Davide Toffolo: L’inverno d’Italia

Davide Toffolo: L’inverno d’Italia

Da leggere e far leggere il volume di Davide Toffolo, che racconta, in forma di striscia e dal punto di vista dei bambini, la crudeltà e la violenza delle persecuzioni e del tentato sterminio delle popolazioni slave da parte degli italiani nei territori di confine con l’ex Jugoslavia.

Quando inizia una storia?
L'Inverno d'Italia: copertina.Le storie fondano l’identità e spesso conservano e trasmettono i valori centrali dell’individuo, del gruppo o della comunità che le raccontano. Biografia, leggenda, tradizione, racconto, mito: l’identità ha tutti questi generi a propria disposizione. E qualunque metodo di definizione dell’identità può sfruttarli, sia essa pubblicità o propaganda. Un esempio: ricordate la guerra civile che smembrò la Jugoslavia? Nel corso di quel conflitto, la propaganda serba promuoveva un racconto della (propria) storia, che nasceva con la Battaglia di Kosovo Polje del 1389. Lì iniziava e lì tornava, poiché la guerra in corso era vista come ideale continuazione di quello scontro.
Una versione dominante degli inizi vige anche in Italia, per quanto riguarda le zone di confine con le attuali Slovenia e Croazia. In questa narrazione, l’inizio dei tempi è il settembre 1943. Niente esiste prima di quella data, come se quelle terre fossero sorte all’improvviso dal Mar Adriatico e su di esse si fosse scatenata la brutalità della guerra. Brutalità che sta naturalmente tutta dalla parte delle allora forze Jugoslave, che avrebbero perseguitato e massacrato i buoni e pacifici italiani che lì vivevano. Persecuzione senza ragione, senza movente, senza giustificazione.
L’obiettivo di questa narrazione è costruire una memoria di comodo, che sostituisca la storia.
Come nelle brutte storie di famiglia i bambini sono gli ultimi a sapere, così la storia antecedente l’8 settembre 1943 di quel territorio è stata rimossa, oltre che dal discorso pubblico italiano, dalla storia studiata alla scuola dell’obbligo.
Non solo: su quella vicenda di violenza si sono fondate campagne d’odio, ormai inutili come tassello di politica estera, ma considerate strumento di costruzione del consenso per molte formazioni del centro destra e della destra italiana. Così, mentre la pubblicazione di memoriali e inchieste sulla persecuzione e sull’espulsione degli italiani dai territori di confine hanno trovato la giusta risonanza, quelle che raccontano gli anni fra il 1919 e il 1943 dal punto di vista delle popolazioni slave hanno goduto, fino a questi anni, di fortuna decisamente minore. Si pensi solo che il romanzo Necropoli di Boris Pahor1 ha atteso quaranta (40!) anni per essere pubblicato in Italia da una delle nostre maggiori case editrici.

Ma che cosa abbiamo da nascondere?
Molte cose.
Questo volume di Toffolo ne mostra una.
Internavamo civili in campi di concentramento, li massacravamo di lavoro e li lasciavamo morire di fatica e fame. La loro colpa? Non essere italiani. Oggi la chiamiamo pulizia etnica. Che, quando è organizzata e si realizza nell’uccisione di tutti gli elementi sgraditi, diventa genocidio. Questo era il progetto italiano per quei territori. Le parole d’ordine erano “Fascistizzazione” e “Italianizzazione” e sono spiegate crudamente nei capitoli Il Millepiedi (Giudita: “Ma tu hai capito che cosa vogliono da noi?”. Drago: “Vogliono che diventiamo come loro. […] Gli italiani sono diavoli“) e “La Mosca“, dove in forma di incubo Drago sogna la fame, la deportazione, lo sterminio e l’occupazione.

In quei campi c’erano bambini.
Noi uccidevamo quei bambini.
Dopo aver ucciso i loro padri, le loro madri. Dopo aver distrutto le loro case, i loro villaggi2.

Che cosa possono fare i bambini in un campo di sterminio? Come possono sopravvivere?
Toffolo sceglie di raccontare la storia di due bambini che sopravvivono al campo. E sceglie di raccontarla con il linguaggio delle strisce. In questo modo si svincola programmaticamente dalla necessità di una trama e può illuminare momenti ed emozioni. E può giocare con il ritmo della lettura: la struttura in due vignette, apertura e immediata chiusura, comunica un senso di spazi ristretti, di impossibilità di manovra per cercare punti di contatto. La ripetizione di questa unità e delle situazioni riesce a rendere l’ossessione con cui Giudita cerca un contatto con Drago. Ricerca ossessiva, perché Giudita sa che l’isolamento uccide, che deve aggrapparsi a qualcuno. Le piccole variazioni delle posizioni dei due bambini raccontano l’evoluzione della loro amicizia, prima ancora delle parole.

L’inverno d’Italia è un libro di poesia e istanti dolenti, luminosi, cupi. Accanto ai corpi, alle espressioni che intagliano i volti di Drago e Giudita regna il silenzio delle pause. Queste pause sono tempi che tocca al lettore riempire (con pietà, commiserazione, rabbia, indignazione, vergogna). E L’inverno di Italia è poesia perché Toffolo racconta per allusione: i bambini raccontano il brutto, ma noi non lo vediamo e così Toffolo mette in scena il racconto dell’orrore, non l’orrore.
È un racconto morale, composto con minuta sapienza tecnica e mai didascalico. La dedica “Alla gente Rom, perseguitata oggi in Europa”, ricorda che i nomi dei protagonisti possono cambiare nel tempo e nello spazio, ma la malattia è sempre la stessa.
Da leggere e far leggere.

Abbiamo parlato di:
L’inverno d’Italia
Davide Toffolo
Coconino Press – Fandango, 2010
149 pagine, brossura, bianco e nero – 14,00 €
ISBN: 978-8876181726

Riferimenti:
Coconino Press: www.coconinopress.it
Davide Toffolo: eltofo.blogspot.com


  1. Boris Pahor e E. Martin: Necropoli, Fazi, 2008 

  2. Toffolo propone in coda al volume una bibliografia di riferimento, a cui aggiungo: Aleksandra Kersevan, Lager Italiani, Nutrimenti, 2008 

2 Commenti

2 Comments

  1. Luka

    1 Ottobre 2011 a 16:17

    Un libro molto bello, dalla scelta del soggetto allo sviluppo fino alla costruzione della tavola, fortemente consigliato a tutti

    • Simone Rastelli

      2 Ottobre 2011 a 15:47

      Come spero si capisca dalla recensione, sono pienamente d’accordo. E da appassionato sono molto contento che un argomento così poco noto da noi sia affrontato in un fumetto. Qunidi, ancora una volta: perché il fumetto è così bistrattato?

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