti e saluti fatti da chi lo conosceva molto meglio di me. Per quanto riguarda un aneddoto, ricordo con piacere quando, con fare gentile, parlava a mia moglie durante una fiera, invitandola ad avere pazienza perché, diceva: “ ce ne vuole tanta per sopportare le stranezze dovute al vivere a fianco di una persona che ha sempre… la testa tra le nuvole!”.

Riferimenti:
Mirko Perniola, il blog: artigianidellenuvole.blogspot.com

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *