Capitani Italiani speciali: Fabrizio Capigatti e Federico Toffano

Capitani Italiani speciali: Fabrizio Capigatti e Federico Toffano

Abbiamo intervistato Fabrizio Capigatti e Federico Toffano, parlando dell'universo dei Capitani Italiani, del sottotesto di denuncia presente nei loro fumetti e della loro ultima fatica: "Capitan Venezia vs Capitan Padova".

Creatore dell’universo dei Capitani Italiani, fondatore e direttore editoriale della casa editrice Veneziacomix Editore, Fabrizio Capigatti nasce a Venezia nel 1976 ed esordisce nel mondo del fumetto nel 2008 con Il folle volo, pubblicato da Edizioni del Vento, al quale segue Vola mio angelo, vola (Bottero Editore). Dopo aver creato il personaggio di Capitan Venezia nel 2006, nel 2012 dà vita all’ambizioso progetto dei supereroi italiani introducendo La Lupa e Capitan Palermo. Tra il 2013 e il 2015 scrive tre puntate dell’inedita web-serie Macabrus su soggetto dei Manetti Bros. Tornando ai fumetti, oltre alla sceneggiatura di 47 Ronin Manga, collorabora con Tatai Lab di Emanuele Tenderini alla realizzazione di Into the net.
Classe 1981, Federico Toffano si laurea in Beni culturali e frequenta la Scuola di Fumetto di Venezia dal 2008 al 2010, dopo aver già avviato la collaborazione con Emanuele Tenderini per le colorazioni di Dylan Dog e Dampyr. Disegna Vola angelo mio, vola, Dead Blood 4 per Noise Press e fa parte della squadra formata da Fabrizio Capigatti per raccontare le avventure dei Capitani Italiani. Sempre per Veneziacomix Editore, si occupa delle matite e dei colori di Capitan Venezia vs Capitan Padova.

Abbiamo incontrato Fabrizio e Federico per questa chiacchierata presso la fumetteria Fumetti & Soda di Padova; nell’occasione i due autori hanno presentato il volume Capitan Venezia vs Capitan Padova, titolo che segna l’esordio della collana di Speciali di Veneziacomix Editore.

Ciao Fabrizio, partiamo con una domanda classica: quali sono le tue “origini segrete” da autore di fumetti?
Quand’ero piccolo andavo matto per i supereroi, i primi fumetti che ho letto, rubandoli a mio fratello, sono stati Capitan America, l’Uomo Ragno e i Fantastici Quattro pubblicati dalla Corno. Da quel momento ho iniziato a leggere tantissimo, soprattutto supereroi, mentre tra i Bonelli mi appassionavano molto Nathan Never e Zagor. Proprio l’amore per i supereroi mi ha portato a fare questo lavoro. Il passaggio da appassionato ad autore da un certo punto di vista è stato un caso, perché quando andavo al liceo volevo fare il disegnatore. Così mostrai i miei disegni a un amico di famiglia che era un disegnatore, ma non erano un granché; inoltre in quel momento iniziai a rifletterci su e accantonai l’idea. Successivamente, da uno dei giochi di ruolo in cui ero stato coinvolto da alcuni amici, trassi una miniserie a fumetti che venne notata da un piccolo editore che mi propose di scrivere un albo. Quindi, posso dire di essere arrivato a raccontare storie con la scrittura invece che con il disegno. Ho realizzato la prima nel 2008, si intitolava Il folle volo e narra l’episodio storico del volo che D’Annunzio fece su Vienna.

Perché hai deciso di creare la tua casa editrice invece di proporre i Capitani Italiani a un editore già esistente?
Ho deciso di assumermi le mie responsabilità, con i rischi e i benefici che questo comporta: ho potuto procedere liberamente, credendo fortemente nel mio progetto e sperando che la fatica potesse essere ricompensata. Alle spalle della scelta ci sono anche i diversi anni di autoproduzione, dato che Veneziacomix Editore è una branchia di Veneziacomix Associazione con cui all’inizio abbiamo creato il personaggio di Capitan Venezia, all’epoca molto diverso da quello attuale. Era un prodotto per bambini, simile alle W.i.t.c.h. nello stile, che aveva lo scopo di riportare il fumetto a Venezia. Dopo un po’ di tempo, avendo la passione per i supereroi, abbiamo pensato di divertirci e di fare qualcosa in stile Marvel. Siamo partiti un po’ alla cieca con l’autoproduzione, progressivamente anche noi abbiamo acquisito maturità mentre il progetto evolveva e abbiamo deciso di fare il passo successivo, diventando editori, quando abbiamo visto che il personaggio aveva raggiunto un suo pubblico e avevamo un’idea più precisa di cosa volessimo fare. Desideravamo pubblicare fumetti supereroistici con una fortissima caratterizzazione identitaria che avessero una sottotrama di denuncia, ben radicata nella territorialità.


Tra gli intenti delle storie dei Capitani Italiani c’è infatti anche la volontà di denunciare ciò che non funziona nel nostro Paese. Quanto è difficile, se lo è, non calcare eccessivamente la mano su questo aspetto, mantenendo coerenza ed equilibrio rispetto a tutto il resto?
Non è difficile, bisogna solamente stare attenti a non offendere nessuno. Per come la vedo io, comprando un quotidiano e leggendo l’attualità si ottengono spunti per un’ampia produzione di storie. La vera difficoltà, essendo un prodotto molto territoriale, sta nel riuscire a centrare proprio il tema adatto alle singole città. In Capitan Venezia il concetto di partenza era che i problemi della città sono anche quelli dei quali non si legge nei quotidiani, sono le cose che tutti conoscono ma che nessuno dice. Se tu sai alcune cose, perché non parlarne? Bisogna riuscire a trovare questi elementi da raccontare: per esempio, per scrivere La Lupa ho attinto da Mafia Capitale, mentre Capitan Palermo è costruito sul generale Dalla Chiesa. In questi casi sono andato a studiare le vicende specifiche, però, la nostra idea è di affidare ad autori autoctoni gli albi, così com’è stato per Capitan Napoli, sceneggiato dal napoletano Antonio Sepe.

In anni e in un Paese come il nostro di forte polarizzazione politica e sociale, hai mai temuto che questi temi di denuncia sociale potessero essere usati a fini politici o, ancora peggio, potessero dare l’idea di una connotazione politica dei tuoi personaggi?
Effettivamente devo ammettere di essere stato contattato da un gruppo indipendentista e di aver letto commenti un po’ scontati e fuori luogo, però sono rimasti fenomeni isolati. Comunque, in questi casi consiglio sempre di leggere il fumetto prima di affrettare giudizi.

Anche se sono radicati in Italia e tu tieni molto all’identità dei tuoi personaggi, pensi che i tuoi fumetti siano esportabili all’estero, soprattutto puntando sull’aspetto archetipico dei supereroi?
Assolutamente sì, alla base del progetto c’è l’idea di creare un catalogo ricco e puntare poi a esportarlo, perché si tratta di made in Italy e crediamo che sia appetibile. In Italia abbiamo la forza di avere città e temi conosciuti e richiesti all’estero, quindi abbiamo pensato di darci un triennio di tempo per realizzare un catalogo ampio e proporlo poi all’estero.

Come nasce una storia che fa parte di un universo condiviso? Tu sei lo scrittore principale e coordini il progetto, ma c’è anche una fase di brain-storming collettiva? In particolare, cosa chiedi ai tuoi disegnatori?
Per il momento, essendoci solo un altro sceneggiatore con me, Antonio Sepe su Capitan Napoli, ti posso spiegare proprio questo caso specifico. Gli ho chiesto di mandarmi il soggetto, poi la scaletta sulla quale sono stato molto rigido perché bisogna entrare nell’idea di un universo progettato nei dettagli. Una volta che eravamo pronti, si è trattato semplicemente di lavorare sull’inserimento e la gestione dei tasselli che vanno a comporre questo universo, come i singoli personaggi e il legame tra loro. Posso anche citare quello che stiamo facendo per Capitan Milano, scritto da Luca Frigerio: siccome ci sono due personaggi che si incontrano, gli ho dato indicazioni sul momento in cui il fatto deve accadere. Con i miei disegnatori, invece, lavoro semplicemente sugli storyboard in modo che possano funzionare, senza scrivere sceneggiature estremamente dettagliate o maniacali, perché ogni disegnatore ha il suo occhio ed è anche giusto modificare alcuni elementi affinché il risultato sia migliore.

Rispetto alla scrittura continuativa di un’unica serie, come si articola il lavoro su più serie di un universo condiviso?
Come impianto, l’idea è avere storie che si articolano alla maniera delle stagioni televisive, cioè con cicli narrativi chiusi per ogni singolo eroe che possano vivere indipendentemente dagli altri, rimanendo però collegati attraverso alcuni personaggi trasversali. Spesso, finora, sono i villain a fungere da collegamento: per esempio, un cattivo che è comparso per la prima volta su La Lupa gestiva i centri d’accoglienza di Roma, poiché questi centri si trovano anche in Sicilia, l’ho mandato anche da Capitan Palermo. Tendenzialmente tutti viaggiano su binari personali, ma si seminano situazioni che danno il senso di unione, perché in realtà ho già in mente quello che dovrà uscire fra tre anni.
Con quale criterio vengono scelti i copertinisti ospiti?
Dipende dai singoli casi. Per esempio, per Capitan Napoli, è sempre stato Antonio Sepe a proporre i copertinisti. In generale, cerchiamo di avere un nome di richiamo in copertina perché aiuta a far crescere il progetto in termini di spessore. Nello specifico, abbiamo scelto Alessandro Pastrovicchio per Capitan Venezia vs Capitan Padova perché lui era contento di realizzare una copertina con la tecnica tradizionale, visto che gli interni sono stati disegnati a mano. Chiaramente chiedo la collaborazione agli autori che stimo e poi dipende anche dalla loro disponibilità.

Stai seguendo le vicende dei supereroi americani? Quali sono i titoli che più ti hanno colpito?
Non leggo con continuità, però ho apprezzato molto Ms. Marvel di G. Willow Wilson e Visione di Tom King. Secondo me quello è l’indirizzo giusto per realizzare oggi delle storie interessanti.

Ciao Federico! Dopo la partecipazione nella veste esclusiva di colorista, con Capitan Venezia vs Capitan Padova ti presenti anche come disegnatore. Quali sono i tuoi punti di riferimento quando devi disegnare e quando devi colorare?
Parto dal ruolo di colorista: per svolgere il lavoro sui Capitani Italiani ho sempre avuto come riferimento, trattandosi di supereroismo, le colorazioni in stile americano. Guardando indietro, ho iniziato il mio percorso collaborando con Emanuele Tenderini che mi ha dato basi importantissime per quanto riguarda la tecnica, anche se quelle collaborazioni non avevano affinità con i fumetti di supereroi. Parlando del disegno, ho sempre strizzato l’occhio alla produzione francese, mentre mi sono affacciato solo di recente ai fumetti di supereroi e sto scoprendo un mondo. Non faccio nomi di autori, perché cerco di attingere da tutto e di trovare uno stile personale.

Per realizzare questo fumetto hai scelto di procedere in un modo più classico, forse ormai quasi desueto: ci racconti i passaggi del tuo lavoro?
Faccio una premessa. L’idea di realizzare lo Speciale con tecniche tradizionali, acquerelli, acrilici, facendo tutto a mano e non in digitale, nasce dal fatto che, avendo colorato in digitale tutta la prima stagione di Capitan Venezia, avevo bisogno di mettermi in gioco realizzando qualcosa di diverso. Già mentre coloravo digitalmente stavo studiando le tecniche tradizionali, tra cui l’acquerello, e dopo un anno di studio è nata la voglia di passare alla pratica. Per prima cosa ho presentato lo storyboard a Fabrizio, quindi ho disegnato la tavola a matita, ho passato la classica china e alla fine mi sono occupato della colorazione.

A lavoro finito, sei soddisfatto di non aver adottato la colorazione digitale? Cosa cambieresti del risultato analogico? Vedi possibile l’uso combinato dei due diversi metodi?
Sì, sono soddisfatto per quanto riguarda il risultato, perché è stata una cosa inaspettata anche per me. Se per molte tavole avevo già immaginato il risultato, per molte altre è stata una sorpresa: mentre la colorazione digitale era diventata un procedimento meccanico, con un metodo diverso non avevo margine di errore, dovevo rischiare senza sapere cosa aspettarmi. Non sono soddisfatto solo del fatto che per alcune tavole ho dovuto trovare un compromesso tra tempo a disposizione e tecnica utilizzata. Perciò in alcune avrei voluto rendere di più, tuttavia non posso rimproverarmi nulla. Mi rendo conto che è un prodotto più di nicchia rispetto alla classica linea di Capitan Venezia, che invece ha uno stampo americano molto forte. Secondo me non ci sono limitazioni artistiche: si può usare sia la tecnica tradizionale che la colorazione digitale, infatti pensavo di sperimentare questa unione in futuro, come fanno già in tanti.

In qualità di padovano che disegna alcuni luoghi della propria città, ti sei affidato ai ricordi, alle esperienze e alle sensazioni che hai vissuto a Padova oppure hai sentito la necessità di studiare e magari osservare nuovamente alcuni spazi per essere più distaccato?
Mi piace molto affidarmi al ricordo e l’ho fatto per alcuni luoghi, ma comunque ho voluto rinfrescarmi la memoria, perché mi diverto anche a muovermi e a osservare nuovamente il posto. In altri casi ho usato molti riferimenti fotografici, com’è normale per riuscire a lavorare nel modo migliore.

Nella prefazione del volume Capitan Venezia VS Capitan Padova scrivi di essere interessato alla figura dell’uomo che si cela sotto la maschera del supereroe. Secondo te in che modo questo elemento può emergere? Puntare soprattutto sulla dimensione umana può scontentare i lettori che prediligono avventure più classiche?
Secondo me una cosa non esclude l’altra e credo che si noti in Capitan Venezia vs Capitan Padova, in cui Fabrizio è riuscito a inserire entrambi gli aspetti, perché ha saputo scavare nei personaggi senza tralasciare le scene d’azione che non possono mancare trattandosi del genere supereroistico. Proprio la collana degli Speciali nasce per avere albi autoconclusivi più autoriali nei quali scegliere un eroe e approfondirlo. Quindi non credo che si ponga il problema di scontentare il lettore.

Ringraziamo Fabrizio Capigatti e Federico Toffano per la loro disponibilità.

Intervista realizzata dal vivo il 9 dicembre 2018
Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *