Asso e la perversione del Meifumado: le risposte di Roberto Recchioni

Asso e la perversione del Meifumado: le risposte di Roberto Recchioni

Dall'approfondimento di Guglielmo Nigro è nato uno scambio con Roberto Recchioni sul tema del Meifumado e sulla dicotomia tra l'autore "pupazzaro" e il suo "pupazzo", Asso.

Introduzione

Dopo aver scritto il pezzo di approfondimento, assieme alla redazione de LoSpazioBianco abbiamo concordato su una modalità di procedere un po’ anomala: ho fatto leggere il pezzo di approfondimento a Recchioni. L’autore ha risposto ad alcune sollecitazioni con un suo scritto. A quel punto, ho cercato di mettere ulteriormente a fuoco alcuni argomenti con domande più dirette e puntuali. Recchioni ha risposto anche a quelle. Ne è uscito un interessante dialogo, che mi piacerebbe incuriosisse i lettori tutti (e non solo i tanti estimatori dell’autore) e che ho l’ambizione si ponga come esempio della possibilità di realizzare un confronto reale e costruttivo con un autore, senza che questo diventi un’imbarazzante contrapposizione ideologica. Ai lettori il giudizio finale.

 

Lettera da Roberto Recchioni

Intanto, grazie per il pezzo.

 

È davvero bello e pertinente e pieno di spunti, utili anche a me.
Se la critica fosse sempre così (anche la tua), io non avrei mai nulla di cui lamentarmi.
Detto questo, un paio di spunti.

La perversione del Meifumado

La perversione del Meifumado c’è, ed è evidente. È esplicitata nel fumetto stesso. Asso dice chiaramente di voler piegare “la via” per i suoi comodi. Poi, messo davanti alla morte, ne recupera il senso profondo. Il chiarimento avviene nella tavola dove appare Troisi e nel finale
È questo il tema portante del libro.

La fruibilità del libro
Qui tocchi nel tuo articolo un punto centrale. Hai perfettamente ragione: il libro ha senso di essere solo in funzione del blog (prontoallaresa.blogspot.com) e, ti dico di più, anche del resto del mio lavoro. Se non si è letto Mater Morbi (Dylan Dog n.280), non si capisce Luisa e non si capisce il lavoro di decostruzione ironica che cerco di fare su una storia che è stata fin troppo celebrata quando era, per molti versi, sin troppo facile.
Idem con La Redenzione del Samurai (Le Storie n. 2) che con Asso è legata a doppio filo anche per i temi trattati e di cui Asso rappresenta una irriverente estensione. il meccanismo è quello di fare roba che nel suo contesto e nel suo universo di riferimento narrativo è serissima, e poi portarla fuori da quel contesto, in un mondo più “reale” (quello di Asso) e metterla in discussione attraverso l’ironia.
Ora: tu però, in questa cosa, ci vedi un limite. Io, invece, ci vedo il senso di vent’anni della mia carriera.

Perché è verissimo: sto cercando di mescolare le carte al punto da non poter più definire dove finisce l’opera e dove comincio io. Il blog, dal mio punto di vista, non è un blog. È un’opera al pari dei miei fumetti.
Ma ti dico di più: io sono un’opera al pari dei fumetti.
È questo il “diabolico piano”, e lo è da tempi davvero non sospetti.
Non scrivere personaggi. Scrivere sé stessi. E non dare al lettore la possibilità di scindere i pupazzi dal pupazzaro.
Che sì, è una roba che rischia di rendere le mie cose volatili e mai del tutto complete, ma è pure una cosa abbastanza nel suo tempo (oggi, il mondo 2.0 dei social network e via dicendo) e che, per me, ha una sua rilevanza e un suo peso permanente (giusto per capirsi: il mio blog resterà online in qualche angolo della rete anche dopo che tutti i miei fumetti saranno dimenticati e io morto).

 

Intervista

 


Ciao Roberto. La tua risposta mi suggerisce alcune domande di approfondimento. Inizierei proprio da quello che tu definisci il tema portante del libro, ovvero il Meifumado.Sul piano umano, piegare la via per i comodi di Asso a cosa porta? E quale riferimento autenticamente autobiografico c’è qui? Ovvero, dove il personaggio (Asso) e l’autore (Roberto) si congiungono?
In toto (come in gran parte del volume, lo ammetto). Sono un vero appassionato di filosofia giapponese ma, in un momento molto complicato della mia vita, l’ho pervertita a mio uso e consumo per giustificarmi e fare quello che mi pareva, quando mi pareva. Ho fatto male a un sacco di gente che mi amava, strada facendo.
È per quello che, nel volume, parlo di una deviazione dalla Via del bushi, contaminata da tutto l’edonismo anni ’80.
Immagina un samurai glam metal. Tu ci riesci? Io ci provo.

Il tema dell'”estinzione” dell’io da un lato, e dell’esaltazione dell’io dall’altra, credo siano le due facce della stessa medaglia nella ricerca dell’auto-perfezionamento, o comunque lo vogliamo chiamare (crescita spirituale? Ecco, tu come la chiami?). La disciplina, la pratica, l’esercizio che dovrebbero portare alla perdita dell’io, a volte vengono sovvertiti: sono talmente tanti i “vantaggi” che porta questa ricerca (anche sul piano del successo, della seduzione, del “potere”) che avviene una macroscopica identificazione con l’io. Certo, si tratta di un io saggio, un io “maestro”, ma sempre lì siamo. Che ne pensi?
Penso che la dicotomia tra la dissoluzione dell’ego e tra l’esaltazione di esso sia l’elemento che lega in maniera indissolubile Asso a La Redenzione del Samurai (Le Storie n.2). Sono fumetti scritti, pensati e realizzati in maniera antitetica ma necessari l’uno all’altro e necessari a me.
Il termine auto-perfezionamento mi sta benissimo. È una ricerca continua che passa dalla costante e feroce messa in discussione di tutto e tutti. E di me stesso per prima cosa. Mater Morbi viene messa alla berlina da Asso. Asso viene sconfessato platealmente da La Redenzione del Samurai.
Si cresce. Si sbaglia. Si impara. Si fanno nuovi errori. Si cresce. Si sbaglia. Si impara. Si fanno nuovi orrori.
Same old. Same old.

Una cosa che mi interessa molto. Io ripeto spesso la battuta di Troisi dal film “Non ci resta che piangere” che citi in Asso (Ricordati che devi morire. Si, mo’ me lo segno). E Troisi non ci mancherà mai abbastanza. Cosa centra Troisi con lo zen, e soprattutto con la tua vita?
Credo che, alla fine, sia la mia italianità a pretendere che nulla sia davvero santificato e preso sul serio. Come italiani, non sappiamo costruire eroi perché non ci crediamo mai fino in fondo.
Che è il lato negativo della faccenda. Il lato positivo, è che non siamo così stupidi da credere negli eroi. O da sposare, in maniera dogmatica e acritica, una qualche filosofia.

Andando avanti, nella tua prima risposta al mio articolo dici: Perché è verissimo: sto cercando di mescolare le carte al punto da non poter più definire dove finisce l’opera e dove comincio io. Il blog, dal mio punto di vista, non è un blog. È un’opera al pari dei miei fumetti. Ma ti dico di più: io sono un’opera al pari dei fumetti. È questo il “diabolico piano” e lo è da tempi davvero non sospetti. Non scrivere personaggi. Scrivere sé stessi. E non dare al lettore la possibilità di scindere i pupazzi dal pupazzaro.
Il tuo punto di vista è chiarissimo. Direi plateale. Ma al di là della sfida, per così dire, mediatica, e, se vogliamo, pionieristica, qual è il senso reale di questo sforzo? Mi sembra una ricerca tutta orientata ad affermarti come, appunto, “pioniere”, quasi a discapito del valore reale dei tuoi prodotti. Provo a fare un esempio. Se è vero che il tuo blog è un’opera al pari dei tuoi fumetti, ci vedo dentro troppa roba che mi sembra di livello “creativo” basso, se non inutile. Come dire, cose che servono opportunamente, ma che non hanno valore artistico/creativo. È quindi un’opera legata a cosa? Al far parlare di sé? A sviluppare un particolare rapporto con un certo pubblico?

Il far parlare di me è mezzo e fine. Se si parla di me, si legge la mia roba.
Ma la verità ultima è che, se si parla di me e si legge la mia roba, si leggono fumetti.
E lo scopo ultimo è quello.
Quando mi sono convinto che nel nostro settore c’erano troppi pupazzi e poche personalità e che valeva la pena spendersi per cambiare questo stato di cose non era per affermare me stesso, ma per cercare di fare qualcosa di utile per il fumetto come medium. Speravo che, se avessi avuto successo, altri avrebbero seguito la mia idea e che in tanti avrebbero cominciato a comunicare loro stessi e quello che facevano in maniera più complessa e ambiziosa.
È successo davvero? Non direi. I disegnatori si sono aperti dei bloghettini dove postare le loro robe e gli sceneggiatori sono ancora personaggi schivi che comunicano poco e male. Come cantavano gli Assalti Frontali: credevo di far parte di un grande cambiamento ma, per il momento, faccio movimento per il movimento.
Il web ha cambiato pochissimo e viene sfruttato poco e male e io, e su questo hai ragione, sono finito a perpetrare me stesso, e a fare rivoluzioni solo sulla base delle mie forze, sperando che la portata di un successo ampio faccia cambiare le cose.
In questo senso, i futuri Orfani sono il compimento di un discorso iniziato dieci anni fa e portato al suo massimo livello.

Osservandolo a fondo, mi sembra che questo tuo sforzo possa essere in realtà una sorta di protezione. Come un filtro, un velo che ti impedisca di raccontarti con più chiarezza, con meccanismi magari più semplificati e immediati (e universali, direi), ma più autentici. È una sensazione. Come non volessi davvero entrare a contatto con il reale, e filtrarlo attraverso tutti questi meccanismi, e questi prodotti di intrattenimento. Come non volessi diventare adulto (come autore, intendo). È in questo che vedo il limite principale di questo approccio.
Non credo che sia un limite autoriale.
Credo che sia un limite umano.
Tu cerchi un tipo di onestà che non è che non mi appartiene come autore ma non mi appartiene come essere umano.
Io vivo un reale costantemente traslato perché questo mi permette di gestire tutta una serie di rogne e casini che mi sono capitate nel corso della vita.
In sostanza, filtro la mia esperienza umana attraverso le suggestioni narrative. È per quello che io per primo non ti saprei dire dove finisce il racconto e inizia la persona e viceversa.
Il mio lavoro è parte integrante di me stesso. Io sono parte integrante del mio lavoro.
Grossomodo, significa che sono una specie di dissociato. Un dissociato funzionale e ben integrato, ma sempre un dissociato resto.

Per quanto riguarda il tema della malattia, sono d’accordo con te quando sostieni che per certi versi è più difficile trattare il tema con ironia e gioco. Ma non c’è il timore, da parte tua, anche qui, di parlarne in modo diretto, senza grandi filtri? Penso a “Diario di un addio” di Carnera, tanto per fare il primo esempio (a mio avviso efficace) che mi viene in mente. Dove la malattia è quella del padre, ma siamo vicini. Non credi che ci sia bisogno di superare un certo tipo di barriere narrative (avventurose?!) per arrivare di più al cuore delle cose? Non avverti mai questa esigenza?
Non saprei farlo. Quei filtri che tu vedi, sono la mia realtà.

Nella tua scelta di lavorare su storie pornografiche (va bene questo termine per te?), qual è l’equilibrio tra gioco autoriale, ammiccamento al lettore e chiave autobiografica? (mi ha divertito, per inciso, la domanda di un lettore in un qualche blog, non ricordo dove, che si chiede se tu hai davvero avuto quel tipo di esperienze. Questo è il tuo esperimento al culmine del successo!).
Non credo che sia importante.
Se ti rispondessi che non c’è nulla di inventato in Asso e che anzi, io (ma pure Mauro e tante altri amici e amiche) abbiamo dovuto sminuire certi racconti per renderli credibili, qualcuno direbbe che sono un mistificatore.
Meglio che la gente creda quello che vuole.

Sul piano strettamente narrativo, qual è la funzione della pornografia in Asso? Come ho scritto, l’ho trovata un po’ scontata. Mai davvero eccitante, mai davvero imprevedibile. Come si colloca per te?
Non voleva essere davvero eccitante. Non è un libro porno. È un elemento narrativo, al pari di tutti gli altri.
Nella mia vita, quella reale, il sesso è uno strumento cognitivo che mi permette di conoscere il mondo che ho intorno (nel caso specifico, le persone che ho davanti). Parafrasando Fight Club, “scopa per sapere chi sei… e chi sono gli altri“. È un elemento importante e centrale della mia vita, più che in quella di molti altri che conosco.
Era inevitabile che fosse ben presente in un libro personale (ma, se noti, pervade quasi tutto quello che ho scritto fino a questo momento).

Come pensi di tornare a lavorare su questo tema, nei prossimi racconti? Ti interessa davvero lavorare sulla pornografia? E come?
Sì, mi interessa e molto e tornerò a farlo presto.
Sto iniziando a lavorare sulla storia di una ragazza paralizzata che decide di entrare nel mondo del porno per riaffermare sé stessa, rovesciando la convenzione secondo cui una puttana si svende. La mia idea è che, proprio concedendosi, la mia protagonista ritroverà sé stessa e acquisterà il controllo sulla sua vita e il suo potere. Strano a dirsi, ma anche questa storia sarà una roba molto personale e piuttosto autobiografica.

 

Grazie, Roberto, per la tua disponibilità. Che ognuno torni alla propria Via del bushi!

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