Dylan Dog Color Fest #15: la forza dei comprimari

Dylan Dog Color Fest #15: la forza dei comprimari

Virus vegetali, virago sensuali e muscolose, demoni e follia sono i principali ingredienti delle storie che compongono il quindicesimo Dylan Dog Color Fest.

Dyd Cover

Giunge alla quindicesima uscita il Dylan Dog Color Fest, consueto appuntamento con il volume semestrale a colori, usato per proporre nuovi autori e sperimentare una narrazione in parte differente da quella usata sulla serie regolare. L’albo segue la struttura classica che fin dall’inizio ha contraddistinto la testata: quattro episodi di 32 pagine, ognuno affidato a un diverso team creativo.

Con “SporeMatteo Casali e Luca Dell’Uomo ci raccontano una storia dal sapore desueto, tipico degli anni 80′: strutturata come un omaggio ai survival game alla Resident Evil e ad alcuni film di culto come La Cosa di John Carpenter, vede Dylan impegnato a combattere un virus vegetale che prende possesso degli ospiti umani. La trama, molto lineare e con pochi guizzi, non riesce a mantenere la giusta dose di suspense nel gioco di scoprire chi è rimasto contagiato e chi no. La narrazione troppo piatta lascia poco spazio alle caratterizzazioni, fortemente stereotipate. Luca Dell’Uomo, persa la definizione di un tempo, si affida a un disegno classico e pulito, molto retrò, che ricorda il Giovanni Romanini di Ulula (indimenticato erotico/horror edito dalla Edifumetto); tuttavia, il tratto del disegnatore fatica a esprimere le emozioni provate dai protagonisti.

a

Giovanni Gualdoni e Giorgio Santucci propongono invece “Il pasto vivo”, un gustoso e delirante Helzapoppìn splatter simile ai famigerati horror di serie z prodotti dalla Troma, con l’indagatore dell’incubo alle prese con un gruppo di particolari e pericolosi vegani. La divertente sceneggiatura di Gualdoni sembra costruita in modo volutamente strampalato e sopra le righe (non a caso il titolo sembra omaggiare il celebre romanzo Il pasto nudo di William S. Burroughs, libro che fa della non linearità e dell’apparente nonsense la sua forza), per lasciare così libero Santucci di dare sfogo a tutto il suo talento “esagerato”. Anatomie ipertrofiche e mostri alieni deformi sono solo l’antipasto per il suo gruppo di procaci virago/bikers che sembrano uscite direttamente da un film di Russ Meyer, capeggiate dalla sensuale e muscolosa Hel, la quale illumina e domina la scena.

b

In “Il respiro del Diavolo”, di Gigi Simeoni e Werther Dell’Edera, una nuova droga permette ai demoni di prendere possesso del corpo di che ne fa uso. Purtroppo Simeoni, escluso l’incipit interessante, non riesce a sfruttare le potenzialità della sua idea. La storia procede senza un reale sviluppo fino al finale, scontato e poco elaborato. Troppe le domande che rimangono in sospeso e lasciano il lettore senza spiegazioni sulla nuova droga, su chi l’ha creata e su come riesce a portare le entità diaboliche nel nostro mondo. Davvero un peccato, dal momento che il tratto stilizzato ed evocativo di Werther Dell’edera riesce a cogliere molto bene l’atmosfera malsana che il racconto vorrebbe trasmettere.

c

Chiude l’albo “Il mondo negli occhi”, il migliore dei quattro racconti, opera dell’affiatata coppia Luca Vanzella e Luca Genovese. Vanzella costruisce un delicato e commovente affresco sulla pazzia. In poche pagine lo scrittore riesce a creare il bel personaggio di Lucy: la ragazza, i cui occhi sono di due colori diversi, è convinta che le voci che sente risuonare continuamente nella sua testa siano le persone che si sono perse nel suo sguardo profondo e magnetico. Realtà o follia? Su questo delicato argomento si muove abilmente il racconto dello sceneggiatore, il quale neppure alla fine dissipa il dubbio nel lettore. Stupende le tavole di Luca Genovese, disegnatore che sembra davvero in grado di migliorarsi a ogni nuova prova. Davvero azzeccati alcuni “paesaggi” che formano i ricordi, la mente e forse la pazzia di Lucy; risaltano in particolare alcuni che, per impatto visionario, ricordano il grande Moebius. Da citare anche il poetico e graficamente disturbante finale, che cita una famosa scena di Un Chien Andalou di Luis Bunuel, dove Lucy pone fine alle voci in modo drammatico.

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Un Color Fest con luci e ombre, in cui non tutti gli autori coinvolti sono riusciti a superare nel modo adeguato la “barriera” delle sole 32 pagine, un formato non facile da gestire per la creazione di storie complete. Buono il lavoro dei coloristi, nell’ordine Erika Bendazzoli, Oscar Celestini, Alessia Pastorello e Luca Bertelé, coadiuvato da Manuela Nerolini: tutti bravi nel seguire l’andamento della storia e il mood della narrazione. Sono un esempio in tal senso i colori accesi e con poche sfumature utilizzati dalla Bendazzoli che ricordano, come già detto, la colorazione delle produzioni anni 80′.

Ancora una volta il Color Fest sembra più funzionale se utilizzato per raccontare storie e personaggi che esulano dal consueto background dell’indagatore dell’incubo, lasciando Dylan sullo sfondo e declassandolo da protagonista a mero comprimario.

Abbiamo Parlato di:
Dylan Dog Color Fest #15
AA.VV
Sergio Bonelli Editore, 2015
132 pagine, brossurato, colore – € 5,50

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