Alice in Sunderland

Alice in Sunderland

Un viaggio nel mondo di Lewis Carroll, una guida turistica di Sunderland, un concentrato di aneddoti, di nozionismo, di citazioni continue su fatti e persone all'apparenza marginali. Tutto questo e molto altro ancora si trova nell'ultima, enorme fatica di Bryan Talbot, un fumetto che e' una vera gioia per gli...

Se fossi amante delle semplificazioni e volessi con un solo termine definire in quale esatto punto dello scibile fumettistico si colloca l’ultima fatica di Bryan Talbot, Alice in Suderland, mi troverei inevitabilmente in difficoltà. Non apprezzando le classificazioni, ma riconoscendo che a volte sono utili a dare un’indicazione di massima al lettore, la difficoltà è comunque enorme, tanto è complesso e al contempo strutturalmente inedito questo tomo di 324 densissime pagine.

Bryan Talbot, del resto, già ci ha abituati a tour de force narrativi per altri praticamente irraggiungibili, a partire dalla sua opera primogenita, quel mai troppo lodato Luther Arkwright, summa inarrivabile di fantascienza, fantapolitica, distopie, futuri alternativi, paradossi temporali e tanto altro. Un autore che ha saputo col tempo consolidare le sue già evidenti doti narrative e grafiche con progetti ancora più ambiziosi, come La storia del topo cattivo, uno dei pochi fumetti che è riuscito a trattare in maniera convincente e originale il tema dell’abuso sui minori, vincitore di numerosi premi e riconoscimenti. Anche per le sue produzioni apparentemente meno impegnate, come le collaborazioni con la DC Comics, l’elemento costante del suo lavoro è sempre stato l’approccio estremamente ragionato e minuziosamente pianificato alla storia da raccontare, dimostrando in ogni occasione un profondo rispetto per i lettori e per la materia, fosse “solo” l’ennesima storia di Batman.
Non è da meno questo Alice in Sunderland. Anzi, ad esser sinceri, dimenticandoci per un attimo che Talbot è già l’autore di un capolavoro assoluto (e incontestabile), il già citato Luther Arkwright, il cui seguito, Il cuore dell’Impero, è un normalissimo ottimo fumetto, dovremmo sin dal principio enunciare che ci troviamo di fronte al suo capolavoro, senza il timore di inflazionare l’uso di un termine che si dovrebbe invece adoperare con parsimonia. Certo, stiamo partendo dalla fine, dando un giudizio per il quale c’é ancora il bisogno di fornire esaurienti spiegazioni, ma senza ombra di dubbio ci troviamo di fronte a un fumetto di cui si parlerà molto in futuro, e di cui finora non si è parlato abbastanza.

Torniamo al principio. Come definire questo fumetto?
Non è un fumetto di genere, e cioé non contiene nessun tipo di avventura, e non è nemmeno un’opera di fiction. Non è un fumetto autobiografico, anche se qualche elemento di biografia dell’autore è presente. Non è nemmeno considerabile una divagazione poetica, un’opera astratta, una riduzione di un’opera letteraria o cinematografica.
È sicuramente una sorta di guida turistica della cittadina inglese di Sunderland. È certamente un trattato ampio e complesso su Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, ma anche sul suo autore e i sui luoghi dove ha vissuto. è un racconto che fonde nozionismo e aneddotica, ma è anche una storia della civiltà osservata dalla città di Sunderland. Non basta. è anche un’opera metafumettistica, ovvero è un fumetto che disvela attraverso il racconto stesso (senza la pedanteria, a volte necessaria, di Scott McCloud, per altro qui omaggiato) le inesplorate o le poco esplorate profondità di questo mezzo artistico. Anche per questo, infine, è un necessario viaggio nel mondo dell’arte e sulla sua funzione all’interno della civiltà occidentale.

Insomma, è indubbio che il libro di Carroll sia l’elemento portante su cui si basa questo Alice in Sunderland, il cui il titolo (i più attenti di voi l’avranno già capito) è un delizioso gioco di parole che si rifà ovviamente a Alice in Wonderland e alla città di Sunderland. Come si vede dal titolo, quindi, oltre a parlare della celebre opera di Charles Lutwidge Dodgson alias Lewis Carroll, della sua genesi, della biografia dell’autore, dell’ambiguo e singolare rapporto tra Carroll e la piccola Alice Liddell, la musa ispiratrice dei suoi racconti, Talbot si concentra sui luoghi che hanno ispirato questo singolare reverendo anglicano, cattedra di matematica a Oxford, amante della logica, abile fotografo, nonché, ovviamente, scrittore. E per farlo mischia innumerevoli stili narrativi e grafici, partendo dal linguaggio teatrale, con un sipario che si apre davanti ad un unico spettatore (metafora, penso, del lettore e dell’esperienza in solitaria che è la lettura) proprio nell’Empire, il più importante teatro della cittadina del nord-est inglese, adagiata sul fiume Wear.
Se questo è il geniale modo per introdurre lo spettatore alla rappresentazione di questo vulcanico viaggio fumettistico, lo stesso Talbot poi si impersonifica nel nostro Virgilio e ci porta avanti e indietro nella storia, esce e rientra dalle vignette del suo vorticoso racconto, mischiando fatti magari insignificanti, ma sempre curiosi, con altrettanto importanti eventi storici, mini biografie, accenni geografici, digressioni paleontologiche, approfondimenti antropologici, leggende, miti, episodi di costume. Un profluvio di informazioni, nozioni, racconti da far girare la testa.
A volte sembra di trovarci di fronte a un documetario del National Geographic, a volte all’interno di una guida della Lonely Planet, tanto l’autore è in vena di mantenere leggero il tono della sua “lezione accademica”, consapevole di saper intrattenere anche parlando di cose apparentemente poco interessanti.

E in questo lungo divagare, dentro e fuori argomenti a prima vista solo accennati, da un lato all’altro del linguaggio fumettistico, Talbot riesce comunque con un’abilità disarmante a tenere il filo del discorso e a incollare il lettore a una lettura tutt’altro che semplice, non lineare, molto dispendiosa a livello di tempo, dalla quale traspare vividamente una gran coerenza di fondo in cui nulla, proprio nulla sembra aggiunto a caso. Ma se anche ciò fosse, la casualità viene mutuata da una superba capacità di tenere ben salde le briglie dell’affabulazione, come un grande attore che, costretto ad intrattenere la platea tra uno sketch e l’altro, improvvisa facendo credere che invece è tutto prestabilito, voluto, pensato, tanto è grande il grado di penetrazione nell’immaginazione dello spettatore. Invece qui è tutto pianificato, ragionato, emozionalmente vissuto, tanto che la profondità culturale dell’opera è specchio della preparazione culturale del suo autore, che non vuol dire vantare riconoscimenti accademici, quanto piuttosto consapevolezza e curiosità del mondo che lo circonda, della memoria storica di una popolazione, e capacità di raccogliere e mettere in fila, in un canovaccio da sgrossare, informazioni e storie.

Questa narrazione stratificata, acentrica, polilinguistica non sarebbe stata possibile senza un impianto grafico ugualmente complesso e articolato che fonde immagini disegnate con un vasto apparato di fotografie, stampe, illustrazioni d’epoca, che dimostra, anche a livello visivo, l’enorme lavoro di ricerca e preparazione che l’autore ha dovuto sostenere per molti anni.
Tutto questo viene rielaborato da Talbot con superba perizia tramite il fotoritocco, alternando pagine di caleidoscopici e vorticosi collage con pagine di fumetto disegnato nel quale c’é sempre un’entrare ed uscire dal medium, un dentro/fuori da una vignetta, dalla tavola, uno scalare e ridiscendere i diversi livelli di lettura. È esemplare in questo senso la sequenza che va da pag. 182 a pag. 194, dove l’io narrante non solo si sdoppia o muta continuamente, ma passa attraverso il foglio del disegnatore, finisce sul palcoscenico dell’Empire, gira dietro le quinte del teatro ed entra in una pagina di un fumetto dalla ligne claire.
In più, Talbot si (e ci) diverte a far suoi e a piegare alle proprie esigenze diversi metodi di narrazione grafica pre-fumettistici, come le stampe di William Hogart o l’arazzo di Bajeaux usati per spiegare quali antenati hanno i nostri amati comics. Oppure rielabora diversi stili fumettistici, il grottesco e l’umoristico, il fumetto del terrore, il fumetto d’avventura, per sottolineare un elemento del racconto o solo per dar fiato all’ennesima divagazione. Un’ellissi continua di stili, forme linguistiche, tecniche grafiche e narrative, vertigini iconografiche e semantiche.

Tutto ruota attorno ad Alice, quella del romanzo e quella vera, la piccola Alice Liddell, frequentata e idealizzata per una vita da Carroll. Lei resta sempre sullo sfondo e al centro di un libro che sembra uscire dal nulla per regalarci un nuovo modo di raccontare a fumetti, come se fosse un libro che ci arriva direttamente dal paese delle meraviglie.
Tanto che è conseguente la domanda: Bryan Talbot è anch’esso un’invenzione di Lewis Carroll oppure il nostro fumettista ha solo visto attraverso lo specchio?
Alla fine del volume, credetemi, non sembra un’eventualità tanto fantasiosa.

Alice in Sunderland
di Bryan Talbot

Comma 22, 2007 – 342 pagg. col. cart. – 26,00euro

Riferimenti:
Il sito della Comma 22: www.comma22.com
Official Bryan Talbot fanpage: www.bryan-talbot.com/
Una recente intervista apparsa su De:Code: www.de-code.net/interviste_scheda.asp?id=35
Cronologia italia di Bryan Talbott: associazioni.monet.modena.it/glamaz/biblio/talbot/bryanbiblio
Paul Gravett su Talbot e Alice in Sunderland: www.paulgravett.com/talbot
Lewis Carroll su Wikipedia: it.wikipedia.org/wiki/Lewis_Carroll
Sunderland su Google maps: maps.google.it/Sunderland

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