Magia e nichilismo – intervista a Vanna Vinci (seconda parte)

Magia e nichilismo – intervista a Vanna Vinci (seconda parte)

Prosegue l'intervista con Vanna Vinci. Lillian Brown, Aida e Sophia prendono il centro della scena. E poi magia, il senso della vita e della morte, l'alchimia.

una tavola inedita di SophiaSeconda parte dell’intervista a Vanna Vinci: i racconti che l’hanno resa celebre e Kappa Edizioni.

AIDA E LE ALTRE

Le protagoniste dei tuoi racconti realistici, quelli per cui sei diventata famosa, sembrano tutte la stessa persona…
E sembra sempre la stessa storia! (ride)

Una variazione sul tema che torna continuamente, pero’ ho notato in Aida e Sophia un cambiamento. è come se fossi maturata nella consapevolezza della storia. L’elemento fantastico, che torna regolarmente e che prima vedevo più come una fuga rispetto a temi più importanti e faticosi, adesso mi sembrano diventati una componente più organica. Non più una fuga ma un modo necessario per spiegare le tue emozioni. Mi sembra che ci sia una componente di verità molto più forte di quella che c’era nei lavori precedenti ad Aida. Faccio riferimento naturalmente alle storie scritte da te, perché quelle realizzate con Giovanni…
In quelle scritte con Giovanni c’era una componente di verità di Giovanni che non ho io, certo.

Si, che è diversa. Ha un modo di raccontare diverso rispetto a quello che hai tu, come sceneggiatura.
Pensi che sia vero, questo passaggio da Aida in poi?

Non so. Senz’altro è un’analisi interessante che potrebbe anche essere approfondita perché incuriosisce anche me capire meglio il tuo punto di vista. Con Aida ho senz’altro fatto una crescita nei termini del disegno e complessivamente nello stile. Anche Lillian Browne è un personaggio molto importante per me, perché è un personaggio che mi porto dietro da quando ero adolescente; è molto simbolico, ha una forte astrazione. In Aida e Sophia questa astrazione c’é di meno, ho lavorato su situazioni e personaggi più vicini e diretti, in termini emotivi, storici e, in parte e con grandi mediazioni, in termini autobiografici. Senz’altro in Aida e Sophia le componenti erano più drammatiche, immediate ed emotive. Lo dico anche da parte mia… ecco, se posso dire, credo che in Aida e in Sophia ci fosse da parte mia un’urgenza di raccontare, di lavorare intorno a quel tema, di infiascarmi in quei canali… ecco la spinta era molto forte, ero meno distaccata…

Anche nella scrittura del testo, i monologhi interiori che sempre ti caratterizzano, hanno una sintesi molto efficace.
Oh, io col testo ho un problema. Ho un dono tale della sintesi che quando rileggo devo sempre aggiungere. Perché sono talmente sintetica che io stessa a volte non capisco esattamente il concetto che intendevo esprimere.
Detto ciò, forse il tema in Aida era talmente importante per me che si avverte questa attenzione anche nel lavoro sul testo, nella sua espressione. è stato anche molto faticoso, perché il tema era molto duro. E forse sì, Aida rappresenta anche un passaggio.
Aida per me è un catalogo di quello che so sui lutti e sui sentimenti familiari legati alla morte.

Parliamo invece di Sophia. Qui mi sembra che l’elemento fantastico, che è minimo rispetto agli altri racconti, sia una componente che arricchisce l’espressione emotiva. Rispetto ad esempio alla malinconia che percorre tutta la storia la ricerca di qualcosa che forse non esiste sembra il meccanismo che dà forza alla ricerca stessa, al confronto con gli altri, al desiderio di una stabilità emotiva.
È un discorso molto complesso perché questo è il significato che ha per me il tema dell’alchimia. La ricerca della pietra filosofale comporta due aspetti fondamentali. Il primo è la purificazione dei metalli, che è la partenza, il fulcro iniziale anche in termini storici, a partire dall’antico Egitto e dell’antica Cina.
Quello che mi interessa in Sophia è il secondo aspetto della ricerca, ovvero il tentativo di evitare la morte, la vecchiaia, la malattia, il disfacimento. è quindi una rappresentazione della ricerca che ogni essere umano a suo modo compie.
Ma naturalmente il tema mi interessava a 360 gradi. In particolare riflettere su come la ricerca spasmodica dell’esorcismo della morte si caratterizzasse in modo diverso in generazioni diverse, per una persona che ha vent’anni, una che ne ha settanta e una che ne ha quattrocento.

Quindi in Aida, il tema dei lutti rappresenta in qualche modo la fase dell’incenerimento che sta alla base dell’alchimia?
No, in Aida la questione dell’alchimia non c’entra.

Pensavo ci fosse un lavoro che si sviluppa su varie opere…
No no, in Aida c’é il discorso del lutto e del rimosso familiare. Il contatto con l’idea della morte e il tentativo di superare il lutto, il seppellimento del morto. E nello stesso tempo un discorso sui traumi causati dalla guerra su un giovane. Mio nonno è partito in guerra (nella prima) che aveva vent’anni… io credo che non si sia mai ripreso dal trauma. In Sophia affronto ciò che viene prima. Un contatto con la morte che è devi vivi. Non c’é più l’idea del fantasma. Se vogliamo vedere un lavoro che si sviluppa come dicevi tu, al limite è un lavoro legato al rapporto vita e morte, passato e presente…

Quindi in qualche modo le due opere si collegano?
Da questo punto di vista senz’altro il collegamento c’é.
La domanda, in Sophia, è quali sforzi fai tu da essere umano trentenne, ventenne, quarantenne, settantenne, per evitare questo contatto.

Per affrontare l’idea della morte.
Che è inaffrontabile. In realtà secondo me la pietra filosofale è proprio la ricerca stessa, l’affanoso cercare, non solo teorico, ma anche pratico… Il tentativo affannoso di non morire. Di stare attaccati alla terra, alla vita…

una tavola inedita di SophiaFinora è stato pubblicato il primo libro di Sophia. A che punto sei col secondo?
Al momento ho realizzato tre puntate, di cui due sono uscite su Mondo Naif. Devo realizzare ancora due puntate. Il libro dovrebbe uscire ad Aprile del 2007.

Come è andato il primo libro?
Penso nella media degli altri.

Qual è il libro che ha venduto di più?
Credo la Bambina. Pero’ questo lo sa meglio Giovanni.

Forse la Bambina ha venduto di più nella varia. Ha un richiamo maggiore anche per il tipo di formato, vicino a quello di Calvin&Hobbes…
L’umoristico è strano e per noi è un territorio abbastanza sconosciuto… Non so risponderti con precisione.
Quando arrivano i dati di vendita naturalmente li guardo. Pero’ faccio anche molto in fretta a dimenticarmeli. E poi non voglio essere preda di questa cosa.

Sei una privilegiata, allora!
Perché?

Perché non devi preoccupartene. Se ne preoccupano sempre tutti. Sembra l’unico ragionamento importante delle pubblicazioni a fumetti degli ultimi anni!
Beh, sai, non è che ho fatto i miliardi con i miei lavori! (risate) Non sono terribilmente preoccupata di continuare a vivere di royalties… eh no…

Pero’ ci sono progetti, autori di talento, che non vedono la luce perché si ritiene che non abbiano mercato. Tu hai avuto la forza di iniziare in un modo e proseguire per quella strada…
Io sono sarda e sono molto cocciuta! (risate)… ho case editrici per ragazzi tipo Fabbri con cui collaboro di frequente, ho altri lavori, a volte anche di grafica pura se capitano… E comunque non vorrei neanche sentirmi imprigionata dai fumetti e dal mercato, se mai dovessi guadagnarci tanto – cosa che non credo capiterà mai!
Il dato di vendita mi interessa, certo. Anche per capire come si muove il mercato in cui lavoro e il lettore cosa si aspetta. È una cosa più matematica e analitica di mettersi in rapporto col lettore.

Non hai mai avuto il desiderio di raccontare storie completamente diverse?
No, ho sempre fatto quello che volevo.

Cosa mi dici della deviazione con Legs Weaver?
È una cosa che mi è stata chiesta da Antonio (Serra, ndr). Io ci ho provato, con risultati mmh (espressione dubbiosa sul viso)… Io comunque ho fatto del mio meglio. E sono contenta di averlo fatto. Mi è servito molto, perché ho dovuto seguire le loro regole e non le mie, che tra l’altro non esistono. Pero’ non ho mai pensato di voler fare una cosa diversa da quella che sto facendo.

Le tue storie sono sempre state a episodi. O per la pubblicazione su Mondo Naif, oppure nel caso di Una casa a Venezia per la pubblicazione in Giappone. Nelle ultime storie mi sembra pero’ che hai un po’ superato la rigidità dell’episodio, e lo sviluppo appare più organico e sequenziale.
Puo’ darsi, questo per me è molto difficile da giudicare. è un’analisi interessante, pero’ bisognerebbe approfondirla. In questo caso mi incuriosisce di più la tua analisi di una mia possibile risposta.

Non c’é una riflessione sul formato a monte della realizzazione di una storia?
Bé senz’altro ho tenuto conto degli spazi della rivista… è difficile non tenere conto dei formati e non è nemmeno giusto… Io non credo comunque che il formato, se non in termini strettamente di numero di pagine o di rapporto base/altezza, influisca poi tanto sulla costruzione della storia. Parlo per me ovviamente. Posso dirti che senza dubbio col passare del tempo i miei personaggi sono sempre meno funzionali alla storia. Sono sempre più sfaccettati e meno unidirezionali.

Lo sviluppo della trama in se stessa, quindi, è diventato meno centrale, l’esplorazione narrativa si è fatta più ampia.
Credo di sì. In tutti i sensi. Nelle dinamiche del protagonista, della storia e degli altri personaggi.

In Sophia mi sembra che ci sia una maggior presenza del ricordo che in altre storie. Una maggiore malinconia per il passato. Più riferimenti a qualcosa che non c’é più, che vai a ritrovare, a ricercare.
Forse perché a un certo punto c’é la malattia del personaggio anziano, di Ermete. Quest’uomo che per Sophia è da un certo punto di vista il legame con una sua parte infantile, rappresenta il passato, un legame con la sua infanzia. Senz’altro mi interessa lo scorrere del tempo, del cambiamento delle persone… dei loro ricordi… mi interessa capire quanto il passato influisca sul presente. Mi affascina l’idea di una realtà cangiante, come in Aida… che si modifica trasformandosi a seconda dei vari periodi storici. Ci sto lavorando per un progetto nuovo.

Uno dei punti di forza del tuo disegno mi sembra essere la recitazione dei personaggi. Gesti, espressioni, postura, ecc. mi sembrano abbiano raggiunto una naturalezza davvero efficace, grazie anche alla maggior sintesi del disegno che con pochi tratti comunica molto. Come lavori su questi aspetti? Fai qualche tipo di esplorazione, ti rifai a foto, modellini o altro, oppure ti viene spontaneamente?
Credo che in generale per un disegnatore di fumetti sia piuttosto importante evitare la rigidità dei movimenti e mantenere una buona naturalezza delle posizioni e delle espressioni dei personaggi. Quello che a me è sempre interessato maggiormente è soprattutto un’indagine grafica sulle espressioni più minime… I miei personaggi non hanno grandi shock né vivono grandi avventure, si tratta di storie piuttosto conchiuse in cui le espressioni sono abbastanza contenute. Questo pero’ non significa che persegua una sorta di freddezza e inalterabilità delle espressioni dei personaggi, voglio che i miei personaggi si turbino, si divertano… insomma provino molti sentimenti e questo si veda… senza urla, senza eccessi, anche perché non avrebbe molto senso… (non perché io sia contraria a eccedere…).
Questa è una ricerca fondamentale, quindi, finché non trovo l’esatta espressione o posizione che voglio, cambio direzione. Non uso modellini e non credo che aiuterebbe, prima chiedevo ad amici di stare in posa… adesso non più… senz’altro osservo attentamente gli esseri umani in tutte le loro situazioni… cerco di capire quali sono i tratti che mi servono… ma prima devo appropriarmi della sensazione, del sentimento…

In Sophia in particolare mi sembra poi che sia aumentata l’ironia rispetto agli altri tuoi lavori realistici. È merito anche del lavoro che stai facendo con la Bambina? È una voce importante della tua scrittura l’ironia?
Non credo che la Bambina c’entri qualcosa… io credo che questa dell’ironia e a tratti del sarcasmo sia una mia indole. In Lillian Browne questo sproloquiare dei personaggi, quasi fosse una partita di tennis, è una caratteristica fondamentale, in Aida per esempio, non c’era un grande spazio per situazioni ironiche… pero’ alla fine quando lei trova il tipo in treno, questa caratteristica salta fuori e chiude addirittura la storia, è come una filigrana. In Sophia l’ironia è dappertutto, anche in questo secondo libro…
Ci sono personaggi drammatici e storici, ma c’é uno spazietto per l’ironia… tutto insomma viene un po’ come visto due volte, dal versante drammatico e da quello ironico. Certo è difficile trattare situazioni molto drammatiche (tipo un lutto…) con ironia, non sempre è possibile o conveniente.

KAPPA ED EDITORIA

Kappa è un po’ la tua casa. Ti pubblica da sempre. Che rapporto hai con il discorso che sta portando avanti la casa editrice?
é una domanda molto difficile. Ho un rapporto con loro pressoché in termini familiari. Ci sono litigi, grande amore… è molto difficile spiegarlo. Alcune cose le seguo, altre no. è difficile dare una risposta precisa.

Eppure sembra che il tuo stile “meticcio” sia un po’ una sintesi di quello che pubblica Kappa.
No, secondo me Kappa ha la sua identità. Che siano i francesi, che sia Konig… Io ho verso Kappa una spinta molto affettiva. Mi sento molto vicina ai Kappa Boys ma di Kappa sono solo una piccola parte.

Il tuo percorso di sintesi tra fumetto occidentale e orientale mi fa tornare in mente un’affermazione che fece alcuni anni fa Alfredo Castelli, secondo il quale il fumetto giapponese non è propedeutico alla lettura del fumetto italiano. Pensava solo al fumetto Bonelli o cosa?
Non lo so. Secondo me il fumetto è fumetto. Puoi leggere Tex, Lady Oscar, Dino Battaglia…

Pero’ in generale, non sono molte le persone che leggono di tutto.
Pero’ io la vedo così. Non credo che ci sia una differenza, neppure nei supereroi. Non ci credo. E comunque nemmeno io leggo di tutto, faccio fatica coi fumetti, leggo più libri…

Forse Alfredo, ma anche Antonio (Serra, ndr) si riferivano soprattutto alle vendite. Che il boom dei manga non portasse a uno sviluppo dei lettori anche degli altri fumetti pubblicati in Italia.
Comunque Antonio è un grande tecnico e un grande esperto di fumetti, e così anche Alfredo. Probabilmente se hanno fatto questo discorso alla base ci sarà una verità. E io non ne so una mazza! (ride)

Sei un’istintiva tu?
Sì, sono una selvaggia! Ma sono anche piuttosto razionale, mentalizzata, elucubro e rimugino… sì sì… ma mi fido abbastanza delle sensazioni.

Chiudiamo con Mondo Naif. Festeggiate 10 anni di vita editoriale della rivista. Dal prossimo numero ci sarà una completa trasformazione. Continuerai a contribuire a Mondo Naif come hai fatto finora?
Sì. Io sono completamente votata a Mondo Naif. Qualsiasi sviluppo ci sarà a me interessa. è stata per me un’esperienza formativa, divertente, fondamentale anche in termine di spazi e di lavoro.

È rimasta l’unica rivista, ormai.
Sì. è un peccato, perché la rivista è una specie di teatrino in cui ci sono più personaggi e tutti sono un po’ più protetti.

È l’insieme che fa la forza. Non si regge su un solo personaggio.
Infatti per me, da timida, questa cosa mi proteggeva molto. Pero’ è giusto che l’esperienza finisca e ne inizino delle nuove, con altri presupposti.

 

Leggi la prima parte dell’intervista

 

Riferimenti:
Il sito ufficiale di Vanna Vinci: www.vannavinci.it
Il sito ufficiale de La Bambina Filosofica: www.labambinafilosofica.it

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