Il cane che guarda le stelle: coesistenze a confronto

Il cane che guarda le stelle: coesistenze a confronto

Il cane che guarda le stelle è la storia di un cane e del suo padrone che, rimasti soli, riescono nonostante tutto ad affrontare con serenità il loro dramma.

Senza titolo-1Sul ciglio di una strada di campagna viene rinvenuta un’auto abbandonata con al suo interno i resti di un uomo e del suo cane, morto in un periodo ben successivo rispetto al padrone. Takashi Murakami sfrutta questo semplice incipit per analizzare in maniera dolce il rapporto che lega indissolubilmente i due protagonisti.
Nonostante le forti analogie rispetto a storie ormai celebri, Hachiko in primis, il racconto riesce a mostrare elementi di originalità. L’autore apre l’opera mostrando da subito la conclusione con la morte dei protagonisti, togliendo così spazio agli inutili patetismi che spesso suscitano la lacrima facile nel lettore, per focalizzare l’attenzione sulle esistenze descritte.
Con grande delicatezza Murakami porta avanti le vicende del Papà e del fedele Happy che ricordano, nelle atmosfere e nel piglio discreto e puro, gli approcci di Jiro Taniguchi, anch’esso grande amante dei cani, spesso al centro delle sue storie.

L’opera è divisa in due parti. La prima, Il cane che guarda le stelle, approfondisce il rapporto fra i due protagonisti e lega alla narrazione una critica sociale sottesa, sempre lievemente percettibile solo in secondo piano, quasi per rispetto del vissuto dei suoi personaggi, che diviene evidente nella postfazione dell’autore: Il cane che guarda le stelle prende mossa proprio dalla repentina separazione fra il Papà e sua moglie assieme alla piccola figlia.
Più che di separazione potremmo parlare di vero e proprio abbandono, dal momento che il Papà malato viene lasciato solo con il suo cane, l’automobile e pochissimo denaro a causa della perdita del suo lavoro, con una spiegazione molto cinica da parte della moglie:

«Non è che io non ti ami più al punto da non voler più stare insieme, è solo che… Ora che sei malato e hai perso il lavoro, quello che provo non è abbastanza forte».

A questo stato di abbandono, in cui il Papà è totalmente privo di mezzi economici, fa seguito una morte fra gli stenti e la fame, tutt’altro che dignitosa; eppure, nonostante i patimenti, non vi è una sola lacrima versata dal Papà o dal suo cane, che pian piano abbandonano assieme la vita con felicità e sorriso.

Schermata 2015-10-11 alle 18.11.23L’autore esprime la sua indignazione verso una società ormai chiusa in se stessa: il protagonista, certamente uomo buono ma non senza macchia, spesso mentalmente distante nei momenti in cui la moglie chiedeva consiglio, è considerato da lei un “cattivo padre” per il solo fatto di essere disoccupato.
L’ordine solipsistico dei rapporti individuali riversa ormai le sue conseguenze anche sul nucleo solidale della famiglia, che da sempre ha fatto da contraltare agli interessi particolari disgreganti dei rapporti sociali. A quanto pare, anche questa netta differenziazione tra solidarietà familiare e individualismo sociale sta sbiadendo, e Murakami ne prende atto.
Essere un “buon padre” non è più legato alla saggezza e al carattere giudizioso paterno, ma è un mero indicatore economico; elemento totalmente sconosciuto ad un cane, che invece continua ad apprezzare genuinamente gli affetti.

La seconda parte del volume, I girasoli, è dedicata a un assistente sociale di nome Okutsu, dall’esistenza in apparenza tranquilla ma appannata da ricordi di lontane perdite, il quale deve occuparsi dell’identificazione e della sepoltura dei corpi non ancora identificati dei protagonisti. Proprio a Okustu il Papà avrebbe potuto chiedere aiuto; eppure aveva scelto di non farlo, tanta era la soddisfazione per la sua nuova vita semplice:

«E se fosse stato felice da far invidia e avesse nascosto la sua identità perché non voleva essere riportato indietro?», si chiede Okutsu.

Dopo aver narrato nella prima parte la vicenda dei due come da loro vissuta, e reso edotto il lettore rispetto alla trama, l’autore propone un terzo punto di vista: quello dell’assistente sociale che, per riuscire a identificare i protagonisti, ripercorre a ritroso la via precedentemente tracciata. Ricostruendo passo per passo i loro ultimi mesi di vita e dando loro degna sepoltura, Okutsu ricostruisce se stesso e si riappacifica con i ricordi d’infanzia.

Schermata 2015-10-11 alle 18.12.56Vi è un intreccio indissolubile delle storie esistenziali esposte: un beneficio reciproco, con la serenità riguadagnata da Okutsu, lascito della morte non vana dei due protagonisti, contemporanea alla simbolica riconquista della dignità che la società aveva negato loro, abbandonando due anime pure a se stesse. I girasoli costituisce dunque una sorta di funerale per il Papà e Happy, un riscatto sociale che segna un riequilibrio.

Quel che più sorprende, infine, è che nonostante l’aperta critica sociale non vi sia spazio ad inutili moralistiche condanne.
L’esistenza di tutti i viventi è descritta attraverso la figura dell’uomo che guarda le stelle, ovvero colui che contempla continuamente ciò che non può raggiungere. Al contrario della classica connotazione negativa conferita all’espressione, che fa riferimento a individui poco pragmatici e incantati, l’autore vede nel “guardare le stelle” il senso stesso che muove la vita. Ognuno di noi cerca il proprio posto nel mondo, e punta a qualcosa che si trova costantemente oltre. Proprio alla luce di questa libera ed egoistica aspirazione, non vi sono severe accuse nei confronti della madre e della figlia che hanno abbandonato il Papà.
Le due donne vengono mostrate nel finale de I girasoli alla ricerca di un rinnovato e amaro ordine: la mamma guarda con speranza a una nuova occupazione mentre la figlia, dall’aspetto stanco e trasandato, sembra aver preso la strada poco felice dell’incomunicabilità con la madre e di un lavoro degradante, al contrario del Papà morto fra gli stenti ma sereno. Una sorta di VonnegutianoCosì va la vita” insomma, in cui l’autore descrive uno spaccato di vite paradigmatiche e, partendo dall’amore di un cane per il suo padrone, mostra la purezza dei sentimenti che dobbiamo rivalutare.
È proprio grazie a un grande narratore come Kurt Vonnegut che possiamo comprendere l’idea di Murakami di descrivere senza condanne l’egoismo delle due donne nella loro personale “ricerca delle stelle”:

«Un’altra cosa che insegnavano era che nessuno era ridicolo o cattivo o disgustoso. Poco prima di morire mio padre mi disse: “Sai? Tu non hai mai scritto un racconto in cui ci fosse un cattivo”.
Gli dissi che questa era una delle cose che avevo imparato all’università dopo la guerra.»1

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I disegni sono spogli ed essenziali, a tratti abbozzati e spesso imprecisi, ma la loro forza è nella caratterizzazione delle espressioni, soprattutto degli animali, e nella comunicazione di una sensazione di costante e positiva solarità, nonostante il dramma descritto.
Il cane che guarda le stelle è in conclusione un’opera molto leggera, certo non imprescindibile, piacevole alla lettura e che colpisce al cuore.

Abbiamo parlato di:
Il cane che guarda le stelle
Takashi Murakami
Traduzione di Marco Franca
Edizioni J-Pop, ottobre 2015
176 pagine, brossurato, bianco e nero – 6,90€


  1. Mattatoio n.5, Kurt Vonnegut, Ed. Feltrinelli, pag. 17 

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