Blake e Mortimer – Lettura sleale delle avventure di Jacobs

Blake e Mortimer – Lettura sleale delle avventure di Jacobs

Iniziamo un viaggio attraverso Le avventure di Blake e Mortimer, pietra miliare del fumetto d'avventura. Prima tappa: l'idea di fumetto di Edgar Jacobs.

blake-mortimer-espadon-coverCon otto avventure pubblicate fra il 1946 e il 1971, la serie de Le avventure di di Blake e Mortimer, ideata e realizzata da Edgar P. Jacobs, è considerata una pietra miliare della bande dessinée1.
Dopo la morte del suo autore, fu affidata a prestigiosi nomi del fumetto francofono, che dal 1996 continuano a proporre nuove avventure della coppia britannica. Primo stimolo a questo passaggio di consegne avvenuto alla scomparsa di Jacobs, è stato il potenziale commerciale del brand “Blake e Mortimer“, che si realizza sotto la forma di traino per le riviste sulle quali viene serializzato e in cifre di vendita del cartonato di indubbio peso per il mercato della bande dessinée.

In questo scenario, è particolarmente interessante capire se e come, nel passaggio dalla prima alla seconda fase, si sia trasformata la visione alla base dell’opera e l’idea di fumetto che la informa. In questa prospettiva proponiamo un’esplorazione del lavoro di Jacobs e dei suoi epigoni, partendo dall’opera del maestro belga, sodale di Hérgé.

Le otto avventure da lui firmate sono legate da profonde continuità stilistiche e tematiche, che ci consentono di affermare che, da una parte, Jacobs racconta e non lascia semplicemente che la storia si svolga da sola attraverso le tavole; dall’altra che, attraversando venticinque anni di storia, si sono confrontate e scontrate con l’evoluzione dell’idea di fumetto. In questo e nei prossimi articoli vedremo insieme questi punti. Iniziamo a dare un’occhiata al modo di raccontare di Jacobs, che corrisponde a una precisa idea di racconto a fumetti e che cercheremo di mettere in luce tramite una lettura “sleale”, nel senso che tralasceremo la contestualizzazione storica delle sue opere.

Le tavole: telecronache di un gioco sconosciuto?

Tavola tratta da: Il segreto dell'Espadon (1946/1950)
Tavola tratta da: Il segreto dell’Espadon (1946/1950)

Prendete a caso un volume de Le avventure di Blake e Mortimer firmato da Jacobs e osservate le tavole: a meno che non abbiate pescato Le 3 formule del Professor Sato – l’ultima storia (1971) -, non dovete sentirvi frustrati se non riuscite a collocare l’avventura nella cronologia delle opere – Il mistero dell’Espadon la prima avventura della serie (1946-1948), con la sua storia editoriale di rimontaggi meriterebbe un’analisi a parte, che in questa sede ci porterebbe fuori strada.

L’artista belga sembra aver infatti trovato da subito il modo a sé più congeniale di organizzare e usare lo spazio della tavola. Certo, potreste individuare la mano degli “aiutanti” nelle pagine iniziali de Il caso del collier (1965) o in alcuni sfondi de La trappola diabolica (1960), ma non si ha evidenza di un percorso di evoluzione per quanto riguarda l’organizzazione generale della tavola.
Ecco la griglia composita, le didascalie e i dialoghi (spesso monologhi) che riempiono le vignette; l’uso del colore, pienamente padroneggiato già ne Il segreto dell’Espadon, l’accuratezza nei dettagli e la ricorrenza delle scene sotterranee. Vero, la griglia, dalla saga dell’Espadon a La trappola diabolica, diventa via via più densa: se nell’avventura di esordio si trovano molte tavole suddivise in sette vignette, ne La trappola diabolica ne troviamo molte con più di undici, distribuite addirittura su cinque righe.

Tavola tratta da: Il marchio giallo (1953).
Tavola tratta da: Il marchio giallo (1953).

Ma non dobbiamo farci fuorviare da questi dettagli da piccolo statistico. Il punto fondamentale è che la tavola, per Jacobs, dalla prima all’ultima avventura, è strumento per organizzare lo scorrere del tempo, ha cioè il ruolo puramente funzionale di contenitore di istanti successivi.

Questo è evidente nel momento in cui ci rendiamo conto che le vignette sono l’equivalente di immagini di accompagnamento di un reportage e che, nelle scene più concitate, diventano equiparabili a immagini stroboscopiche, fotografie prese a intervalli regolari mentre si svolge l’azione. L’alta densità di vignette è quindi un vero e proprio campionamento dell’azione e degli eventi attraverso immagini chiave fra loro pressoché equivalenti nella responsabilità di supportare il racconto.
Responsabilità e peso che le immagini condividono con le tante didascalie, spesso ridondanti rispetto alle rappresentazioni, e i tanti dialoghi e monologhi che ad ogni passo trasmettono informazioni al lettore. Il flusso di parole è continuo e l’impressione risultante è quella di una sorta di telecronaca degli eventi.

Un esperimento interessante consiste nel leggere le avventure scritte da Jacobs saltando le didascalie: viene meno (ovviamente) l’effetto di ridondanza, ma la lettura continua a inciampare nelle vignette, non fluisce attraverso la tavola da una vignetta all’altra, poiché ci sono ancora “troppe” immagini e troppe informazioni. Ecco quello che intendiamo con “Jacobs racconta e non lascia che la storia si svolga da sé”: immagini, didascalie e spiegazioni – che, ricordiamo, sono espressione diretta e mediata di una voce narrante – accompagnano passo passo il lettore, come se questi fosse spettatore di un gioco di cui non conosce le regole.

Di passaggio, notiamo che la frammentazione dei gesti e del tempo in veri e propri fotogrammi commentati è da collegarsi direttamente alla scarsa dinamicità delle singole immagini: la resa del movimento è infatti affidata alla loro successione; in ogni vignetta il tempo è fermo e, nell’approccio di Jacobs, il dinamismo è una proprietà della sequenza delle vignette e non del disegno.

La tavola come contenitore funzionale

Tavola tratta da: S.O.S. Meteore (1958).
Tavola tratta da: S.O.S. Meteore (1958).

A questo punto, merita sottolineare che l’idea di tavola come contenitore funzionale è quella alla base di tutte le avventure ospitate a fianco di Blake e Mortimer dalla rivista Tin Tin (in realtà anche da molte iniziative seriali di altre riviste e in altre nazioni, ma qui interessa focalizzarci sull’ecosistema locale).

Quell’idea di tavola e quel tipo di racconto realizzavano una sinergia che mirava alla messa in scena efficace di una sequenza di eventi; questa efficacia nutriva una prassi di scrittura e un modo di lettura, così che la griglia finiva per essere associata al racconto basato sullo svolgersi (sequenziale, ça va sans dire) di eventi, con scarsa o nulla introspezione o caratterizzazione psicologica dei personaggi.
In un intuitivo meccanismo di feedback e selezione, il modo di raccontare e il tipo di storie si sorreggevano a vicenda, rafforzando il collegamento fra storia di avventura serializzata e utilizzo della griglia. Griglia peraltro molto duttile, poiché la libertà della suddivisione interna offriva la possibilità di variare inquadrature e ritmo secondo le necessità.

In questa prospettiva, possiamo quindi dire che Le avventure di Blake e Mortimer incarnano un’idea di racconto a fumetti come racconto di cose che accadono, una narrazione da un punto di vista privilegiato, esterno all’azione e non interessato né a dare definizione psicologica ai personaggi né a farli evolvere, poiché sono meri strumenti per far accadere le cose e far procedere l’intreccio.

Tavola tratta da: Le 3 formule del Professor Sato (1970).
Tavola tratta da: Le 3 formule del Professor Sato (1970).

In questa prospettiva, diventa pressoché ovvio il motivo per cui la nuova generazione di autori degli anni 1960-70 si è caratterizzata per un nuovo approccio alla tavola.
Non per mera questione grafico-stilistica, ma perché guidati dalla necessità di esprimere contenuti per i quali la semplice organizzazione in efficiente sequenza temporale era come minimo secondaria e anzi poteva risultare di ostacolo nella resa dei temi diventati primari, basati sulla complessità dei personaggi, delle loro relazioni con il contesto in cui si muovono e dei rispettivi mutamenti.

Emozioni, pensieri, stati d’animo, pluralità di punti di vista, e addirittura livelli multipli di lettura che di per sé non sono allineabili secondo una successione cronologica, ma semmai compresenti, venivano valorizzati guidando il lettore verso un’esperienza della tavola che fosse prima sincronica e solo poi, eventualmente, diacronica.
Per questo, assistiamo in quegli anni a tentativi sistematici di raccontare facendo a meno della griglia: a questo possiamo ricondurre l’esplosione delle tavole che caratterizza il Lone Sloane di Phillippe Druillet, apparso nel 1966 (e poi serializzato su Pilote a partire dal 1970). Di contro, i personaggi di Blake e Mortimer si muovono fino alla loro ultima avventura passando in buon ordine da una vignetta all’altra.

Facile pensare che Jacobs preferì rimanere prudentemente nel territorio che aveva contribuito a costruire, restando (confinandosi?) nella propria area di conforto. Il discorso è tuttavia leggermente più complesso, poiché l’autore belga si era duramente scontrato con i limiti di quel territorio, con conseguenze molto pesanti. La vicenda è interessante ed è legata a quella che abbiamo indicato come continuità tematica e sulla quale torneremo con un approfondimento specifico.

Due note prima del congedo

Tavola tratta da: Il raggio U (1943/1974).
Tavola tratta da: Il raggio U (1943/1974).

Prima di chiudere questo primo articolo sul classico jacobsiano, proponiamo due ulteriori spunti di riflessione: il primo è il costante successo di pubblico de Le avventure di Blake e Mortimer; il secondo è il ritorno nell’ultima avventura, Le 3 formule del professor Sato, di una griglia con densità di vignette confrontabile con quella utilizzata, venticinque anni prima, nell’Espadon.

Il successo di vendita dei cartonati dimostra come le caratteristiche del modo di raccontare qui rilevate non fossero percepite affatto come difetti. Nell’arco di un quarto di secolo non sono mancati concorrenti di livello nel campo dell’avventura: Tin Tin di Hérgé, Alix di Jacques Martin, Buck Danny di Jean-Michel Charlier e Victor Hubinon, Corentin di Paul Cuvelier, Luc Orient di Greg e Paape e via elencando. I lettori di Blake e Mortimer rimasero numerosi lungo tutto il quarto di secolo jacobsiano, dimostrando una fidelizzazione impressionante verso un prodotto che si manteneva uguale a se stesso mentre il mondo gli cambiava attorno.

Il ritorno della densità della griglia ai livelli dell’esordio, con contestuale rarefazione di didascalie, dialoghi e monologhi determina uno scorrimento più fluido del racconto, che comunque rimane ben all’interno dell’approccio tipico jacobsiano che abbiamo illustrato. Il punto interessante sta nel fatto che questo mutamento è contemporaneo al lavoro di revisione da parte di Jacobs della prima storia a fumetti da lui scritta: quel Il raggio U pubblicato sulla rivista Bravo nel 1943 per sopperire al blocco dell’importazione delle avventure di Flash Gordon (di fatto, questo lavoro interferirà su quello su Le 3 formule, che, interrotto nel 1972, sarà completato da Bob de Moor nel 1990). A tal proposito, notiamo innanzitutto che Il raggio U, pur in tutta la sua derivatività propone molti elementi cardine dell’immaginario jacobsiano e alcune tavole hanno una carica inquietante non mai proposta nelle avventure del futuro duo britannico. Ma la caratteristica che attrae l’attenzione è la seguente: se ne scorriamo le pagine notiamo una griglia molto semplice rispetto a quella usata in Blake e Mortimer ed è forte la tentazione di pensare che proprio la rivisitazione di quell’antico lavoro abbia influenzato la scrittura de Le 3 formule, in un cortocircuito temporale assolutamente coerente con lo spirito delle avventure di Blake e Mortimer.

Riferimenti:
Sito ufficiale de Le Avventure di Blake e Mortimer dell’editore Dargaud: www.blakeetmortimer.com.


  1. Le Avventure di Blake e Mortimer sono pubblicate in Italia da Alessandro Editore. Fra il 2015 e il 2016 sono uscite come collaterali del quotidiano La Gazzetta dello Sport, in formato leggermente ridotto rispetto all’originale. 

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