Il dottor Pi e la conferenza Solvay del 1927
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Il dottor Pi e la conferenza Solvay del 1927

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La storia di apertura di Topolino #3175 è un nuovo viaggio nel tempo di Topolino e Pippo che, questa volta, si dirigono in Belgio, nei dintorni di Bruxelles. E’ il 1927 e presso l’istituto Solvay, fondato dall’industriale belga Ernest Solvay, è in corso la quinta delle omonime conferenze. Intitolata “Elettroni e fotoni” è, per molti motivi (tra cui l’alta concentrazione di Premi Nobel) la più famosa. Con questo post provo a raccontarvi quello che, per motivi di tempo e di spazio, non ho inserito nella recensione dell’avventura, particolare non solo per l’incontro con Albert Einstein, ma anche per la consulenza di Carlo Rovelli, uno dei fisici teorici italiani più noti al momento.
L’idea dell’articolo che (spero) vi apprestate a leggere è quella di fornire brevi informazioni sui fisici rappresentati nella storia da Alessandro Perina e così fornire anche qualche informazione in più su quella storica conferenza.

L’indeterminazione di Heisenberg

topolino3175-werner_heisenbergIl primo fisico che Topolino e Pippo incontrano è Werner Heisenberg. Il suo risultato più noto è il principio di indeterminazione, secondo cui è impossibile riuscire a misurare contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella. Considerato uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, ha vinto il Nobel per la fisica nel 1932.
L’aspetto più controverso della sua vita è l’adesione al progetto di realizzazione di una bomba atomica nazista. Sulla questione esistono due interpretazioni discordanti, una che implica una convinta partecipazione al progetto e l’altra secondo cui il fisico tedesco rallentò se non addirittura sabotò il progetto di cui era a capo. In particolare è l’indubbio valore di Heisenberg come fisico l’unico elemento che indirizzerebbe verso quest’ultima tesi, nonostante alcuni indizi contrari, come una lettera di Bohr mai spedita e ritrovata nel 2002.

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La signora della radioattività

Vincitrice di due Premi Nobel in fisica nel 1903 e in chimica nel 1911, Marie Curie è la seconda scienziata incontrata dai nostri eroi. In particolare il Premio del 1903 le venne assegnato, insieme con il marito Pierre Curie e con il francese Henri Becquerel.

Con il termine radioattività si intende il decadimento radioattivo dei nuclei atomici. Non tutti i nuclei, infatti, sono stabili, e la prima osservazione documentata del fenomeno è di Becquerel nel 1896. Il contributo di Marie alla nascente nuova linea di ricerca fu, innanzitutto, la riproduzione dei risultati del collega francese1.
Circa 15 anni prima Pierre e il suo fratello maggiore, Jacques, inventarono un nuovo tipo di elettrometro, uno strumento che serve per misurare correnti elettriche estremamente basse. Marie utilizzò l’elettrometro dei Curie per misurare le piccole correnti che attraversano l’aria attraversata dai raggi dell’uranio. L’aria umida del magazzino nel quale conduceva gli esperimenti tendeva a dissipare la carica elettrica, ma nonostante questo riuscì a realizzare delle misure riproducibili.
Dopo molti esperimenti, la fisica polacca arrivò alle stesse conclusioni di Becquerel: gli effetti elettrici dovuti all’uranio erano costanti, indipendenti cioè dallo stato, solido o polverizzato, puro o in un composto, umido o asciutto, esposto alla luce o riscaldato, dell’uranio. Inoltre confermò l’osservazione di Becquerel sull’emissione di raggi più intensi in minerali contenenti una porzione maggiore di uranio. Al lavoro del collega francese, però, aggiunse anche una importante ipotesi: la radiazione emessa dai composti dell’uranio era una proprietà insita nell’uranio stesso, qualcosa di spiegabile solo dalla struttura interna dell’atomo stesso.

Vale la pena ricordare che durante la Prima Guerra Mondiale si impegnò per prestare le cure ai soldati utilizzando, tra le altre cose, la radioterapia.

Schrödinger e Dirac: la bellezza di un’equazione

topolino3175-paul_dirac-erwin_schrodingerIn effetti nella vignetta di Perina l’ordine è inverso: a sinistra Paul Dirac e a destra Erwin Schrödinger, entrambi Premi Nobel per la fisica nel 1933.
Sono noti soprattutto grazie alle loro equazioni: l’equazione di Schrödinger descrive il mondo microscopico, in particolare permette di rappresentare il moto di un elettrone sia libero sia soggetto a un potenziale elettrico, descrivendo in maniera efficace l’atomo di idrogeno; l’equazione di Dirac, invece, è un tentativo (storicamente il secondo) di introdurre nella meccanica quantistica elementi della teoria della relatività di Einstein. Risultato accessorio di questa operazione è la teorizzazione dell’esistenza dell’antimateria.
D’altra parte Schrödinger è noto anche per un po’ di altre scoperte, sebbene la più curiosa è indubbiamente l’esperimento mentale noto come il gatto di Schrödinger, che se da un lato sottolinea una sorta di comportamento paradossale della realtà quantistica, dall’altro enfatizza qualcosa che troppo spesso si dimentica: non si possono applicare le leggi quantistiche che descrivono il mondo microscopico a una scala macroscopica2. Va anche ricordato per aver aperto un approccio multidisciplinare alla scienza grazie al libro Cos’è la vita?
Per contro Dirac, probabilmente uno dei fisici più geniali del XX secolo (per molti anche più geniale dello stesso Einstein) era un fervente sostenitore della bellezza delle equazioni matematiche. In particolare questa bellezza era di grado maggiore quanto più l’equazione si mostrava sintetica, ma comunque ricca di informazioni.

La compagnia dell’uomo dei quanti

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Insieme con Heisenberg, Max Planck è un altro dei padri della meccanica quantistica. E’ proprio Planck, infatti, che introdusse il concetto di quanto di energia per spiegare la radiazione del corpo nero: il problema era che, utilizzando l’usuale meccanica classica, un corpo nero, ovvero un oggetto in grado di assorbire perfettamente la radiazione elettromagnetica, avrebbe dovuto rilasciare tutta l’energia assorbita in maniera improvvisa e violenta. Ciò però non avveniva e l’unica possibilità per spiegare perché questa catastrofe non avveniva, risiedeva nell’ipotesi avanzata da Planck nel 1900: l’energia viene rilasciata in pacchetti di quantità minime.
Nella vignetta di Perina, Planck si accompagna alla sinistra del lettore a Hendrik Kramers (uno dei suoi risultati è la formula di Kramers-Heisenberg sull’urto tra un fotone e un elettrone atomico), mentre alla destra da Édouard Herzen, all’epoca uno dei più importanti fisici belgi.
Alle spalle tre piccole figure non ben distinguibili di cui il terzo da sinistra sembrerebbe Paul Ehrenfest, fisico austriaco, che si interessò soprattutto del corpo nero e di termodinamica. Insegnante, tra gli altri, di Enrico Fermi a Leida, è ritenuto dallo stesso Einstein come il migliore insegnante di fisica:

He was not merely the best teacher in our profession whom I have ever known; he was also passionately preoccupied with the development and destiny of men, especially his students. To understand others, to gain their friendship and trust, to aid anyone embroiled in outer or inner struggles, to encourage youthful talent — all this was his real element, almost more than his immersion in scientific problems.

Quel buon uomo di Lorentz

topolino3175-hendrik_lorentzNon saprei dire, non avendolo conosciuto, se Hendrik Lorentz fosse un buon uomo o meno3, ma ciò che è certo è che ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo della teoria della relatività ristretta. In un certo senso la storia della teoria, almeno dal punto di vista matematico, inizia proprio con lui.
Dopo la scoperta delle equazioni di Maxwell che descrivono i campi elettrico e magnetico, uno dei primi momenti sconvolgenti della fisica moderna fu scoprire che queste non erano invarianti sotto le trasformazioni di Galileo. Dovete infatti sapere che come fisici siamo piuttosto fissati nella ricerca delle trasformazioni che lasciano immutati i sistemi e le loro leggi. E poiché il mondo come era descritto risultava invariante per le trasformazioni di Galileo, secondo cui i tempi si compongono come somma di tempi e le velocità e gli spazi come somma di velocità e spazi, potete immaginare quanto fu sconvolgente scoprire che le equazioni di Maxwell sfuggivano a questa semplice descrizione.
Lorentz, invece, scoprì proprio le trasformazioni che portano il suo nome e che rendono le equazioni invarianti: era il 1904 (anno della versione definitiva, dopo la prima versione del 1899) e nasceva così la base matematica della relatività speciale.

Vita di Einstein

Di Albert Einstein direi che ho scritto tanto e considerando che ho in lavorazione una recensione con lui come protagonista, in questa occasione mi limito a presentarvi le vignette che riassumono alcuni dei punti chiave della sua biografia:

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Il grande assente

Un po’ come la strega cattiva nel racconto de La bella addormentata nel bosco, anche ne L’esperimento del dottor Pi4 c’è un assente, ma non perché non era presente nel 1927 alla conferenza, ma perché in qualche modo è rimasto fuori dalla narrazione, sia da quella testuale sia da quella grafica. Perina, infatti, non è riuscito a rappresentare in nessuna delle due occasioni nella sua interezza la foto ricordo della conferenza del 1927. Sono infatti rimasti tagliati fuori gente come Wolfgang Pauli, Ralph Howard Fowler, Léon Brillouin e soprattutto Niels Bohr.

Bohr non è solo uno dei padri della meccanica quantistica, ma anche uno dei più strenui difensori dell’interpretazione statistica dei risultati dell’equazione di Schrödinger, cosa che non sarebbe così scontata se si pensa che tale equazione mostrò come il suo modello dell’atomo di idrogeno fosse errato. A tal proposito è più che nota la sua diatriba con Einstein5, che invece si rifiutava di accettare tale interpretazione, supponendo che, invece, alla meccanica quantistica mancasse un qualche elemento fondamentale che avrebbe risolto problemi come il gatto di Schrödinger o il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen, quest’ultimo scoperto proprio nel tentativo di mostrare l’incompletezza della teoria quantistica.

Un paio di camei

topolino3175-albert_einstein_fanIn effeti di questi due camei, con cui concludo questo lungo, logorroico post, uno è certo, ed è la comparsa nell’ultima pagina di Carlo Rovelli, che diventa per l’occasione Tarlo Trivelli, mentre il suo best seller, Sette brevi lezioni di fisica, diventa Sette lievi lezioni di fisica: un omaggio, oserei dire, più che doveroso.
L’altro cameo, obiettivamente un po’ dubbio, è quello di un fan che promette di conservare come un tesoro l’autografo di Albert Einstein: a me personalmente, ha fatto pensare subito a un giovane Stephen Hawking!


  1. Naomi Pasachoff. X-rays and Uranium Rays 

  2. Regola generale che, peraltro, trova le sue brave eccezioni ad esempio nei superconduttori 

  3. La vignetta in cui interagisce con Pipo è indubbiamente uno dei momenti più esilaranti di tutta la storia! 

  4. Immagino che l’origine del nome del personaggio non debba essere spiegata! 

  5. Quella della frase dove le parole dio e dadi sembra siano state pronunciate insieme 

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